03Lug

DIGIUNO INTERMITTENTE

Il digiuno e la dieta naturale, sebbene sostanzialmente sconosciuti come terapia, dovrebbero essere il primo trattamento quando si scopre di avere un problema medico.” – Joel Fuhrman

COME FUNZIONA IL DIGIUNO INTERMITTENTE

Il digiuno è diventato molto popolare negli ultimi anni, ma le pratiche che prevedono l’astinenza dal cibo si trovano in ogni cultura fin da tempi molto antichi. I benefici del digiuno sono noti da decenni e sono stati riassunti da Rafael de Cabo (laboratorio di gerontologia traslazionale del National Institute of Aging di Baltimora) e da Mark Mattson (dipartimento di neuroscienze della Johns Hopkins University) nella revisione pubblicata su una delle più importanti riviste mediche al mondo.

Alimentarsi in maniera intermittente è una scelta che può far parte di uno stile di vita sano“, ha affermato lo stesso Mattson, seguace della dieta del digiuno intermittente da vent’anni. Le evidenze più solide riguardano la preservazione di un corretto stato di salute delle cellule, a livello di tutti gli organi. Il processo è reso possibile dall’esaurimento delle riserve di glucosio e dal ricorso al grasso, come fonte energetica. In questo modo, secondo Mattson, “Migliora la regolazione della glicemia, si riduce la risposta infiammatoria e aumenta la resistenza allo stress.

Dal compendio, sulla base di quattro studi condotti sia su modelli animali sia sull’uomo, si evince che “il digiuno intermittente ha anche ridotto la pressione sanguigna, i livelli di lipidi nel sangue e la frequenza cardiaca a riposo“. Sono inoltre presenti in letteratura le evidenze che documentano un impatto sull’obesità e sul rischio di ammalarsi di diabete.

Digiunando si attivano le cosiddette molecole heat shock, molecole che fanno in modo che le strutture proteiche del corpo abbiano la forma giusta e funzionino nell’organismo in modo ottimale. Brevi periodi di digiuno fanno moltiplicare le molecole heat shock e di conseguenza i muscoli e gli organi si mantengono in forma. Su questo si basa anche il principio del mima digiuno di Walter Longo.

È una specie di “vacanza per gli organi”: anche solo una volta a settimana è sufficiente ad evitare che fegato, reni e intestino si sovraccarichino e si da loro la possibilità di rigenerarsi. Inoltre l’organismo sfrutta queste ore di pausa per eliminare le sostanze dannose.

Altri benefici:

  • concilia il sonno;
  • rafforza il sistema immunitario;
  • non appesantisce il metabolismo;
  • stimola il consumo di grassi.
LE REGOLE
  • Durata digiuno

Il digiuno di solidi si estende per 12/18 ore, durante le quali sono consentite solo tisane leggere. È importante però assumere nel corso della giornata sostanze nutrienti.

  • Per quanto tempo rinunciare alla cena

Dipende dagli obiettivi che ci siamo prefissati. Il metodo standard prevede dalle due alle quattro volte a settimana: può essere effettuato a cicli di alcuni mesi, o anche per tutto l’anno. Si può effettuare anche per tutto l’anno due digiuni serali, per esempio il lunedì o il giovedì (a volta basta anche solo il lunedì).

Esiste una variante che consiste in 14 giorni di digiuno consecutivi, indicata per chi è molto in sovrappeso: 14 giorni di digiuno serale moderato, al termine del quale va seguito però il metodo standard (due sere a settimana). In due settimane si perdono 5-6 chili.

  • La regola più importante

Per raggiungere buoni risultati con la strategia del digiuno serale occorre bere molto, soprattutto dopo le 17, ma anche durante l’intero arco della giornata. Nei giorni in cui si pratica il digiuno serale si può arrivare fino a 3 litri di liquidi al giorno. L’acqua è la bevanda più indicata. Attenzione, solo a temperatura ambiente, mai troppo fredda.

  • Mai stare fermi

Niente aiuta a dimagrire, a disintossicarsi e a ringiovanire l’organismo quanto il movimento. Basta fare una passeggiata ogni giorno o almeno 4 volte la settimana di almeno 20 minuti. Praticare ogni giorno una leggera attività fisica cercando di essere il più possibile costanti, dà buoni risultati.

Esempi di alimentazione:


1) PRIMA SOLUZIONE

(digiuno serale, colazione leggera, pranzo e spuntino pomeridiano proteico alle 18)

COLAZIONE:

  • tè verde o tisana o caffè a cui si può aggiungere del latte di mandorla senza zucchero.

PRANZO:

  • una scelta tra 200 g di carne bianca o rossa + 300 g di verdura a foglie (spinaci biete, scarole, cicoria o cavolo nero) o funghi o asparagi o cavolfiore o melanzane o zucca o zucchine con olio Evo.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, platessa, nasello, rombo) + 300 g di verdure + olio extravergine di oliva.

SPUNTINO:

  • ore 18:00: due uova intere + 100 g di albumi + 300 g di verdure + olio extravergine di oliva.

CENA DIGIUNO:

  • solo tisana o infuso.

Oppure:

  • brodo vegetale preparato con cipolla, sedano, una carota, bieta, due pomodori, una zucchina, maggiorana, prezzemolo e timo senza sale e bere solo il liquido chiaro filtrandolo.

2) SECONDA SOLUZIONE

(colazione e pranzo abbondanti, digiuno serale, no spuntini)

COLAZIONE:

  • tè verde o tisana o caffè macchiato con latte di mandorla senza zucchero + in aggiunta un uovo + 20 g di noci + 1 kiwi.

Oppure:

  • 100 g di albumi + 12 mandorle + una mela o una pera.

Oppure:

  • pancake preparati con 80 gr di albumi, 40 g di farina di avena + 2 cucchiai di frutti di bosco.

Oppure:

  • yogurt greco bianco magro + 3 cucchiai di frutti di bosco + 3 noci + 1 cucchiaio di cocco essiccato.

Oppure:

  • due uova cotte con 10 g di burro + 300 g di funghi + mezza mela.

Oppure:

  • 100 g di pera + 70 g di ricotta + 2 noci intere.

PRANZO:

  • Una scelta tra 200 g di carne + verdura (300 g di sole verdure a foglia o zucchine) + olio extravergine di oliva + 1 mela.

Oppure:

  • 70 g di fagioli neri o borlotti o 60 g di lenticchie o ceci o 300 di piselli freschi surgelati + insalata di finocchi, rucola e valeriana + olio extravergine di oliva.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, sogliola, platessa, nasello, rombo, scampi, seppie, cernia o 150 g di pesce semi magro come calamari, pesce spada, riccio, tonno, orata, polpo o tonno o cefalo) o 100 g di pesce grasso (salmone, sgombro, sardine) + 300 g di verdura e olio extravergine di oliva + 1 kiwi.

CENA DIGIUNO:

  • solo tisana o infuso.

Oppure:

  • brodo vegetale preparato con cipolla, sedano, una carota, bietole, due pomodorini, una zucchina, maggiorana, prezzemolo e timo senza salse e bere soltanto il liquido chiaro filtrandolo.


3) TERZA SOLUZIONE

(no colazione, solo pranzo e cena, no spuntini – solo tisane)

PRANZO:

  • Una scelta tra 2 uova + verdura (300 g di solo verdure a foglia o zucchine) + olio extravergine di oliva + 1 mela.

Oppure:

  • 70 g di fagioli neri o borlotti o 60 g di lenticchie o ceci o 300 di piselli freschi surgelati + insalata di finocchi, rucola e valeriana + olio extravergine di oliva.

Oppure:

  • 250 g di pesce magro (merluzzo, sogliola, platessa, nasello, rombo, scambi, seppie, cernia o 150 g di pesce semi magro calamari, pesce spada, riccio, tonno, orata, polpo o tonno o cefalo) o 100 g di pesce grasso salmone sgombro sardine + 300 g di verdura e olio extravergine di oliva + 1 kiwi.

CENA:

  • carne bio (manzo, pollo, maiale, tacchino), preferibilmente di animali allevati a pascolo. Per esempio straccetti di tacchino cotti con rucola, pollo con zucchine, pollo alla cacciatora con verdura, polpette di tacchino fatto con carne tagliata a dadini al coltello con aggiunta di zucchine cotte grattugiate, prezzemolo, scorza di limone, sale, pepe e 1 uovo.

Consigli extra:

Aggiungere a piacere: verdura, ortaggi misti o verdura ripassata con aglio, olio e peperoncino o verdure crude a piacere, per esempio insalata arcobaleno a base di carote, finocchi, rucola, radicchio, ravanelli, verza, anche con semi di canapa e noci.

Durante i giorni di digiuno intermittente cercare di bere due bicchieri di acqua calda (bollita per qualche minuto conservata in thermos) ogni 2 o 3 ore, oltre a tisane e tè verde a piacere.

Bere qualcosa di caldo è fondamentale per tamponare la contrazione muscolare che si sviluppa a livello dello stomaco ogni tre o quattro ore quando è vuoto e procura i cosiddetti morsi della fame. In verità, più che la fame, segnala che lo stomaco è vuoto e spesso passa semplicemente bevendo qualcosa di caldo.

Aggiungere alle pietanze erbe aromatiche e spezie che contribuiscono non solo a dare sapore ai piatti ma anche ad attivare le risposte riparative del digiuno.

Il digiuno è la più grande terapia di guarigione naturale. È l’antico “rimedio” universale della natura per innumerevoli disturbi”. – Elson Haas, MD

02Lug

DIETA “FODMAP” E COLON IRRITABILE

L’intestino è un organo pieno di sensibilità, responsabilità e volontà di rendersi utile. Se lo trattiamo bene, lui ci ringrazia”. – Giulia Enders, L’intestino felice

DIETA FODMAP E COLON IRRITABILE

La dieta FODMAD è un regime alimentare povero di sostanze che fermentano ed è spesso consigliato per trattare i disturbi della sindrome del colon irritabile.

FODMAP è l’acronimo di “Fermentable Oligo-saccharides, Disaccharides, Mono-saccharides and Polyols” (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili), serie di carboidrati a catena corta: saccaridi.

I saccaridi includono: fruttosio, lattosio, fruttano e galattano.

I polialcoli sono: sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo.

Tali carboidrati, contenuti in molti alimenti, possono essere poco assorbiti dal piccolo intestino e rapidamente fermentati dai batteri intestinali nell’ileo e nel colon prossimale. I sintomi sono dovuti alla distensione dell’intestino sia attraverso un alto volume di liquidi trattenuti dovuto al processo di osmosi, sia ad un aumento della produzione dei gas. Tale processo è responsabile della seguente sintomatologia:

  • Dolore addominale
  • Aumento del gas intestinale
  • Meteorismo
  • Distensione addominale
  • Alterata disfunzione della motilità addominale che si manifesta con diarrea e stipsi

Gli alimenti FODMAP sono in sostanza i cibi che fermentano, alimenti ricchi di zuccheri che, una volta digeriti, restano nell’intestino richiamando acqua (hanno proprietà osmotica). La loro sovra-fermentazione è ciò che causa i disturbi.


COME FUNZIONA LA DIETA FODMAP

La dieta FODMAP possiede tre fasi:

  • fase di eliminazione, durante la quale viene ridotto al minimo il consumo di alimenti contenenti FODMAP. Questa fase può avere una durata di 3-6 settimane e permette di valutare se i sintomi che il paziente lamenta regrediscano o meno grazie a un consumo minimo di queste sostanze;
  • fase di reinserimento, durante la quale gli alimenti esclusi vengono reintrodotti in maniera graduale, in modo da individuare quali siano le quantità e la frequenza di consumo che possono determinare fastidi. Si tratta di una parte molto delicata ma necessaria per evitare esclusioni ingiustificate;
  • fase di mantenimento, a seconda dei risultati avuti nella fase precedente si preparerà una dieta variata e ricca, per quanto possibile, facendo sempre attenzione alle quantità e alla frequenza con cui certi alimenti, individuati durante la reintroduzione, vengono consumati.


QUALI SONO I CARBOIDRATI DELLA FODMAP-DIET?

Oligosaccaridi (fruttani e galattani), Disaccaridi (Lattosio), Monosaccaridi (fruttosio) e Polioli o polialcoli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo).

Per migliorare i sintomi di gonfiore funzionale e intestino irritabile, la FODMAP-Diet prevede l’esclusione di tutti questi zuccheri contemporaneamente: solo così si avrà un miglioramento dei disturbi intestinali. Ogni individuo riesce a tollerare un quantitativo complessivo differente di questi zuccheri: non esiste una indicazione dietetica standard valida per tutti.

FRUTTANI

Si tratta di brevi catene di molecole di fruttosio con una molecola di glucosio ad un’estremità. Non possono essere digeriti e sono tra i principali responsabili dei problemi indicati, vista la loro presenza rilevante nei cereali, in alcuni vegetali e in diversi prodotti dietetici.

Contenuto elevato di fruttani:

  • Frutta: pesche, cachi, cocomero, mele, pere, fichi, ciliegie.
  • Verdure: carciofi, aglio, cipolla, porro, scalogno, asparagi, piselli, fave.
  • Cereali: pane, pasta e derivati del frumento, specie se consumati in grandi quantità. Orzo e derivati, segale e derivati.
  • Legumi: lenticchie, ceci, fagioli.
  • Frutta secca oleosa: pistacchi, anacardi
  • Bevande: caffè di cicoria.
  • Fibre e supplementi: inulina, FOS (fruttoligosaccaridi) utilizzati in molti cibi commercializzati come i prebiotici.


GALATTO-OLIGOSACCARIDI

Sono molecole formate da più unità di galattosio legate a fruttosio e glucosio alle estremità. Le più diffuse sono raffinosio e stachiosio, anche queste non digerite nel nostro intestino e quindi potenziale causa di problemi, si trovano quasi esclusivamente nei legumi.

  • Legumi: fagioli, ceci, lenticchie.


LATTOSIO

Un disaccaride costituito da una molecola di glucosio legata ad una di galattosio, presente nel latte di TUTTI i mammiferi, non è digerito da alcuni soggetti che con la crescita perdono l’enzima lattasi, che ne permette la scissione. La riduzione del consumo di lattosio non significa ovviamente rinunciare a tutti i latticini, visto che in molti derivati, come i formaggi stagionati, il contenuto di lattosio è estremamente ridotto.

Contenuto elevato di lattosio:

  • Latticini: panna, gelati, dolci al latte, latte in polvere.
  • Latte: latte fresco di mucca, capra o pecora.
  • Yogurt: yogurt da latte di mucca, capra o pecora.
  • Formaggi: ricotta, mascarpone, fiocchi di latte e tutti i formaggi freschi.


FRUTTOSIO

Un monosaccaride molto abbondante nella frutta e nel miele. Nell’intestino è assorbito con il glucosio, quindi se presente in eccesso rispetto a questo può rimanere nel lume intestinale causando problemi. In questo caso è importante bilanciare il consumo di fruttosio e glucosio per impedire che si determini un ridotto assorbimento.

Contenuto elevato di fruttosio:

  • Frutta: mele, pere, fichi, ciliegie, cocomero.
  • Verdure: asparagi, carciofi, piselli, fave.
  • Dolcificanti: agave, sciroppo di glucosio-fruttosio (presente in molte bevande gassate), fruttosio, succhi di frutta e concentrati di frutta.


POLIOLI

Si tratta di zuccheri presenti in frutta e verdura, utilizzati anche nella produzione industriale di alimenti, come umettanti e soprattutto come dolcificanti artificiali in prodotti dietetici in virtù del ridottissimo apporto calorico. I polioli più diffusi sono sorbitolo (E420), mannitolo (E421), maltitolo (E965), isomalto (E953), lattitolo (E966), xilitolo (E967), eritrolo (E968) e sono ampiamente utilizzati nell’industria alimentare: leggete con attenzione le etichette per evitare di consumarli.

Contenuto elevato di polioli: 

  • Frutta: mele, pere, albicocche, pesche, susine, more, cocomero.
  • Verdure: cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, verza, funghi, taccole (piselli mangiatutto).
  • Dolcificanti e additivi: sorbitolo, mannitolo, maltitolo, isomalto, lattitolo, xilitolo, eritrolo.


COSA SI MANGIA NELLA DIETA FODMAP?

 La dieta a basso contenuto di FODMAP non è particolarmente restrittiva o complessa. Anzitutto, è bene eliminare più possibile gli alimenti ricchi di questi principi nutrizionali.

Alimenti ricchi di FODMAP:

  • Latte e derivati freschi;
  • Alcuni cereali, quali: frumento, orzo e segale, e loro derivati;
  • Certi frutti e verdure, quali: mele, carciofi, cavolfiore, aglio, cipolla, anguria;
  • Frutta disidratata;
  • Funghi;
  • Alcuni legumi, come i fagioli;
  • Certi semi oleosi, come: anacardi e pistacchi;
  • Dolcificanti di sintesi e cibi che li contengono, come le gomme da masticare;
  • Sciroppo di mais ad alto fruttosio;
  • Miele;
  • Gelato.


Più precisamente menzioniamo:

  • Fruttosio: contenuto in frutta (tipo mele, carciofi, cavolfiore, aglio, cipolla, anguria), miele, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, agave;
  • Lattosio: contenuto nel latte e derivati non completamente fermentati;
  • Fruttani: contenuti nell’aglio, nelle cipolle, nel frumento, nell’orzo, nella segale ecc.;
  • Galattani: contenuti nei legumi, come i fagioli, le lenticchie, la soia ecc.;
  • Polioli: contenuti nella frutta a seme, come le mele, l’avocado, le ciliegie, i fichi, le pesche, le prugne, ecc.


Alimenti poveri di FODMAP:

  • Sostituti vegetali del latte, come: latte di mandorle, latte di cocco, latte di riso e latte di soia;
  • Certi frutti e verdure, come: banane, peperoni, mirtilli, carote, cetrioli, uva, spinaci, cavoli, ortaggi a foglia verde, pomodori, mandarini;
  • Semi amidacei, anche non necessariamente cereali, come: avena, quinoa, riso;
  • Patate.

Dieta FODMAP, quali cibi evitare:

Ecco allora una lista di alimenti fermentabili generalmente “proibiti” per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.

Tra la frutta da evitare, ci sono:

  • mango
  • anguria
  • susine
  • pesche
  • mele
  • pere
  • nashi (o pera-mela)
  • pistacchi
  • anacardi.
  • fichi
  • ciliegie


Tra le verdure bandite per chi soffre di colon irritabile troviamo:

  • asparagi
  • carciofi
  • cipolla
  • aglio
  • porri
  • barbabietola
  • cavolo verza
  • mais dolce
  • sedano.
  • piselli
  • lenticchie
  • fave


Eliminare anche latte e i suoi derivati (yogurt, formaggi a pasta molle, crema pasticciera e gelato).

E ancora NO a:

  • legumi
  • cereali come segale, grano e quindi pane, pasta e biscotti.
  • Dolcificanti: agave, sciroppo di glucosio-fruttosio (presente in molte bevande gassate), fruttosio,


Contenuto elevato di polioli da evitare:

  • Frutta con semi o noccioli: mele, pere, albicocche, pesche, susine, ciliegie, cocomero.
  • Verdure: cavoli, broccoli, cavoletti di bruxelles, verza, funghi, taccole (piselli mangiatutto).
  • Dolcificanti e additivi: sorbitolo, mannitolo, maltitolo, isomalto, lattitolo, xilitolo, eritrolo.


Cosa mangiare dunque?

Tra la frutta fresca, gli alimenti consentiti sono:

  • banana
  • arancia
  • mandarino
  • uva
  • melone bianco
  • Ok anche a mandorle (massimo 10 pezzi) e semi di zucca.


Tra le verdure vanno bene:

  • zucchine
  • lattuga
  • pomodoro
  • cetrioli
  • carote
  • erba cipollina
  • fagiolini.


Tra gli altri alimenti vanno bene:

  • carne
  • pesce
  • tofu
  • formaggi a pasta dura o i prodotti caseari senza lattosio.
  • avena riso, quinoa e prodotti senza glutine
  • pesce fresco (meglio se non allevato): Alici, Aragosta, Astice, Baccalà, Calamaro, Cefalo, Cernia, Coccio (gallinella), Dentice, Gamberi, Merluzzo, Orata, Pesce bandiera, Polpo, Ricciola, Salmone fresco, Sarde, Scorfano, Seppia, Sgombro, Sogliola, Spada, Spigola (branzino), Stoccafisso, Tonno, Triglia.*Evitare pesci di grossa taglia: potrebbero essere inquinati da cromo, arsenico e piombo.


ALIMENTI CHE SI POSSONO MANGIARE:

  • CARNI: manzo, coniglio, pollo biologico, tacchino, vitello, agnello, maiale, capretto (tutte senza la parte grassa);
  • PROTEINE VEGETALI: quorn, mopur, muscolo di grano, tofu di canapa, edamame, fagioli di soia, tofu, tempeh, azuki, falafel, alghe wakame-hijiki-arame, alghe nori.
  • ORTAGGI: carote, zucchine, lattuga, fagiolini, pomodori, zucca, agretti, indivia, radicchio, carote, finocchi, bietola, cicoria, scarola, spinaci, verza, centrioli, coste, crescione, erba cipollina, indivia, rape, spinaci, batate, germogli di soia, melanzane, peperoncini, sedano.
  • FRUTTA: limone, banane mature, frutto della passione, kiwi, lamponi, mirtilli, pompelmo, sorbetto di frutta, fragole, arance, melone, uva, mandarini.
  • LATTICINI: si dovrebbero preferire quelli senza lattosio o quasi privi, i formaggi stagionati, il kefir, ma vanno anche bene le bevande vegetali come il “latte” di riso o di avena. Ok per i prodotti delattosati. (eventualmente l’unico latticino consentito è la ricotta e il primosale)
  • CARBOIDRATI: mais, riso, avena, quinoa, pane senza glutine, pasta di mais, pasta senza glutine tra i più consigliati.

Lodiamo l’intelligenza del cervello e le emozioni del cuore, ma abbiamo dimenticato che è l’intestino a svolgere una delle funzioni più importanti nella nostra vita: dare ordine e buttare via ciò che non serve”. – Fabrizio Caramagna

02Lug

SISTEMA IMMUNITARIO

Nella storia del mondo nessun medico ha mai guarito nessuno da nulla, l’unica cosa che guarisce è il sistema immunitario”. – Bob Wright

COME FUNZIONA IL SISTEMA IMMUNITARIO

L’atto di formazione delle cellule immunitarie viene chiamato ematopoiesi. Tutte hanno origine da cellule staminali che si differenziano nelle cellule del sangue grazie alle citochine.

Le cellule si possono differenziare in due stirpi differenti: la linea mieloide e la linea linfoide.

  • Dalla linea mieloide (tutte originate dal midollo) si genereranno le piastrine, i globuli rossi e le cellule immunitarie del sistema innato (monociti, mastociti, cellule dendritiche, granulociti neutrofili, eccetto le natural killer).
  • Dalla linea linfoide (originate dai linfonodi) si genereranno le natural killer, i linfociti Helper CD4, i linfociti killer CD8 ed infine i linfociti B da cui genereranno gli anticorpi.

Nello specifico le difese immunitarie coinvolgono:

  • Organi linfatici: midollo osseo, timo e i tessuti linfatici di milza, tonsille, linfonodi, appendice, placche intestinali di Peyer;
  • Cellule: globuli bianchi (leucociti) circolanti nel sangue e nei tessuti;
  • Mediatori chimici: come le citochine, proteine che coordinano ed eseguono le risposte immunitarie, scambiandosi segnali che regolano reciprocamente il livello di attività cellulare con i diversi organi e tessuti.

Il sistema immunitario attua due forme di difesa: l’immunità aspecifica/innata e l’immunità specifica/adattativa.

L’immunità innata o aspecifica, chiamata anche immunità naturale, consiste di meccanismi in grado di agire con rapidità contro l’agente estraneo che viene riconosciuto come una minaccia. È presente fin dalla nascita e comprende sia le barriere dell’organismo (la pelle, le membrane mucose presenti nelle parti del corpo a diretto contatto con l’esterno, come ad esempio bocca, naso e orecchie e le secrezioni come la saliva o il sudore) che le cellule e proteine circolanti che fungono da regolatori e mediatori della risposta infiammatoria dell’organismo. Se l’agente aggressivo supera questa barriera, l’organismo reagisce producendo e mobilizzando cellule e sostanze che servono a fronteggiare e riparare i danni subiti.

Le cellule dell’immunità innata sono: macrofagi, fagociti, monociti, cellule dendritiche, granulociti, neutrofili (fagociti) eosinofili (IgE), basofili (mastociti) e natural killer.

L’immunità specifica o adattativa, chiamata anche immunità acquisita, si sviluppa invece dopo la nascita, durante il primo anno di vita, e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei che incontra. Essendo una risposta che l’organismo fabbrica su misura a seconda dell’agente estraneo, l’immunità specifica o adattiva è molto più veloce ed efficace rispetto a quella innata, può essere rafforzata con le vaccinazioni e possiede meccanismi atti a instaurare memoria degli agenti incontrati e della specifica risposta instaurata. Si tratta di una difesa mirata nei confronti di determinati antigeni, ovvero sostanze che il nostro organismo riconosce come estranee.

Il meccanismo di risposta dell’immunità specifica, o adattiva, è reso possibile grazie ai linfociti T, B e all’immunità cellulomediata.

SISTEMA INNATO

Le cellule dell’immunità innata sono: macrofagi, fagociti, monociti, cellule dendritiche, granulociti (neutrofili (fagociti) eosinofili (IgE), basofili (mastociti) e Natural Killer.

INFIAMMAZIONE

In genere una volta superate le barriere di superficie, il corpo risponde in primis con un’infiammazione prodotta sia dagli eicosanoidi che dalle citochine, tipo prostaglandine, leucotrieni, 36 tipi di interleuchine e i tre tipi di interferone. Dopo, a seconda del tipo di assalto, ci sarà una risposta diversa.

L’infiammazione è una reazione caratteristica dell’immunità innata, molto importante per combattere l’infezione in un tessuto danneggiato:

  1. attrae le sostanze e le cellule immunitarie nel luogo dell’infezione;
  2. produce una barriera fisica che ritarda la diffusione dell’infezione;
  3. ad infezione risolta, promuove processi di riparazione del tessuto danneggiato.

La risposta infiammatoria è scatenata dalla cosiddetta degranulazione dei mastociti, cellule presenti nel tessuto connettivo che in seguito all’insulto liberano istamina ed altre sostanze chimiche, le quali aumentano il flusso sanguigno e la permeabilità dei capillari e stimolano l’intervento dei globuli bianchi.

I sintomi tipici dell’infiammazione sono l’arrossamento, il dolore, il calore e il gonfiore dell’area infiammata.

NOTA BENE: oltre che dalle infezioni, la risposta infiammatoria può essere innescata anche da punture, ustioni, lesioni ed altri stimoli che danneggiano i tessuti.

I principali attori cellulari del sistema immunitario che intervengono nell’infiammazione sono i neutrofili, i mastociti e macrofagi.

I GRANULOCITI si dividono in neutrofili (fagocitano i batteri e rilasciano citochine), eosinofili (combattono i parassiti e partecipano alle reazioni allergiche) e basofili (mastociti che rilasciano istamina, eparina, citochine ed altre sostanze chimiche coinvolte nella risposta allergica ed immunitaria).

  • I granulociti neutrofilifagociti, rappresentano il 70% dei leucociti. Hanno una vita abbastanza breve, dalle 7 alle 10 ore in circolo e circa tre giorni nei tessuti per poi morire per apoptosi. Hanno una forma segmentata del nucleo costituito da cinque o sei lobi uniti da materiale nucleico. Hanno un’azione di fagocitosi, di degranulazione della cellula, di NETosi, che consiste nella formazione di trappole extracellulari. I Net sono reticoli extra cellulari e tridimensionali di cromatina condensata e varie proteine nucleari e granulari che includono principalmente istoni ma anche proteine antimicrobiche come defensina, catepsina, lattoferrina e mieloperossidasi (MPO).
  • I granulociti basofili – mastociti, sono coinvolti nelle risposte antiparassitarie e anche nella risposta allergica e nell’asma. Nella resistenza nei confronti dei parassiti, in primis, hanno un’azione tipo centrale operativa e gestiscono la risposta propria dei monociti.

Tutte queste cellule hanno un’attività direttamente cellulo-mediata contro i patogeni e soprattutto contro le cellule neoplastiche.

I mastociti sono cellule sentinella disposte nei tessuti. L’interleuchina 6 (IL6) stimola la produzione di istamina.

La loro funzione può specializzarsi nella fagocitosi e nella produzione di citochine infiammatorie. L’istamina ha un’azione vasodilatatrice, di broncocostrizione, di aumento della permeabilità capillare e contrazione della muscolatura liscia.
I mastociti possono fagocitare anche i batteri e i virus e distruggerli tramite la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I mastociti secernono anche eparina, triptasi e l’attivatore del plasminogeno, regolando così meccanismi fibrinolitici che forniscono la perfusione e la nutrizione necessarie per la riparazione dei tessuti periferici.

I MASTOCITI

I mastociti hanno lo scopo di partecipare alla guerra contro i parassiti (al contrario della guerra contro gli invasori batterici o virali). Sono legati all’interno dei tessuti che si interfacciano con il mondo esterno come la pelle, il tratto respiratorio o quello intestinale. Non circolano attraverso il corpo.

Il mastocita possiede granuli di sostanze biochimiche particolarmente infiammatorie destinate all’uso contro i parassiti invasori, come piccole bombe che possono essere rilasciate. Il mastocita ha siti di legame sulla sua superficie per un tipo di anticorpo chiamato IgE. Le IgE sono prodotte in risposta all’esposizione ad antigeni tipici dei parassiti (es. proteine della pelle del verme o proteine di forma simile). Gli anticorpi IgE, che hanno la forma di minuscole Y, trovano la loro strada verso un mastocita tissutale e si appollaiano lì. Con una sufficiente esposizione all’antigene in questione, i mastociti possono essere rivestiti da anticorpi IgE a forma di Y come la peluria di un dente di leone. Si dice che il mastocita, a questo punto, sia sensibilizzato.

Come detto, gli anticorpi IgE sono a forma di Y. Il loro piede è piantato nel mastocita mentre le loro braccia si alzano sperando di catturare l’antigene per il quale sono state progettate individualmente. Quando l’antigene arriva e viene catturato dagli anticorpi IgE, questo dovrebbe indicare che un parassita è vicino e il mastocita, come una mina terrestre, si degranula rilasciando le sue armi biochimiche tossiche. Queste sostanze chimiche sono dannose per il parassita, inoltre servono come segnali ad altre cellule immunitarie che è in corso una battaglia, affinchè si uniscano.

Il problema è che il mondo odierno è più pulito e senza molti parassiti e quello che purtroppo tende ad accadere è che il sistema IgE/mastociti viene stimolato con altri antigeni che sono di forma o dimensione simili agli antigeni parassiti. Questi prossimi antigeni migliori, sono solitamente proteine del polline e il risultato è un’allergia. Invece di uccidere un parassita invasore, le sostanze biochimiche dei mastociti producono arrossamento locale, prurito, gonfiore e altri sintomi che associamo alle reazioni allergiche.

I GRANULOCITI EOSINOFILI

I granulociti eosinofili, il cui nome deriva dalla presenza al loro interno di granuli in grado di legare fortemente l’eosina, una sostanza colorante (rosso-arancio) usata durante l’analisi di laboratorio, una volta maturi circolano nel sangue per 6-10 ore, per migrare poi nei tessuti dove svolgono la loro funzione per ulteriori 8-12 giorni.

Hanno funzione di difesa dell’organismo, ricoprendo importanti ruoli nei meccanismi di reazione allergica e nella difesa da parassiti ed elminti (vermi). Sono inoltre in grado di rilasciare mediatori per i processi infiammatori e l’uccisione dei microbi.

Una seconda importante funzione, benché negativa per l’uomo, è la secrezione di leucotrieni, molecole coinvolte nella patogenesi dell’asma, in grado di stimolare tra l’altro la secrezione di muco e favorire lo sviluppo di broncocostrizione.

I MONOCITI

I monociti maturano divenendo mastociti poi macrofagi dotati di attività fagocitaria e di stimolo nei confronti dei linfociti T.
I monociti sono fagociti mononucleati che derivano dal midollo osseo e circolano nel sangue. Si possono suddividere in tre classi in funzione della presenza sulla loro superficie di due marcatori CD14 e CD16:

  • I monociti classici hanno CD14 maggiori di CD16 (CD14>CD16). Hanno un’azione fagocitaria, producono interferone 1 e interleuchina 15 (IL15) necessari per attivare le Natural killer.
  • I monociti intermedi presentano alta espressione di CD 14 ma anche un aumento di CD 16 (CD14 = CD16)
  • I monociti non classici presentano l’espressione di CD 16 maggiore di CD 14 (CD 14<CD16)

Questi ultimi due (intermedi e non classici) hanno una ridotta capacità fagocitaria e sono le principali fonti di citochine pro infiammatorie come interleuchina1B, interleuchina 6, interleuchina 8 e TNFa.

Tutti i monociti emergono dal midollo osseo come monociti classici, col tempo si differenziano in monociti intermedi e poi in monociti non classici.

I monociti classici sono di fatto cellule immunitarie giovani, i monociti intermedi sono adulti e monociti non classici sono quelli vecchi. Quest’osservazione è fondamentale perché nelle infezioni da Covid o in alcune sepsi, si è dimostrata una maggiore presenza di monociti non classici, che, anziché fagocitare i virus, producono le interleuchine proinfiammatorie presenti nella tempesta citochinica della malattia virale. Da qui diventa indispensabile l’esame che analizza il volume dei monociti, infatti appurato se esiste una presenza eccessiva di monociti non classici o quelli intermedi, si potrà fare una diagnosi e prognosi della malattia in atto.

LE CELLULE DENDRITICHE

Le cellule dendritiche sono tra le più importanti di cui disponiamo, perché sono il punto di contatto tra l’immunità innata e quella adattativa. Queste cellule derivano dal midollo e nascono da seguenti progenitori: cellule dendritiche convenzionali e cellule dendritiche plasmocitoidi. Hanno la capacità di migrare negli organi linfoidi secondari ed attivare i linfociti T, e una volta incontrato il patogeno, lo fagocitano. Lo elaborano formando epitopi che lo espongono sulla membrana esterna dove è presente l’antigene.

Quindi le cellule dendritiche sono delle vere proprie sentinelle presenti nei tessuti che insegnano ai linfociti THelper CD4 a riconoscere i patogeni e quindi a cascata ai linfociti T killer CD8 citotossici a uccidere le cellule infettate e ai linfociti B a produrre gli anticorpi. Sono grandi produttrici di interferone 1 alfa.

LE CELLULE NATURAL KILLER

Le natural killer sono cellule che somigliano ai linfociti ma differentemente da loro non hanno bisogno di cellule presentanti che le istruiscono a distruggere le cellule infettate dai virus, esse sono subito pronte ad eliminare i bersagli, hanno un’azione citotossica sia contro le cellule infettate da virus sia contro quelle tumorali. Presentano uno sviluppo extra timico, provengono dalla linea linfoide (linfonodi) sono normalmente presenti nei tessuti come presidio per contrastare eventuali infezioni batteriche e virali.

Le armi delle natural killer sono la produzione di interferone 2, la produzione di perforina e granzima e il rilascio di TNF alfa che induce l’apoptosi delle cellule bersaglio. Queste cellule attivano il sistema immunitario catturando gli antigeni ed esponendoli all’azione delle cellule “killer”.

Anche le piastrine rappresentano un elemento fondamentale nell’immunità innata, ad esempio sono anch’esse delle vere e proprie sentinelle alla continua ricerca di patogeni. Nascono dal midollo e hanno il compito anche di mantenere l’integrità della barriera endoteliale nei polmoni soprattutto durante l’infiammazione. Allo stesso tempo, però, possono attivare l’infiammazione sintetizzando l’interleuchina 1B inducendo l’aumento della permeabilità endoteliale.

Studi realizzati sul COVID dimostrano una maggiore presenza di piastrine aggregate ai neutrofili.

IMMUNITA’ SPECIFICA ADATTATIVA

I Linfociti si dividono in Linfociti T (dal Timo) (sintetizzati nel midollo e differenziati nel timo) e Linfociti B (borsa di Fabrizio) (sintetizzati nel midollo e poi differenziati nei linfonodi). Mediano l’immunità acquisita, combattono specifici agenti virali e cellule tumorali (linfociti T citotossici) e coordinano l’attività dell’intero sistema immunitario (linfociti T helper). I linfociti T maturano nel timo e circolano nel sangue e nel sistema linfatico riconoscendo le cellule dell’organismo come proprie ed evitando di aggredirle.

Esistono diversi tipi di linfociti T: le popolazioni meglio definite sono le cellule T helper e le cellule T killer. Per riconoscere l’antigene, i T helper hanno bisogno di venire a contatto con altre cellule che presentino loro quel particolare antigene (cellule dendritiche, macrofagi, linfociti B).

I macrofagi, le cellule “spazzine” del nostro organismo, dopo aver “mangiato e digerito” una struttura estranea, espongono frammenti di antigene sulla loro superficie (epitopi) in modo da mostrarli ai T helper, che, se li riconoscono, si attivano secernendo sostanze chiamate citochine. Le citochine aiutano gli altri tipi di linfociti T ad eliminare le cellule estranee che hanno aggredito l’organismo (attività citotossica).

I LINFOCITI T

I linfociti T sono presenti in due principali sottopopolazioni: T-Helper (con recettore CD4+) e T-Killer (con recettore CD8+).

I linfociti T Helper- CD4, presiedono alla regolazione di tutte le risposte immuni per mezzo del rilascio di citochine che aiutano i linfociti B a formare anticorpi ed i linfociti T citotossici. Hanno quindi una funzione aiutante di coordinamento.

Esse sono un tipo di globuli bianchi in grado di attivare una risposta specifica per ogni tipo di sostanza estranea. Hanno una blanda capacità di uccidere le cellule infette, perché la loro funzione principale è quella di stimolare e attivare la produzione degli anticorpi e l’attività citotossica detti CD8.

le cellule CD4 sono prodotte dal timo, circolano in tutto il corpo attraverso il sangue e il sistema linfatico. Dopo che incontrano le cellule presentanti l’antigene, la maggior parte si differenzia in una varietà di sotto insiemi di cellule per TH 1 e TH 2 TH 17 o T-regolatori. In particolare, quando una cellula CD4 entra in contatto con un antigene, questo induce la formazione di un complesso noto come sinapsi immunologica che precede l’attivazione delle cellule T.

La differenziazione specifica, se TH1. Th2, th17 o TH regolatore, dipende dalla presenza di citochine che ne decidono il lignaggio. Ad esempio, dall’esposizione dell’interleuchina 12 (IL12) e dell’interferone gamma, si formano le TH1, specifici per attivare la risposta immunitaria citotossica nei confronti delle cellule non self, ovvero quelle invase da virus o cellule tumorali. A loro volta producono interleuchine specifiche come l’interferone gamma e TNF B.

Invece l’esposizione all’interleuchina 4 induce la formazione delle TH2. Sono specifiche per uccidere patogeni extracellulari, parassiti e batteri e a loro volta producono interleuchine specifiche 4 – 5 – 13.

I linfociti T Killer (CD8+) presiedono alla risposta immune esercitando un’azione tossica contro le loro specifiche cellule bersaglio (cellule infettate e cellule tumorali). Hanno quindi una funzione di demolizione di cellule estranee, ovvero quelle cellule che esprimono un DNA non conforme alle cellule normali.

Dopo l’attivazione riconoscono le molecole di un complesso di maggiore istocompatibilità presente su tutte le cellule nucleate del nostro organismo. È come se le cellule infette avessero un’antenna sulla testa con la quale avvisano i linfociti CD8 di essere un pericolo per l’organismo.

Una volta avvenuto il riconoscimento, il legame causa la formazione della sinapsi. I linfociti CD8 sferrano il colpo letale con l’apertura dei granuli che inducono l’apoptosi delle cellule bersaglio rilasciando granzimi, perforina, serglicina, granulisina.
I linfociti CD8 producono anche interferone 2 gamma che induce l’attivazione dei macrofagi e la loro conseguente azione di fagocitosi.

L’azione citotossica dei linfociti T CD8 è la più importante arma di difesa dell’immunità adattativa in quanto in grado di distruggere le cellule infettate dai virus e quindi impedire un’eccessiva replicazione virale. Purtroppo, però, non è sufficiente che linfociti CD8 incontri le CD 4 Helper per attivare e svolgere il loro lavoro, deve infatti instaurarsi un micro ambiente cito chimico che permette la maturazione dei linfociti CD8 immaturi presenti nel timo.

TIPIZZAZIONE LINFOCITARIA

I linfociti sono suddivisi in diverse sottopopolazioni caratterizzate da antigeni (proteine) chiamati CD (cluster differentiation, gruppo di differenziazione) presenti sulla superficie cellulare:

  • linfociti T totali (CD3), hanno sulla superficie della membrana l’antigene CD3. Sono essenziali nell’immunità cellulo-mediata. I linfociti T rappresentano il 60-80% circa dei linfociti totali circolanti nel sangue;
  • linfociti T Helper (CD4), sono chiamati linfociti CD3+/CD4+ perché sulla loro superficie cellulare, oltre all’antigene CD3, è presente l’antigene CD4 che conferisce loro la proprietà di stimolare o “aiutare” (Helper) i linfociti B a produrre anticorpi. L’antigene CD4 è presente in tutti i disordini linfoproliferativi cronici T;
  • linfociti T citotossici (CD8), sono chiamati CD3+/CD8+ perché sulla loro superficie cellulare, oltre all’antigene CD3, è presente l’antigene CD8. Hanno la funzione di distruggere virus, batteri o altri antigeni estranei all’organismo;
  • linfociti T regolatori (CD25), sono detti CD4+/CD25+ e hanno una funzione regolatrice sulla produzione dei linfociti T Helper;
  • linfociti B (CD19), sono detti linfociti CD3+/CD19+. I linfociti B, prodotti nel midollo osseo, hanno la funzione di produrre anticorpi. La conta dei linfociti B è utile per valutare la loro maturità e per accertare (diagnosticare) la leucemia B cronica e la leucemia prolinfocitica. I linfociti B possono essere ulteriormente suddivisi in sottopopolazioni identificate con CD38. L’analisi di queste sottopopolazioni è utile per accertare (diagnosticare) malattie linfoproliferative;
  • linfociti NK (Natural Killer), sono detti CD3+/CD56+. Sono una sottopopolazione linfocitaria in grado di produrre citochine (per esempio l’interferone gamma) e di riconoscere e distruggere le cellule tumorali e le cellule infettate da virus. La rilevazione dei linfociti NK è utile per valutare lo stato immunitario di persone con malattie in corso o che si stanno sottoponendo a trattamenti immunodepressivi e per verificare la reazione immunitaria delle persone sottoposte a trapianto d’organo.

Utilizzando degli anticorpi specifici, diretti verso i vari antigeni presenti sulla membrana cellulare, è possibile differenziare le diverse sottopopolazioni linfocitarie.

TH-CD4:

  • presentano i recettori di membrana CD4;
  • riconoscono antigeni presentati dal MHC II;
  • inducono differenziamento dei linfociti B in plasmacellule (quest’ultime produttrici di anticorpi);
  • regolano l’attività dei linfociti T citotossici;
  • attivano i macrofagi;
  • secernono le citochine (interleuchine);
  • esistono diversi sottotipi di linfociti T helper; Th2 e Th1. 


TK-CD8:

  • riconoscono gli antigeni presentati dal MHC I;
  • colpiscono selettivamente cellule infettate da virus e cancerogene;
  • regolati dai T Helper.

I linfociti T Killer CD8 liberano anche potenti sostanze chimiche, le LINFOCHINE, che attirano i macrofagi e stimolano e facilitano la fagocitosi (attaccano direttamente la cellula estranea provocando dei fori, che facilitano il lavoro dei macrofagi).

I linfociti TH 17 sono in grado di proteggere da patogeni extracellulari funghi e batteri e a loro volta producono interleuchine specifiche e alle 17 – 21 – 22. Quando un’infezione è stata sconfitta, l’attività del linfocita B e T viene bloccata grazie all’azione di altri linfociti T detti soppressori che, appunto, sopprimono la risposta immunitaria: tuttavia, questo processo non è del tutto chiaro ed è attualmente fonte di diversi studi.

RICAPITOLO:

I linfociti T si dividono in T-killer, T-Helper, e T regolatori.

I T-killer, con funzione di demolizione di cellule estranee, hanno come recettore il CD8 mentre i T-Helper, con funzione di coordinamento, attraverso il rilascio delle citochine, hanno come recettore CD4. Quindi mentre i T-Killer attraverso i recettori CD8 hanno un’azione citotossica, i T-Helper attraverso i recettori CD4 secernono citochine in seguito alla stimolazione antigienica fungendo da aiutanti nella risposta immunitaria adattativa.

TH1 – TH2

I TH1 sono favoriti dalla acidosi tessutale e danno una risposta cellulo-mediata, ovvero non hanno bisogno di interagire con i linfociti B e coi i loro anticorpi per attivare una risposta immunitaria. Essi producono alcuni mediatori: interleuchina2, interferone gamma e beta e agiscono direttamente su virus e cellule tumorali.

I TH2 sono stimolati da disbiosi e dalle nitrosamine e sono responsabili della risposta umorale, ovvero attivano i linfociti B e di conseguenza la produzione di anticorpi. Quindi producono citochine come IL-4 – 5- 6 e interferone B mediati dal rilascio dell’istamina, eosinofili e prostaglandine. Questi attivano i mastociti preposti al rilascio di agenti vasodilatatori, anticoagulanti e infiammatori.

I TH3 modulano e regolano i TH1 e TH2 precedenti.

Quando il nostro corpo è attaccato da una forma di antigene, tramite le cellule dendritiche fa maturare i linfociti (naive) vergini verso la sottospecie adatta alla risposta (i linfociti TH1 in caso di virus e cellule neoplastiche, o linfociti TH2 in caso di batteri o allergeni), i quali incominciano a produrre le interleuchine che stimoleranno gli altri linfociti vergini ad aumentare la popolazione linfocitaria a favore di una delle due sottospecie, mentre l’altra diminuirà sensibilmente (sbilanciamento TH1/TH2).

Terminato l’evento infettivo, entrano in gioco i linfociti TH3 regolatori, i quali producono uno speciale mediatore chiamato Tgf-B, che inattiva le interleuchine di entrambe le classi di linfociti facendo così cessare la produzione di linfociti e diminuendo l’infiammazione.

Esiste inoltre un altro sistema di regolazione, rivolto però SOLO ai linfociti TH1. Difatti l’eccessiva produzione di questo tipo di linfocita può portare ad un effetto di distruzione delle nostre cellule da parte del sistema immunitario (malattie autoimmuni). L’evoluzione infatti ha fornito il nostro corpo di un’arma straordinaria, ovvero il cortisolo prodotto dalle ghiandole surrenali che uccide in maniera selettiva i linfociti TH1 e i linfociti T killer velocizzando il ritorno alla omeostasi.

In altre parole, quando c’è un’eccessiva produzione di TH1 in risposta alla eccessiva acidità dei tessuti, ci potrà essere una risposta esagerata cellulo-mediata che potrà rivolgersi anche al nostro organismo creando situazioni di autoimmunità.
In tal caso interviene subito il cortisolo endogeno che fa ridurre la produzione di TH1 velocizzando e riportando l’omeostasi.

Ovviamente in caso di eccessiva risposta, una smisurata produzione di cortisolo endogeno porta a un’eccessiva iperglicemia con un paradossale aumento dell’acidità per toppa glicolisi (troppo atp da acido piruvico e lattico).

Quando invece per vari motivi allergeni vengono in circolo si ha una proliferazione di TH2 i quali tramite le interleuchine 3 e di interleuchina 5 stimolano eosinofili e mastociti producendo più istamina ed acido arachidonico responsabili della cascata infiammatoria.

L’interleuchina 4 inibisce la stimolazione di TH1 sbilanciando verso un aumento di TH2 rendendo l’organismo più vulnerabile verso infezioni virali e crescita di cellule tumorali. Inoltre l’interleuchina 4 stimola la produzione di IGE creando allergie, infatti i soggetti allergici hanno una stimolazione costante e sbilanciano verso il TH2 e quindi i soggetti sono più scoperti verso le difese della malattia virale e tumorale.

Mangiare troppi zuccheri porta a disbiosi che porta alla decarbossilazione delle proteine con produzione di istamina, cadaverina, putrescina e spermidina.

Gli enzimi Dao, Mao, Pao, sono in genere in grado di distruggere queste ammine endogene tossiche, ma in caso di troppa disbiosi questi enzimi vengono distrutti e si ha la sindrome da sgocciolamento e intolleranza alimentare. Quando queste sostanze vanno in circolo creano una situazione di sbilanciamento TH1 e TH2 a favore dei TH2.

Il TH17 stimolato da funghi e batteri, è mediato dall’aumento dell’interleuchina 6 ed è stimolato da funghi e candida entrando nel complesso sistema delle malattie autoimmunitarie, nelle psoriasi e nelle malattie neurologiche (sclerosi a placche).

LINFOCITI B

I linfociti B (cellule B) maturano nel midollo osseo e si localizzano nei linfonodi.

Anche il linfocita B si attiva a contatto con un antigene. Stimolato dall’antigene, il linfocita B si riproduce diverse volte, (blsatizzazione) dando origine a svariate cellule figlie, tutte identiche, dette cloni. (In questa blastizzazione si rilasciano tutti gli ormoni ipofisari tra cui anche il Gh che provoca la classica febbre di crescenza).

Parte di queste cellule cloni si attiva poi in plasmacellule, che sono i genitori degli anticorpi specifici nei confronti di un determinato invasore. La restante parte di cloni ha invece funzione di cellule della memoria per fronteggiare in maniera più rapida e specifica eventuali aggressioni future da parte dello stesso antigene.

I linfociti B originano dal midollo osseo. Una volta differenziati in plasmacellule producono gli anticorpi e sono le uniche cellule del corpo a farlo. Una volta che incontrano gli antigeni possono maturare e produrre le immunoglobuline M con una bassa affinità al patogeno.

Nel secondo caso, quando si parla di anticorpi neutralizzanti, linfociti B, dopo aver interiorizzato il virus devono incontrare le cellule presentanti l’antigene come TH CD4 nei linfonodi per combaciare con i dati di riconoscimento. In pratica se non viene confermata l’esistenza della minaccia tramite l’abbinamento dell’informazione linfociti B non maturano. A questo punto il linfocita B inizia a duplicarsi e a produrre gli anticorpi IGG, IGE, IGM E IGD, tutti a forma di Y.

Le principali funzioni delle immunoglobuline possono essere così riassunte:

Attivazione del complemento: il complemento rappresenta un meccanismo di difesa del sistema immunitario che scatena un’azione citotossica capace di distruggere la membrana cellulare del patogeno.

Agglutinazione: gli anticorpi legandosi all’antigene e fra sé stessi generano strutture definite immunocomplessi che tendono a precipitare.

Citotossicità cellulare dipendente da anticorpi: le immunoglobuline soprattutto le IGE riconoscono un antigene e reagiscono attaccandosi alla membrana cellulare del patogeno. Le natural killer e i macrofagi riconoscono le immunoglobuline, vi si legano inducendo citotossicità nei confronti della cellula estranea.

Neutralizzazione: le immunoglobuline IGG e IGA hanno la capacità di unirsi direttamente ai virus coprendo la porzione virale che consente loro di legarsi alle cellule impedendo quindi l’entrata nelle cellule.

Opsonizzazione: gli anticorpi sono in grado di avvolgere un virus rendendolo più appetibile per la fagocitosi.

Protezione delle mucose: le IGA sono capaci di rivestire le mucose dei tessuti svolgendo la funzione di barriera nei confronti dell’ingresso del virus.

Gli anticorpi vengono catalogati in 5 classi, ovvero: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM

IgG: risposta immunitaria secondaria, antibatterica e antivirale; sono quelle più rappresentative dal punto di vista numerico. Hanno il ruolo di stimolare la fagocitosi dei patogeni ad opera dei fagociti e di attivare il sistema del complemento e nella funzione di neutralizzare il virus. Il loro limite è che vengono prodotti dopo 12 giorni.

IgM: risposta immunitaria primaria. Fissa il complemento e provvede alla lisi degli agenti patogeni; hanno un’emivita di 5/10 e vengono prodotte senza maturazione a contatto con l’antigene. Sono poco efficienti rispetto ad altre classi ma più specifiche nel promuovere l’agglutinazione e nell’attivare il complemento. A causa delle loro elevate dimensioni però non si diffondono facilmente e risultano scarsamente presenti nei liquidi interstiziali, sono presenti soprattutto nel sangue nel liquidò linfatico.

IgA: risposta immunitari primaria. Fissa il complemento e provvede alla lisi degli agenti patogeni livello delle mucose polmonari e intestinali. Sono distribuite nelle secrezioni corporee del tratto digerente e respiratorio, sono presenti anche nel latte materno, nella saliva e nella bile. Svolgono le fondamentali funzione di immunità neonatale ed immunità a livello delle mucose.

IgE: reazione allergiche di tipi 1. Sono coinvolte nella risposta immunitaria nei confronti dei parassiti ma svolgono una funzione fondamentale nel corso delle reazioni allergiche. La loro produzione viene stimolato dall’istamina.

IgD: azione modulatoria sulle altre immunoglobuline. Rappresentano la porzione più piccola di tutti gli isotipi e rappresentano 1%. Si trovano unicamente sulla superficie dei linfociti B immaturi, hanno la sola funzione di attivare linfociti e promuovere il differenziamento in plasmacellule. In definitiva, le vere immunoglobuline, quelle in grado di neutralizzare il virus, sono le IGG, IGE,

IGA, ma vengono prodotte solo a seguito dell’incontro con i linfociti TH CD4. Per attivare le cellule B, che nel frattempo si sono trasformate in plasmacellule, deve esserci la presenza di specifiche interleuchine. Nel caso delle IGE è necessaria la presenza dell’interferone 2 gamma, per le IGG, l’interleuchina 4, per IGG il fattore di crescita trasformante beta (TGF B).

Gli anticorpi possono anche legare ed inattivare alcune tossine batteriche e concorrono ad alimentare l’infiammazione attivando il complemento ed i mastociti.

Gli antigeni immunogeni sono molecole in grado di stimolare la sintesi di anticorpi; in particolare tutte queste molecole presentano una piccola parte in grado di legarsi al suo specifico anticorpo. Tale porzione, detta epitopo, differisce generalmente da antigene ad antigene. Ne consegue che ogni anticorpo riconosce ed è sensibile solo ad uno o più epitopi specifici e non all’intero antigene.

Il sistema immunitario è molto complesso per il numero smisurato di mediatori e messaggeri che, emessi dalle cellule normali o immunitarie, regolano e alterano le difese. Tra le più importanti troviamo le interleuchine, il fattore di necrosi tumorale, l’istamina e gli interferoni. Le citochine sono mediatori polipeptidi che fungono da segnale di comunicazione fra le cellule del sistema normale immunitario e si distinguono in quattro famiglie.

MEDIATORI INTERCELLULARI

Il sistema immunitario è molto complesso per il numero smisurato di mediatori e messaggeri che, emessi dalle cellule normali o immunitarie, regolano e alterano le difese. Tra le più importanti troviamo le interleuchine, il fattore di necrosi tumorale, l’istamina e gli interferoni. Essi sono mediatori polipeptidi che fungono da segnale di comunicazione fra le cellule del sistema normale e immunitario.

CITOCHINE

Le citochine possono avere un effetto autocrino (modificando il comportamento della stessa cellula che l’ha secreta), o paracrino (modificano il comportamento di cellule adiacenti). Alcune citochine possono invece agire in modo endocrino, modificando cioè il comportamento di cellule molto distanti da loro. Hanno una vita media di pochi minuti.

Queste proteine possono essere distinte in 4 gruppi (basati sulla loro struttura):

  • famiglia delle ematopoietine, che include diversi fattori di crescita, tra cui l’eritropoietina (Epo) e varie interleuchine;
  • famiglia dei TNF (tumor necrosis factor), tra cui il TNF-α;
  • famiglia delle chemochine, tra cui MIP-1α e RANTES, importanti nel controllo del virus dell’HIV;
  • famiglia delle interleuchine dall’IL-1 all’IL-36.
  • famiglia degli interferoni.

INTERLEUCHINE

Le interleuchine sono delle proteine prodotte all’interno delle cellule soprattutto immunitarie, ma anche normali, che vengono secrete e rilasciate nella matrice extracellulare. Ad oggi sono state studiate ben 36 diversi interleuchine.
La tempesta citochinica molte volte è responsabile della morte dei pazienti e questo accade quando l’eccesso citochinico non fa comunicare il sistema immunitario primitivo con quello adattivo. Le Interleuchine, fungono da messaggeri chimici “a corto raggio d’azione”, agendo specialmente tra cellule adiacenti:

  • L’Interleuchina-1 viene prodotta dai macrofagi e ha come bersaglio i linfociti T, linfociti B e altri tipi di cellule come gli epatociti in cui stimola la produzione di proteine della fase acuta come la proteina C, permette l’extravasazione di molte cellule infiammatorie.
  • L’Interleuchina-2 viene prodotta dai linfociti TH1 e agisce sulle medesime cellule T, sulle cellule NK e stimola la proliferazione e il differenziamento cellulare.
  • L’Interleuchina-3 viene liberata dai linfociti Th1 e agisce sulle cellule emopoietiche indifferenziate come fattore di crescita e favorisce la crescita dei mastociti
  • L’Interleuchina-4 è liberata dai linfociti Th2 e ha come bersaglio i linfociti B su cui stimola la crescita e la commutazione di classe verso le IgE.
  • L’Interleuchina-5 viene liberata dai linfociti TH2 e agisce sui linfociti B in cui stimola la produzione di IgA.
  • L’Interleuchina-6 è secreta dai linfociti TH1 e dai macrofagi, aumenta nel movimento muscolare. nelle neoplasie, artrite reumatoide e polmoniti interstiziale. Regola la fisiologia dell’infiammazione.
  • L’Interleuchina-8 ha il compito di attivare i neutrofili.
  • L’Interleuchina-10 la più importante viene prodotta dai linfociti Th2 e agisce sulle cellule Th1 inibendole. Spegne l’infiammazione e stimola la riparazione tessutale.
  • L’Interleuchina-11 viene liberata dai macrofagi, cellule dendritiche e agisce sui linfociti B, sui precursori megacariociti e induce crescita e attivazione.
  • L’Interleuchina-12 stimola l’attività citotossica delle natural killer.
  • L’Interleuchina-17 altamente proinfiammatoria.

Queste piccole proteine agiscono legandosi a specifici recettori localizzati sulle membrane cellulari delle cellule bersaglio e ognuno traduce uno specifico segnale che alla fine porterà a modifiche in quelle stesse cellule.

INTERFERONI

Gli interferoni vengono prodotti sia da alcune cellule immunitarie sia da fibroblasti ed hanno il compito di inibire la replicazione dei virus all’interno delle cellule infette, di impedire la diffusione virale ad altre cellule, di rafforzare l’attività delle cellule preposte alle difese immunitarie e di promuovere l’azione immunitaria adattativa.

Esistono tre tipi di interferone: interferone 1 (che si suddivide in alfa e beta), interferone 2 (di tipo gamma) e interferone 3 (di tipo lambda). Essi sono prodotti dai linfociti NK e da altri tipi di cellule, così chiamate per la loro capacità di interferire con la riproduzione virale. Gli interferoni facilitano (interferiscono) le cellule che partecipano alla difesa immunitaria e alla reazione infiammatoria, sono attivi contro i virus, ma non li attaccano direttamente, bensì stimolano le altre cellule a resistere ad essi, in particolare:

  • agiscono sulle cellule non ancora infettate inducendo uno stato di resistenza all’attacco virale (interferone alfa ed interferone beta);
  • contribuiscono ad attivare le cellule Natural killer (NK);
  • stimolano i macrofagi ad uccidere le cellule tumorali o infettate da virus (interferone gamma);
  • inibiscono la crescita di alcune cellule tumorali. o interferone alfa sono prodotti dai TH2
  • Interferone beta e gamma sono prodotti dai TH1

L’interferone 1 alfa è da considerarsi la molecola più importante del sistema immunitario contro i virus, il vero regista della risposta immunitaria innata, il punto di congiunzione con quella adattativa. La vera campionessa di produzione di questo interferone è la cellula dendritica. Come interferone di tipo 1 agisce sulle cellule immunitarie migliorando la funzione fagocitaria dei macrofagi, regolando la migrazione dei neutrofili nei tessuti infetti, promuovendo l’accumulo delle cellule natural killer influenzando la capacità delle cellule T CD4 di fornire aiuto alle cellule B stimolando il rilascio dell’interleuchina 12 15 18 da parte delle cellule dendritiche.

L’interferone 2 gamma va considerato il regista della risposta immunitaria adattativa. Infatti, prende il testimone dal suo omonimo di tipo 1, e prosegue il lavoro influenzando tutte le risposte specifiche contro il virus identificato. È prodotto dalle cellule natural killer, dei linfociti attivati T CD4 di tipo TH1 e dalle cellule T CD 8 citotossica.

FATTORE DI NECROSI TUMORALE

  • Fattori di necrosi tumorale: secreti dai macrofagi e dai linfociti T in risposta all’azione delle interleuchine IL-1 e IL-6; permettono di alzare la temperatura corporea, dilatare i vasi.
  • È una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica ed è un membro di un gruppo di citochine che stimolano la reazione della fase acuta. Promuove azioni biologiche necessarie al funzionamento del sistema immunitario innato. Infatti interagisce con l’ipotalamo, il fegato, le cellule immunitarie e molti altri tessuti.


ISTAMINA

L’istamina è un’ammina biogena, uno dei mediatori chimici dell’infiammazione e deriva dalla decarbossilazione dell’istidina ad opera della istidina decarbossilasi. Condivide numerosi effetti con la serotonina. Ha un ruolo come neurotrasmettitore e un ruolo come pro infiammatorio. Essa provoca vasocostrizione arteriosa per cui produce ipertensione, vaso dilatazione delle arteriole, aumento della permeabilità dei capillari e delle vene.

È cronologicamente uno dei primi mediatori che intervengono nei sintomi dell’attacco dell’asma allergico. In effetti, l’istamina è una citochina prodotta in grandi quantità dai mastociti e queste cellule immunitarie sono le prime ad attivarsi in maniera sregolata nella tempesta citochinica.

 Uno degli aspetti più inquietanti di questa citochina è che stimola i mastociti e la produzione di citochine pro infiammatorie e, tramite la sua azione induce il rilascio dell’interleuchina uno 6 – 10 con la produzione di fattori di crescita trasformante beta.

Questo significa che l’istamina gioca un ruolo determinante nell’infiltrazione dei leucociti e nella deposizione di collagene. Inoltre non meno pericolosa la sua azione nel direzionare il sistema immunitario verso il fenotipo TH2.

Non a caso, l’istamina svolge un ruolo centrale nella patogenesi delle malattie allergiche. Quindi regole differenziale dei linfociti T Helper verso TH2 con la relativa secrezione di citochine TH2, interleuchina 5 – 4 – 10 – 13 e inibizione della produzione delle citochine TH1 con l’interleuchina 12 -2 e interferone gamma. Questo significa che attiva eccessivamente le plasmacellule inibendo allo stesso tempo l’importante azione dei linfociti T CD8 citotossici che non sono più in grado di riconoscere le cellule infette e di ucciderle prima che rilascino migliaia di copie virali.

Il sistema del complemento è costituito da a 20 proteine che “completano” l’uccisione degli agenti patogeni da parte degli anticorpi. Queste proteine si legano all’antigene e con un meccanismo a cascata marcano la distruzione formando poi gli anticorpi.

Le proteine del complemento sono assimilabili a messaggeri che sincronizzano le comunicazioni tra le varie componenti del sistema immunitario.

Le citochine circolano nel sangue e vengono sequenzialmente attivate, con un meccanismo a cascata (l’TMattivazione di una innesca quella delle altre), in presenza di stimoli appropriati. Quando si attivano, le citochine scatenano una serie di reazioni enzimatiche a catena che fanno acquisire ad alcuni componenti del sistema immunitario particolari caratteristiche, per esempio, attirano i fagociti e i linfociti B e T nel sito di infezione tramite un meccanismo detto chemiotassi.

Il sistema del complemento possiede inoltre una capacità intrinseca di ledere le membrane degli agenti patogeni provocando su di esse pori che portano alla lisi. Infine, il complemento ricopre le cellule batteriche “etichettandole” (opsonizzazione) come patogene, facilitando l’azione dei fagociti (macrofagi e neutrofili) i quali le riconoscono e le distruggono.

NOTA BENE: l’attivazione del complemento è un meccanismo comune sia all’immunità innata che a quella acquisita.

Esistono infatti tre vie distinte di attivazione del complemento:

  1. la via classica, mediata dagli anticorpi (immunità specifica);
  2. la via alternativa, attivata direttamente da alcune proteine delle membrane cellulari dei microbi (immunità innata);
  3. la via lectinica (utilizza il mannosio come sito di attacco alle membrane dei patogeni)
    I fattori di istocompatibilità maggiori e minori distinguono il Self dal non Self.

MECCANISMO D’AZIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Il sistema immunitario si muove sostanzialmente in tre fasi:

  • l’attivazione del sistema innato,
  • l’attivazione del sistema adattivo,
  • la risoluzione dell’infiammazione con la ricostruzione dei tessuti.


Nella prima fase viene attivato il sistema innato che deve in progressione svolgere le seguenti fasi:

  • lanciare l’allarme e formare il microambiente infiammatorio;
  • restringere la replicazione virale all’interno delle cellule infette;
  • reclutare cellule effettrice del sistema immunitario innato;
  • innescare la risposta immunitaria adattiva.


Nella seconda fase si attiva il sistema immunitario adattativo che si svolgerà le seguenti funzioni:

  • specializzare le cellule TH- CD4 (TH1- TH2) a riconoscimento del patogeno specifico;
  • attivare e far migrare le TK-CD8 citotossiche che inizieranno ad uccidere le cellule infette;
  • far maturare le cellule B ed iniziare la produzione degli anticorpi.


Nella terza fase si conclude e risolve il processo infettivo:

  • si spegne l’infiammazione;
  • si ripristina l’omeostasi e si ricostruiscono i tessuti;
  • si differenziano le T-reg con produzione di interleuchina 10;
  • si attua l’apoptosi delle cellule del sistema immunitario;
  • si produce il TGF beta;
  • si attivano le piastrine ed altre citochine stimolante i fibroblasti.

Analizziamo in dettaglio le varie fasi.

  1. Durante la prima fase il sistema immunitario lancia l’allarme e la formazione del microambiente in forma infiammatoria. Questo allarme viene lanciato dalle cellule dendritiche, mastociti, monociti e neutrofili che cominciano a degranulare sostanze come l’istamina con l’obiettivo vasodilatatore che permette alle altre cellule immunitarie di arrivare attraverso i vasi sanguigni.Le cellule possono inibire la replicazione virale all’interno del citosol e quindi rallentare notevolmente la diffusione. Per questo scopo hanno bisogno dell’interferone – 1 prodotto principe delle cellule dendritiche.Il sistema immunitario intercetta i virus allo stato libero, rimuove le cellule morte durante il combattimento e uccide le cellule contagiate prima che rilasciano i virus che si stanno moltiplicando all’interno del citosol.Per intercettare i virus e ucciderli, il sistema ha varie modalità, ma la più diffusa è la fagocitosi. Questa ha però un limite, cioè viene distrutto un virus alla volta e dopo poco la cellula immunitaria deperisce e muore proprio per l’operazione ossidante che essa stessa ha prodotto.L’altra arma che viene usata è il rilascio di granuli tossici da parte dei neutrofili, ma che sono dannosi anche per le cellule non infette e per la matrice extracellulare.L’altro strumento a disposizione è il deposito di Nat (cioè trappole extracellulari) ad opera dei neutrofili, ma anche in questo caso i limiti sono evidenti perché le Nat oltre a uccidere i virus danneggiano le cellule e inducono l’iperattivazione delle altre cellule innate.Il sistema innato non è quindi specializzato nel riconoscere le cellule infettate, compito demandato appunto dal sistema adattivo, ma comunque ha delle cellule che si attivano in tal senso, queste sono le natural killer che sono in grado di lisare le cellule infettate con il rilascio di granuli contenenti perforina e granzima.La citochina più importante per attivare la risposta adattiva è l’interferone 1, che ricordiamo attiva le cellule TH-CD4 (TH1 – TH2) e tutta la cascata citochinica necessaria ad una robusta e veloce risposta immunitaria adattativa. Oltretutto, l’interferone 1 stimola anche proprio l’attività delle natural killer e delle altre cellule dell’immunità innata.
  2. Seconda fase. La prima azione della seconda fase è insegnare ai linfociti TH- CD4 (TH1-TH2), TK- CD8 (KILLER) e linfociti B a riconoscere il patogeno, e questo avviene grazie alla presentazione degli antigeni e con l’elaborazione dei prodotti che si chiamano epitopi, esposti sulla membrana. Una volta incontrate le CD4 si trasferiscono gli epitopi.Le CD4 attivate migrano quindi nei linfonodi dove incontreranno le CD8 tossiche e linfociti B, permettendo loro la lettura degli epitopi, trasferendo l’informazione sul patogeno da combattere.(TH1 x i virus e le cellule neoplastiche attivano le killer CD8), (TH2 per batteri e allergeni, attivano linfociti B e TH17 (x i funghi).I linfociti K-CD8 citotossici sono l’arma più potente che abbiamo. Per permettere di far proliferare i CD8 serve la presenza dell’interleuchina2 mentre per attivare la risposta di CD8 e necessaria la presenza dell’interleuchina 12 e dell’interferone 2 gamma che viene prodotto dalle natural killer, dai CD4 (famiglia TH 1) e dalla CD8 man mano che si attivano.La cosiddetta risposta anticorpale è l’ultima che viene attivata. I linfociti B producono gli anticorpi IGM che si formeranno solo dopo una media di otto giorni dal contagio, mentre gli anticorpi IGG vengono prodotti addirittura dal 9° al 12o giorno successivo l’infezione e fino a un mese.
  3. Durante la terza fase, con la riduzione della viremia e la pulizia dei tessuti dalle cellule morte, il sistema immunitario deve tornare in equilibrio, e avvia la produzione di alcune citochine che devono indurre a cascata la formazione dei linfonodi CD4 T-reg. Questo avviene tramite la produzione da parte dei mastociti e dei monociti, oltre che da cellule tessutali dell’interleuchina 6, dell’interleuchina 2 e il TGF beta (fattore di crescita trasformante beta). Questo induce la formazione delle cellule T-reg che inizieranno a produrre interleuchina 10.Il sistema immunitario non guarda in faccia nessuno: anziché premiare le cellule immunitarie che hanno combattuto contro il virus, li induce ad un suicidio collettivo, soprattutto i neutrofili, le cellule natural killer, i linfonodi T-CD4 TH1 e di linfociti CD8 citotossici.Questo compito spetta proprio ai linfociti T-reg che producono a tal scopo l’interleuchina 10. Solo quando l’infiammazione si sarà spenta sarà possibile ricostruire. Infatti terminato il conflitto si ricostruiscono le città. Nel caso del corpo c’è bisogno di fibroblasti che devono produrre sostanze della matrice extracellulare, come il collagene. Per questo è necessario che venga prodotto il fattore di crescita trasformante beta che induce la proliferazione dei fibroblasti.Anche le piastrine svolgono il loro compito nel riparare la permeabilità vascolare ripristinando il funzionamento dei vasi.

Quando il sistema non funziona alla perfezione salta la comunicazione tra il sistema innato e quello adattivo.

Nella prima fase viene attivato il sistema innato che deve, in progressione, svolgere le seguenti fasi:

  • lanciare l’allarme formazione microambiente infiammatorio,
  • restrizione della replicazione virale all’interno delle cellule infette,
  • reclutamento di cellule effettrice del sistema immunitario innato,
  • priming della risposta immunitaria adattiva. (Questo processo salta quando il sistema non funziona).

Nella seconda fase si attiva il sistema immunitario adattativo che svolgerà le seguenti funzioni:

  • specializzare le cellule TH1 e TH2 al riconoscimento del patogeno specifico (questo passaggio salta),
  • attivare e far migrare le T-CD8 (Killer) citotossiche che inizieranno uccidere cellule infette (questo passaggio salta).
  • far maturare le cellule B e iniziare la produzione degli anticorpi compresi quelli neutralizzanti (questo passaggio salta)

Nella terza fase si spegne l’infiammazione si ripristina l’omeostasi e si ricostruiscono i tessuti.

  • questo avviene grazie alla differenziazione delle T-reg con produzione dell’interleuchina 10 (grazie alla IL6 e istamina).
  • apoptosi delle cellule del sistema immunitario grazie all’istamina e interleuchina 6.
  • produzione del TGF beta, attivazione delle piastrine ed altre citochine stimolanti fibroblasti grazie all’interleuchina 6.

Quando il sistema immunitario salta, aggiungiamo una quarta fase di reclutamento violento di cellule effettrice del sistema immunitario innato come risposta immunitaria compensatoria di quella adattiva (perché o si è attivata troppo tardi o in maniera troppo debole).

Per quanto il sistema innato cerchi di fronteggiare il virus, la guerra è persa in partenza perché se non si attiva il sistema adattivo che uccide cellule infette, è impossibile fermare la replicazione virale che crescerà esponenzialmente.

La tempesta citochinica è nel suo pieno sviluppo, inducendo sia la fibrosi dei tessuti, sia l’inibizione del sistema adattivo procrastinando i processi infiammatori indotti dall’immunità innata. Questo accade perché viene degradato o non prodotto l’interferone 1. Interleuchina, necessario per l’attivazione del sistema adattivo, infatti l’interferone 1 rappresenta la citochina infiammatoria più importante prodotta dalle cellule dendritiche.

Il problema risiede nel corretto funzionamento di queste cellule dendritiche e la loro disfunzione è il motivo principale dell’alterazione del sistema immunitario. Molte volte le cellule dendritiche vengono alterate per senescenza, per inquinamento o per esaurimento delle cellule staminali progenitrici.

Altri motivi per cui l’interferone 1 non viene prodotto e perché c’è troppo cortisolo in circolo, troppi radicali liberi, troppa istamina e troppo ormone androgeno diidro-testosterone (testosterone ossidato), tutte alterazioni che portano alla distruzione delle cellule dendritiche e quindi alla loro incapacità di produrre interferone 1.

La mia strategia è fermare gli attacchi che il sistema immunitario deve affrontare ripulendo la dieta, curando l’intestino, alleggerendo il carico tossico, curando le infezioni e riducendo lo stress generale”. – Amy Myers (The Autoimmune Solution: Prevent and Reverse the Full Spectrum of Inflammatory Symptoms and Diseases)

31Mar

INDICE E CARICO GLICEMICO

La dieta è l’unico gioco in cui vinci quando perdi”. – Karl Lagerfeld

CHE COS’È L’INDICE GLICEMICO

Un cibo con IG (indice glicemico) alto produce un alto picco di glucosio nel sangue. Al contrario, un alimento con un basso IG provoca un lento rilascio di glucosio nel sangue dopo il suo consumo.

L’indice glicemico è una scala che classifica il numero di carboidrati negli alimenti da zero a 100, indicando la velocità con cui un alimento fa aumentare la glicemia di una persona. Gli alimenti ad alto indice glicemico possono causare picchi di zucchero nel sangue dannosi nelle persone con diabete. Gli alimenti ad alto indice glicemico rendono anche più difficile per una persona mantenere un peso sano.

L’IG fornisce informazioni su come il corpo digerisce i carboidrati utilizzando un sistema di punteggio da zero a 100. Lo zucchero puro ha un punteggio di 100.

Gli esperti di nutrizione classificano i carboidrati come complessi o semplici. Ad esempio, lo zucchero da tavola è un carboidrato semplice, mentre i fagioli e i cereali sono carboidrati complessi. Mentre i ricercatori una volta credevano che i carboidrati complessi avessero meno probabilità di causare picchi di glucosio nel sangue, ulteriori ricerche hanno scoperto che la relazione tra carboidrati e glucosio nel sangue è più complessa. L’IG spiega questa complessità classificando gli alimenti in base alla velocità con cui elevano la glicemia.

Più alto è l’IG di un alimento, più rapidamente aumenta la glicemia. Un alimento ad alto indice glicemico può causare picchi di zucchero nel sangue, seguiti da rapidi cali di zucchero nel sangue.

Quando la glicemia diminuisce, una persona può avere fame. Mangiare solo cibi ad alto indice glicemico può indurre una persona a mangiare troppo poiché si sentirà rapidamente di nuovo affamata dopo aver mangiato.

Seguire una dieta con un IG medio basso può ridurre il rischio di sviluppare diabete e malattie cardiache. Nelle persone che hanno già condizioni croniche, una dieta a basso indice glicemico può ridurre il rischio di complicanze e prevenire picchi di glucosio nel sangue.

I punteggi dell’INDICE GLICEMICO sono i seguenti:

  • Alimenti a basso IG: 55 o meno
  • Alimenti a IG medio: 56–69
  • Alimenti ad alto IG: 70 o superiore

La Glycemic Index Foundation suggerisce che orientarsi ad un punteggio IG di 45, può offrire benefici per la salute più significativi. Ciò non significa che una persona possa mangiare solo cibi con un punteggio IG di 45 o inferiore, piuttosto una persona dovrebbe bilanciare l’assunzione di cibi con IG più alto con cibi con un IG più basso.

È importante notare che l’IG di un alimento specifico è una stima. Diversi fattori possono influenzare l’IG di un determinato alimento:

  • La cottura tende ad aumentare l’IG. Lo stesso tipo di pasta avrà un IG più basso se è al dente rispetto a se viene cotta al punto da renderla morbida.
  • L’elaborazione in genere aumenta l’IG. Ad esempio, il succo di frutta ha in genere un IG più alto rispetto alla frutta intera.
  • I cibi maturi di solito hanno un IG più alto. L’IG di una banana, ad esempio, aumenterà man mano che la banana matura.
  • L’associazione di cibi diversi piò influenzare l’IG. La fibra riduce L’IG totale di un pasto.

ESEMPI DI INDICE GLICEMICO DI ALCUNI ALIMENTI

ALIMENTI A BASSO INDICE GLICEMICO

  • verdure non amidacee, come patate dolci e carote
  • orzo
  • pasta e cereali integrali
  • bulgar
  • legumi
  • Lenticchie
  • molti fagioli, come lima e fagioli di burro
  • crusca d’avena
  • muesli
  • riso integrale o selvatico
  • la maggior parte della frutta

ALIMENTI AD ALTO INDICE GLICEMICO

  • cereali lavorati, come riso bianco, pane bianco e pasta bianca
  • riso soffiato
  • farina d’avena istantanea
  • Popcorn
  • crackers salati
  • salatini
  • verdure amidacee, come le patate
  • zucca
  • fiocchi di mais
  • meloni
  • ananas
  • fiocchi di crusca

L’IG può aiutare a prendere decisioni salutari sulla dieta e nutrizione generale. Le persone con diabete, coloro che cercano di perdere peso e le persone a rischio di malattie cardiache, possono trarre vantaggi significativi da una dieta a basso indice glicemico, sebbene i benefici si estendano a tutti, non solo alle persone con malattie croniche.

Mangiare una dieta a basso indice glicemico non deve significare evitare tutti i cibi ad alto indice glicemico. Invece, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rimanere in equilibrio nel tempo, con una forte attenzione agli alimenti ricchi di fibre con un basso indice glicemico. Il medico dietologo può aiutare a pianificare una dieta nutriente che includa un’ampia varietà di alimenti a basso indice glicemico così da aiutare il paziente a raggiungere in maniera stabile i suoi obiettivi di peso e salute.

INDICE GLICEMICO E CARICO GLICEMICO: CHE DIFFERENZA C’È?

Indice glicemico e carico glicemico sono due paramenti strettamente collegati fra loro ma che hanno ruolo e significato diverso.

INDICE GLICEMICO

L’IG è un parametro elaborato agli inizi degli anni ’80 dal prof. Jenkins dell’Università di Toronto che classificò gli alimenti in base alla velocità con cui i carboidrati e gli zuccheri contenuti in un alimento passano nel sangue e innalzano la glicemia. Per essere più precisi, questo criterio indica la velocità con la quale 50 grammi di carboidrati, provenienti da un determinato alimento, sono capaci di aumentare la glicemia rispetto ad altri 50 grammi di carboidrati derivati però da un altro alimento standard, come per esempio il glucosio.

Ci sono alimenti che innalzano la glicemia più velocemente di altri, in funzione della quantità di fibre e altri nutrienti in essi contenuti. Per molto tempo si è ritenuto che tutti i carboidrati semplici (dolci, bibite, succhi, ecc.) fossero uguali e facessero salire rapidamente il glucosio nel sangue; viceversa, si riteneva che tutti i carboidrati complessi (verdure, legumi, cereali integrali, ecc.) lo facessero salire lentamente e in modo graduale. Ad esempio, le carote o la zucca sono state erroneamente eliminate dalla dieta di chi vuole perdere peso proprio perché hanno un indice glicemico alto ma sono uno di quei casi in cui conoscere la differenza tra indice glicemico e carico glicemico può essere determinante.

CARICO GLICEMICO

Tornando all’esempio delle carote e della zucca, infatti, se avessimo analizzato anche il carico glicemico saremmo giunti a conclusioni diverse, poiché questo valore misura l’effettiva quantità di carboidrati che un alimento contiene, nella porzione che si mangia.

Infatti, il carico glicemico degli alimenti (CG) valuta l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate.

In sintesi: mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità e tiene conto, dunque, sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.

COME SI CALCOLA IL CARICO GLICEMICO

Per studiare il carico glicemico di un pasto si usa una formula matematica (Indice glicemico /100 x g di carboidrati a porzione), ma va precisato che a seconda delle dimensioni della porzione il carico glicemico di alimenti diversi può risultare simile nonostante l’indice glicemico degli stessi sia molto diverso.

Facciamo qualche esempio:

  •   Pane bianco. Una porzione di 50 g di pane bianco contiene 24 g di carboidrati. L’IG del pane bianco è pari a 70. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 70/100×24=17
  •   Pane ai cereali. Una porzione di 100 g di pane ai cereali contiene 43 g di carboidrati.  L’IG del pane ai cereali è pari a 45. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 45/100×43=19

Secondo questo esempio, una porzione di pane ai cereali ha un carico glicemico di 19, mentre una porzione di pane bianco ridotta ha un carico glicemico pari a 17. Se aumentassimo la quantità della porzione di pane bianco, anche il carico glicemico aumenterebbe, raddoppiando.

Proviamo a fare un altro esempio prendendo in esame un altro alimento:

  •   Zucca. Una porzione da 200 g contiene 7 g di carboidrati. L’IG della zucca è 85. Il carico glicemico calcolato per porzione è: 5,95.

Lo stesso discorso fatto per la zucca vale anche per altri alimenti che hanno un IG elevato ma un basso CG: papaia, melone, barbabietola, carote, anguria, rapa, sedano rapa. È quindi chiaro che il carico glicemico può essere influenzato dalla composizione nutrizionale dell’alimento. Il pane ai cereali è più ricco di fibre e altri nutrienti come grassi e proteine: questi nutrienti rallentano la velocità con cui i carboidrati vengono assorbiti e con cui la glicemia si innalza, contribuendo a un abbassamento del carico glicemico.

TORTA CAPRESE A BASSO CARICO GLICEMICO

Perché non mangiare un dolce fatto in casa, semplice, con impatto insulinico e carico glicemico bassi?

Di seguito la ricetta della torta CAPRESE a “basso carico glicemico”:

(PER 6 PERSONE)

Ingredienti

  • 4 UOVA
  • 150 GR DI CIOCCOLATO AL 90% (una tavoletta)
  • 125 GR DI STEVIA O FRUTTOSIO NATURALE IN CRISTALLI O ERITRITOLO O UN MIX DEI TRE (ESISTONO PRODOTTI)
  • 200 GR DI MANDORLE TRITATE
  • 1 BUSTINA DI PAN DEGLI ANGELI
  • 1 CUCCHIAIO DI CACAO AMARO
  • 150 GR DI BURRO
  • 1 FIALA DI VANILLINA

Preparazione

Accendere il forno e portarlo a 160 gradi.

Mettere in una ciotola di ceramica di media grandezza le 4 uova intere e il fruttosio e cominciare a mescolare con un frustino. Nel frattempo aggiungere un cucchiaio di cacao amaro e la fiala di vanillina.

Mettere a bagnomaria il burro, e, una volta sciolto e raffreddato, aggiungerlo alla ciotola.

Contemporaneamente, in un altro tegamino, mettere la tavoletta di cioccolato sempre a bagnomaria, e, una volta sciolta e raffreddata, aggiungerla al composto nella ciotola.

Frullare le mandorle e inserirle mentre si mescola tutto.

Quindi amalgamare il tutto e, ottenuta una buona miscela, aggiungere mezza busta di pan degli angeli, continuando a frullare fino a ottenere una crema corposa.

Mettere il tutto in una teglia e infornare per 50 minuti (non aprire mai il forno).

Dopo i 50 minuti togliere dal forno, lasciare raffreddare e, se si vuole, aggiungere sopra una spruzzata di stevia in polvere.

Perché è a basso carico glicemico? Perché usiamo il fruttosio o altri dolcificanti naturali. 

FRUTTOSIO

Il fruttosio, a differenza del glucosio, viene assimilato nell’intestino e immesso nel sangue, e invece di entrare nelle cellule tramite l’insulina (come fa il glucosio), va direttamente nel fegato trasformandosi in glicogeno (riserva di zuccheri del fegato).

Quindi ha un indice glicemico basso perché non stimola eccessivamente l’insulina. Attenzione, però: un uso eccessivo di fruttosio, quando al fegato non ne serve più, fa sì che esso sia trasformato in trigliceridi e immesso nelle cellule adipose (facendoci ingrassare).

Ma questo accade soprattutto quando mangiamo merendine di produzione industriale, che nascono come prodotti (assertivamente) light e sono ricche di grosse quantità di “fruttosio liquido industriale” che fa ingrassare molto di più del saccarosio (zucchero da cucina).

ERITROLOLO 

L’eritritolo è un polialcol naturalmente presente nella frutta e nei cibi fermentati. È utilizzato come dolcificante naturale in quanto ha zero calorie e un ottimo sapore, privo di retrogusti.

STEVIA

La Stevia rebaudiana è una pianta erbaceo-arbustiva perenne, di piccole dimensioni, della famiglia delle Asteraceae, nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile. È un dolcificante ipocalorico naturale.

BURRO

Il burro è uno di quegli alimenti tradizionali criminalizzati e penalizzati ingiustamente da oltre 50 anni di propaganda grassofobica.

Lo abbiamo tolto completamente dalle nostre ricette e dalla nostra tavola, sostituendolo con grassi vegetali (olio di palma) o idrogenati (margarina) erroneamente ritenuti più “innocui” , ma, in realtà, tutt’altro che salubri.

1. Il burro è una fonte di vitamina A, di vitamina K2, sazia velocemente (stimolando CPK, l’ormone della sazietà) ed è ricco di antiossidanti.

2. Contiene butirrato, un acido grasso saturo a catena corta di cui sono ghiotte le cellule del colon. Infatti il burro è la principale fonte alimentare di butirrato, ne può contenere fino al 4%. Questo acido grasso ha varie documentate funzioni: soppressione dei processi infiammatori dell’intestino, riduzione della la permeabilità intestinale e miglioramento della sensibilità insulinica. L’acido butirrico è anche prodotto dalla flora intestinale (e in particolare dalla fermentazione di fibre vegetali). Tuttavia, la flora intestinale non è sempre in equilibrio nell’uomo moderno, per cui il burro può svolgere un’utile funzione suppletiva nel tempo necessario a ristabilirla attraverso dieta e cure appropriate. Il consumo di un buon burro fornisce acido butirrico immediatamente utilizzato dalle cellule del colon.

Ovviamente sto parlando di “burro vero”, cioè quello ricavato dalla panna, di origine biologica o proveniente da animali tenuti per lo più al pascolo e non trattati con i farmaci.

Quindi la buona abitudine di sostituire i grassi vegetali (tra cui olio di semi, di palma e margarine) con burro vero, nutre, sazia e non provoca alterazione dell’insulina.

CIOCCOLATO

Il cioccolato fondente può aiutare ad abbassare la pressione arteriosa.

La risaputa azione protettiva cardiovascolare del cioccolato sarebbe riconducibile alle epicatechine, antiossidanti presenti oltre che nel cacao, anche nel tè, nel vino rosso e in alcuni frutti e verdure.

Buon appetito e buona domenica .

17Mar

INTEGRAZIONE

L’industria degli integratori è la più grande minaccia per l’industria farmaceutica.” – Steven Magee

INTEGRATORI ALIMENTARI

Nella scienza dell’alimentazione si definiscono integratori alimentari quei prodotti specifici, assunti parallelamente alla regolare alimentazione, volti a favorire l’assunzione di determinati principi nutritivi. Gli integratori alimentari non sono farmaci da prescrizione e non sono destinati al trattamento o alla diagnosi di malattie. Si tratta di ingredienti attivi che puoi utilizzare per aggiungere nutrimento e salubrità alla tua dieta o per ridurre il rischio di problemi di salute come l’osteoporosi, l’artrite e altri. 

Il professor Luc Montagnier, co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la medicina, ha scritto:

I fattori ambientali e l’inquinamento, stanno favorendo la comparsa di epidemie e gravi malattie croniche. La prevenzione è necessaria”.

Ma in cosa consiste la prevenzione su un fronte così impegnativo e difficile? La risposta è paradossalmente semplice, perché la sola e unica cosa che possiamo fare è garantire la qualità di ciò che immettiamo nel nostro organismo, il che significa innanzitutto alimenti che siano il più possibile sani, ma insieme a questi, in funzione sinergica ad essi, bisogna aggiungere integratori antiossidanti che siano di origine naturale (caratteristica essenziale date le carenze degli alimenti moderni) e infine acqua di altissima qualità.

Senza un regime alimentare sano, non carente, il sistema immunitario non può svolgere il suo ruolo di difesa dell’organismo, sia per resistere alle infezioni sia per combattere le malattie già presenti, spiega il professor Montagnier.

Ciò che è vero per il virus dell’AIDS è infatti probabilmente vero anche per il Coronavirus e per tutte le altre epidemie. La combinazione di tutti questi fattori circostanti genera infatti stress ossidativo nelle nostre cellule. Mi riferisco allo stress ossidativo rappresentato da molecole derivate dall’ossigeno, i cosiddetti radicali liberi che interrompono o addirittura paralizzano totalmente il nostro sistema immunitario. Non bisogna dimenticare che, inoltre, l’invecchiamento rende le persone ancor più vulnerabili.

Curioso, potrà obiettare qualcuno, che le aziende farmaceutiche sembrano poco o nulla interessate agli antiossidanti. Le ragioni di questo disinteresse sono semplici e logiche per due motivi:

  1. il primo è che le piante e i minerali non sono brevettabili, quindi non sono sfruttabili in esclusiva da parte della azienda X piuttosto che dall’azienda Y. E proprio per questo non interessano i loro finanziatori.
  2. Il secondo motivo è che tutto quanto è prevenzione dalle malattie va per forza di cose contro la politica del farmaco, che invece ha bisogno dei malati per svilupparsi.

Inoltre, per proteggersi correttamente, è necessario sapere come e quando usare gli antiossidanti. Il primo punto importante è la nozione di potenziamento che esiste tra le diverse molecole antiossidanti. Riteniamo infatti che tutti questi antiossidanti dipendano l’uno dall’altro. Inoltre, per essere ancora più efficaci, devono essere usati insieme. Separati perdono gran parte delle loro qualità. Premesso questo, ecco quali sono: 

PRINCIPALI ANTIOSSIDANTI:

  • le vitamine C, D e K;
  • l’N-acetilcisteina, la metionina, l’inositolo, l’MSM, l’acido alfalipoico, Q10, la curcuma, ecc; 
  • i minerali, in particolare il selenio e lo zinco;
  • le piante multiple, in particolare il ginkgo biloba, i tre ginseng (Revita Complex) e via elencando;
  • il GLUTATIONE che è il re degli antiossidanti nonché un disintossicante epatico.

Fondamentale è verificare la qualità dei prodotti. Molti degli antiossidanti presenti sul mercato sono infatti di scarsa qualità e poco efficaci. Per questo è essenziale controllare le etichette e il dosaggio dei principi attivi.

La forma naturale è preferibile alla sintetica e l’imballaggio in vetro oscurato è meglio in quanto evita l’azione della luce e aiuta a mantenere la conservazione degli antiossidanti.

Le vitamine fanno parte degli antiossidanti più importanti. I laboratori parlano di vitamine sintetiche, le medicine naturali parlano (normalmente) di vitamine naturali. I laboratori pretendono che esse siano identiche. È una grande bugia, facile da dimostrare e attualmente largamente pubblicizzata. Da un lato, le vitamine sintetiche sono brevettate, sapendo che la normativa dice che la formula di una molecola naturale non può essere brevettata, questo significa che la formula della vitamina sintetica è differente. Dall’altro lato, la ricerca ha dimostrato che l’assorbimento, l’espulsione, la regolazione biologica che calibrano questi meccanismi sono totalmente diversi se si tratta di vitamina naturale o sintetica. Ma il risultato è ben diverso. Mentre nella vitamina naturale l’effetto è aumentato è la tossicità è molto inferiore, nella vitamina sintetica il risultato è inverso.

I minerali, per essere assimilati, devono possedere un potere rotatorio ottenuto quando sono assimilati da un vegetale. È il motivo per il quale il mondo animale non può vivere sul pianeta senza le piante. La sterilizzazione con il calore (durante la disinfezione obbligatoria dei prodotti farmaceutici) ha come risultato che i minerali estratti dai vegetali non sono assimilabili e dunque inutili e soprattutto tossici. 

QUAL È LA DOSE IDEALE DI OGNI SOSTANZA E MEDICINA?

È uno dei punti deboli della medicina in generale. Il motivo? Siamo tutti diversi. Considerando che siamo tutti diversi, perché dobbiamo prendere la stessa medicina e soprattutto la stessa dose?  Una parte importante delle medicine è costituita, in realtà, dalle copie sintetiche di molecole vegetali, ovvero dagli estratti dei vegetali. Esiste una legge importante in fitoterapia: “La pianta intera è sempre più efficace e meno tossica dell’estratto” e se l’estratto è sintetizzato è peggio.

Le conclusioni sono le seguenti: gli antiossidanti sono indispensabili se li usiamo nel modo corretto.

Non c’è niente di meglio degli antiossidanti per rallentare i fenomeni degenerativi correlati al processo d’invecchiamento. Possono essere paragonati a un’efficace task-force impegnata in un’incessante battaglia contro i radicali liberi allo scopo di arginarne gli effetti distruttivi sulle cellule.“ – Jean Carper

14Mar

ALIMENTAZIONE EQUILIBRATA

La dieta è come un conto in banca. Le buone scelte alimentari sono buoni investimenti”. – Bethenny Frankel

DEVO METTERMI DI NUOVO A DIETA! QUESTA VOLTA FUNZIONERÀ?

La parola “dieta“, nel significato etimologico del termine, fa riferimento allo “stile di vita”. Se con “mettersi a dieta” si intende impegnarsi a cambiare il proprio stile di vita, la dieta non solo diventa necessaria, ma aiuta a vivere meglio.

Ogni volta che si tenta una dieta e si fallisce, ci si ritrova più grassi di prima e ricominciare è sempre più difficile. Basta un piccolo sgarro e subito si viene presi dall’idea di aver rovinato tutto vanificando ogni sforzo. Da questo nascono i sensi di colpa per il fallimento, ci si sente incapaci di governarsi, si sente ancora più forte il giudizio dei magri e con loro si arriva a condividere l’idea che l’obesità è il frutto dell’autoindulgenza, della pigrizia e della mancanza di forza di volontà. 

In questo meccanismo, frequenti e non marginali, sono le colpe di noi medici e nutrizionisti che maltrattiamo i pazienti in mille modi. Spesso proponiamo diete impossibili (meno di 800-1000 calorie), suggeriamo massacranti e inutili cicli di massaggi e saune, consigliamo rigidi schemi di attività fisica, prescriviamo farmaci per eliminare la fame con il risultato che il calo rapido, la fame ingestibile e il nervosismo crescente porterà questi pazienti ad abbandonarsi spesso, troppo spesso, a preoccupanti abbuffate.

In definitiva, “l’essere perennemente a dieta” (dieting) porta a depressione e può scatenare il “mangiare in modo compulsivo e disordinato” (binge).

COMINCIAMO DAL PRINCIPIO

Nel giro di 50 anni la nostra alimentazione è cambiata molto. La raffinazione, la conservazione e la colorazione degli alimenti sono responsabili di molti dei nostri “mali da civiltà”. A cominciare da sovrappeso, obesità, diabete fino all’ipertensione arteriosa.

Per rispondere alla forte richiesta dei pazienti, diete dimagranti, ricette e soluzioni miracolose sono fiorite come i gelsomini in primavera. Alcuni consigliano di dissociare gli alimenti, altri di controllare ossessivamente le calorie, di consumare esclusivamente proteine o di seguire diete a base di sola frutta, verdura, pasta o riso e alcuni consigliano lunghi giorni di digiuno mentre altri propongono creme o prodotti di erboristeria o medicinali che dovrebbero sciogliere il grasso. Il mercato di prodotti dimagranti è esploso, come la vendita delle riviste che dedicano i loro titoloni a questo argomento. Tuttavia il miracolo tanto atteso non si è verificato. Anzi. Quasi tutte le diete dimagranti vogliono forzare il corpo, addirittura ingannarlo. Il più delle volte questo si paga con problemi di salute o, paradossalmente, con dei chili in più (effetto yo-yo).

RIEDUCARE IL CERVELLO

La persona in soprappeso si trova in uno stato di squilibrio ponderale. Per ritrovare l’equilibrio deve perdere quest’eccesso e tornare al peso normale. Anche se possiede una logica matematica, questo postulato è biologicamente falso. 

In realtà, la persona in soprappeso è in equilibrio con il proprio peso. Il cervello accetta il sovrappeso come una condizione soddisfacente. Allora bisogna indurre il cervello a modificare il suo sistema di riferimento rispetto a quest’equilibrio.

Contrariamente a tutti i luoghi comuni, le cellule grasse sono amiche; d’altronde, nessuna parte del corpo ci è ostile. Esse rappresentano un meccanismo di difesa reattivo. Se tutto quello che abbiamo nelle cellule adipose circolasse nel nostro sangue, moriremmo subito. Il corpo sa come sopravvivere. Esso conserva nelle sue banche quello che non può lasciare in circolo (omeostasi). Quindi quello che spesso si giudica un tradimento estetico o metabolico è in realtà solo la manifestazione di una conquista di equilibrio.

Bisogna dire che, sebbene le conseguenze del nostro stile alimentare siano determinate dal profilo genetico specifico di ogni individuo, l’avverarsi del destino trascritto nei geni può essere, a sua volta, rallentato o anticipato dallo stile di vita alimentare. In ciascuna cellula adiposa esiste un’autentica “memoria del peso equilibrato” che è possibile risvegliare. Per farlo bastano piccole correzioni alimentari e nutrizionali, associate a piccole correzioni comportamentali e psicologiche. 

LE CALORIE: UN CONCETTO SUPERATO

Da una cinquantina d’anni le diete, in gran maggioranza, sono basate sul concetto di caloria. Questa unità di misura dell’energia non ha molto a che fare con la realtà del nostro metabolismo. La caloria, presa da sola, è una cifra morta. Una volta ingerite, 150 calorie di yogurt, non hanno nell’organismo lo stesso effetto digestivo e metabolico di 150 calorie di mela, di salame, o meglio ancora, di olio d’oliva! Quello che conta è la qualità della composizione degli alimenti e non solo la quantità.

Il contenuto calorico è quindi solo un concetto fisico, che rende conto in modo grossolano di come il cibo influenza il bilancio energetico dell’organismo. Altri aspetti contano altrettanto, se non di più.

MANTENERE IL GIROVITA IN ZONA SICUREZZA

L’eccesso di grasso degli obesi (ma anche di persone in moderato sovrappeso), quando si accumula soprattutto attorno al giro vita, provoca maggiori problemi metabolici e conseguenze cardiovascolari, tanto da rappresentare un importante fattore di rischio.

Il limite massimo è di 88 – 90 cm della “circonferenza vita” per le donne e di 102 – 104 cm per gli uomini.

Per quanto l’auto-misurazione possa sembrare facile, è meglio che i pazienti deleghino il compito a una terza persona per garantire che il metro a nastro segua un andamento esatto prestabilito dal medico.

L’obiettivo dimagrimento, in definitiva, non deve guardare solo all’ago di una bilancia, cioè al raggiungimento di un peso ovviamente più basso, ma deve considerare anche altri aspetti già citati come la localizzazione prevalente dell’adipe (misurazione del giro vita) e i dati della composizione corporea (esame plicometrico), rilevabili dal medico, ma non dalla bilancia.

COSA VUOL DIRE INGRASSARE E COSA VUOL DIRE DIMAGRIRE 

Il grasso del nostro corpo è contenuto per una percentuale elevatissima in cellule specializzate, le cellule adipose. Quando si ingrassa ciascuna cellula aumenta il suo contenuto in grasso e dunque è come se si gonfiasse un po’.

Molte diete fanno perdere acqua e, soprattutto, fanno perdere massa muscolare, ma la quantità di grasso nelle cellule si mantiene intatta, perché perdere peso non è la stessa cosa che dimagrire. Perdere acqua non vuol dire dimagrire. Perdere tono muscolare non vuol dire dimagrire. Dimagrire significa soltanto una cosa: perdere grasso, conservando acqua e muscoli. Il dimagrimento si ha soltanto quando nelle cellule adipose avviene la lipolisi, ossia quando i trigliceridi si scindono nelle molecole elementari che li costituiscono e che possono così uscire dalla cellula e andare là dove saranno consumate.

Dimagrire è un investimento che si fa per il proprio futuro. Si deve imparare a dimagrire, imparare a mangiare, imparare a “sgarrare”. Solo che imparare costa un po’ di fatica o quanto meno un po’ di attenzione. Non bisognerebbe mai delegare il proprio dimagramento direttamente al medico, ma dovrebbe passare per la propria testa e il medico dovrebbe essere colui che aiuta ad attuare la comprensione del proprio dimagrire, attraverso l’insegnamento di quello che è bene mangiare.

 La prima regola è imparare a combinare gli alimenti tra di loro.

Man mano che si attua un regime di educazione alimentare, le cellule adipose, liberate dallo stress metabolico, risvegliano la memoria “dimagrante” e mandano al cervello un messaggio regolatore e riequilibrante. Allora il cervello “boccia” quello che considerava il peso normale e finalmente giudica il sovrappeso come un eccesso di cui conviene disfarsi. In realtà è il corpo che si rimette a funzionare, finalmente, al ritmo giusto. 

QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO CARBOIDRATI

Una delle trasformazioni più preoccupanti in materia di salute avvenuta negli ultimi anni è la raffinazione dei cereali. I cereali integrali (non raffinati) hanno un gran valore nutritivo. Contengono tra l’altro fibre, minerali,  oligoelementi e vitamine, mentre nei cereali raffinati resta ben poco di questa ricchezza.

La raffinazione dei cereali ne modifica la digestione e l’assimilazione, provocando disordine nel metabolismo globale e spingendolo verso il sovrappeso cronico.

Nella scelta dei cereali è dunque indispensabile preferire quelli integrali.

Sono da preferire liberamente:

  • tutti i tipi di verdura (con moderazione la patata, la zucca, la carota cotta e la barbabietola);
  • tutti i tipi di frutta eccetto la banana, il caco, la papaia, alcuni tipi di frutta essiccata (come le uvette, i datteri, i fichi secchi);
  • l’orzo, l’avena e la pasta.

Si devono consumare in quantità controllata:

  • il pane bianco, i grissini, i crackers, le fette biscottate, le focacce, la pizza, i cereali della mattina;
  • tutti i tipi di biscotti (soprattutto quelli col burro);
  • la polenta;
  • il riso brillato;
  • i succhi di frutta industriali.

Sono da evitare o da assumere raramente in quantità molto limitata:

  • bevande dolci come coca cola, aranciata, chinotto, ecc.;
  • torrone, merendine, brioche;
  • bevande alcoliche e zuccherine.

Gli alimenti contenenti zuccheri raffinati sono molto rapidi ad entrare nel sangue, provocando per reazione flussi d’insulina (l’ormone che trasporta lo zucchero nelle cellule) rapidi e violenti. Quando il tasso di zucchero nel sangue sale rapidamente, segue la secrezione violenta d’insulina dal pancreas, in quanto questo si sente aggredito da questo flusso eccessivo di zucchero e, dovendolo smaltire dal circolo, produce l’insulina per consentire al glucosio di entrare nelle cellule ed essere trasformato in energia. 

Sotto l’azione dell’insulina il tasso glicemico torna a scendere fino ad un livello più basso di prima dell’ingestione degli alimenti, tanto da provocare “morsi della fame dati da falsa carenza di zucchero”, ossia una crisi ipoglicemica. Evitare il più possibile gli alimenti ricchi di zuccheri è il primo passo per uscire da questo circolo vizioso.

QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO PROTEINE

Sono da preferire:

  • la carne (pollo, tacchino, faraona, coniglio), con particolare attenzione a quella rossa che è ricca di grasso e purine difficili da digerire; un suo abuso può alzare il livello in circolo dell’acido urico;
  • il pesce, alimento altamente digeribile, con un’alta concentrazione di omega 3, vitamina A e D;
  • il tofu e altri alimenti a base di proteine di soia;
  • l’ uovo è senza dubbio l’alimento che possiede le proteine con più alto valore biologico. In casi di carenza di calcio, il guscio, accuratamente lavato e triturato nella minestra, rappresenta la fonte più ricca di calcio presente negli alimenti;
  • i legumi, ricchissimi di principi nutrizionali, di fibre solubili, mucillagini e gomme, ottimi per la preparazione di piatti unici, in abbinamento con pasta o riso.

Vanno abbastanza bene:

  • lo speck e il prosciutto cotto e crudo, quando siano stati privati della parte grassa;
  • le carni bovine e suine (ben sgrassate);
  • la carne in scatola magra, il tonno in scatola se sgocciolato.

Si devono consumare in quantità limitata:

  • le frattaglie e le carni grasse;
  • la pancetta, il salame e gli altri insaccati;
  • i formaggi grassi, il latte intero, lo yogurt intero (preferire quelli più magri come ricotta, fiocchi di latte, provola, stracchino, philadelphia light. Preferire il latte scremato o quello parzialmente scremato).
QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO GRASSI

I grassi dei mammiferi di terra appartengono alla categoria dei grassi saturi che sono solidi a temperatura ambiente e che dovrebbero essere sempre assunti in quantità contenuta. Anche i grassi idrogenati (grassi creati in laboratorio), contenuti nelle margarine, sono molto nocivi per la salute quando consumati in abbondanza.

Va molto bene, al contrario, l’assunzione di olio extra vergine d’oliva, con il quale vanno condite le verdure, così come vanno bene la frutta oleosa (noci, nocciole, pinoli) e l’avocado. Straordinariamente utile per l’organismo è l’olio di pesce, ricco di Omega-3 e acidi grassi che sono detti “essenziali” perché servono al nostro corpo il quale, però, non è in grado di produrli.

I tre più insidiosi grassi esistenti in natura sono tutti di origine vegetale. L’acido laurico, l’acido miristicoe l’acido palmitico, contengono tutti e tre temibili acidi grassi saturi e sono quelli che sulle etichette di tutte le merendine appaiono con l’accattivante dicitura “grassi vegetali”. Essi hanno di buono che sono economici e saporiti, ma sono realmente dannosi, tendono ad aumentare la rigidità delle membrane cellulari inducendo le cellule a non rispondere adeguatamente ai livelli normali d’insulina: “resistenza all’insulina“.

Sono quindi da preferire:

  • l’olio extra vergine d’oliva;
  • la frutta oleosa (mandorle, pinoli, noci, nocciole) e l’avocado;
  • l’olio di pesce (come integratore, in capsule o liquido per esempio Omega 3 cp.

Si devono consumare in quantità limitata:

  • le parti palesemente grasse delle carni;
  • il lardo, lo strutto, il burro, il mascarpone, la panna;
  • le margarine.
SCELTA E STAGIONALITÀ DI ALCUNI TIPI DI VERDURE 

Il consumo di abbondanti quantità di frutta e verdura dovrà essere obbligatorio: molti prodotti dovranno essere mangiati crudi o solo leggermente scottati, questo farà si che gli antiossidanti, le vitamine e i minerali contenuti rimangano intatti. 

La frutta essendo ricca di sostanze antiossidanti (vitamine A e C) aiuta l’organismo a ripulirsi dai radicali liberi, da esso prodotti normalmente per vivere, ma il cui eccesso (dovuto all’inquinamento ed allo stress) risulta dannoso.

Bisogna infine fare chiarezza sulle verdure surgelate. Appurato che le verdure bollite in scatola sono meno nutrienti delle fresche, perché cotte a lungo e con molto sale, è opinione comune che anche i prodotti di terza gamma, in quanto surgelati, non reggano al confronto con i freschi. Bisogna dire che se congelata appena raccolta, la verdura mantiene quasi intatte le sue proprietà. 

La surgelazione è una delle migliori tecniche di conservazione degli alimenti, paradossalmente una verdura surgelata in modo corretto è migliore di una verdura “fresca” utilizzata diversi giorni dopo la raccolta, conservata per lungo tempo fuori dal frigorifero o peggio esposta al sole. Meglio evitare di scongelare a temperatura ambiente per questioni igieniche o sotto l’acqua corrente che allontana sali minerali e vitamine. Se l’alimento è in piccoli pezzi è meglio cuocerlo direttamente congelato, oppure farlo scongelare in frigo.

CARNIVORI O VEGETARIANI?

Per nascita siamo onnivori, ma la carne nelle diete è si utile ma non indispensabile. La scelta vegetariana nelle sue forme meno esasperate – cioè senza esclusione di uova e latticini – è perfettamente compatibile con il normale stato di salute.

L’alimentazione vegetariana ha il vantaggio di fornire meno sodio e più potassio, meno grassi – in particolare meno grassi saturi – e più fibre; ha però anche lo svantaggio di scarseggiare in ferro, zinco, calcio, vitamina B12, da qui la necessità di integrare.

ABBINAMENTI SCONSIGLIATI
  • le diverse proteine tra loro (pesce e formaggio) o (carne e pesce) ecc..;
  • amidi e sostanze acidule (pasta/riso con vino o aceto o liquori) perché si darebbe il via a una massiccia fermentazione;
  • proteine e grassi (sogliola al burro) perché il grasso riveste le proteine impermeabilizzandole ai succhi gastrici e quindi ostacolandone la digestione;
  • frutta e dolciumi a fine pasto, perché gli zuccheri semplici in essi contenuti hanno un transito veloce che verrebbe bloccato dalla presenza di altri alimenti dalla digestione più lenta e quindi ristagnando fermenterebbero. I fenomeni fermentativi provocano l’innalzamento della temperatura intestinale, inducendo la proliferazione della flora batterica patogena che scatena gli spiacevoli disturbi di meteorismo e spasmi.
IL LINGUAGGIO DIMAGRANTE DEGLI ALIMENTI

Ogni giorno il nostro organismo ha bisogno di una certa varietà di nutrienti che deve assumere con una dieta variata ed equilibrata. In una società opulenta come la nostra questo sembra un obiettivo facile da raggiungere, ma in realtà incorrere in carenze più o meno significative, è molto più comune di quanto si pensi a causa di cibi troppo raffinati, alimentazione poco varia, problemi di masticazione, uso di conservanti/fertilizzanti/coloranti, carni ricche di grassi saturi, frutta povera di vitamine ecc. 

Al corpo umano servono più di 40 nutrienti per mantenersi in buona salute e per coprire questo fabbisogno è importante combinare quantità adeguate di cibi appartenenti a diversi gruppi alimentari, alternandoli nei vari pasti della giornata. Laddove sarà difficile farlo, per questioni di gusto, d’impossibilità a reperire la varietà degli alimenti o per questioni etiche, solo allora è ipotizzabile l’uso di un integratore.

L’importante è che non si usino MAI farmaci, ormoni tiroidei o altre sostanze attivanti il metabolismo per dimagrire. Ci si potrebbe ritrovare con il doppio dei chili persi e con qualche problema di salute in più. Sarà necessario dunque che, in una prima fase, il paziente, sotto il controllo del medico, mangi ogni giorno in modo equilibrato, apportando in perfetta sinergia tutto quello che l’organismo in quella fase necessita.

In seguito, una volta raggiunti i risultati, il paziente avrà compreso il proprio modo di mangiare e attuerà un programma alimentare perfettamente adattato al proprio stile di vita, con una costante: l’equilibrio dei costituenti alimentari. Solo così conserverà il risultato ottenuto.

Tutti gli alimenti parlano una “lingua” che bisogna tornare ad imparare per stabilire un dialogo con loro.

ALCUNI CONSIGLI IMPORTANTI
  • Il segnale di sazietà non arriva immediatamente al cervello, quindi bisogna masticare con calma  bocconi piccoli: si digerisce meglio e soprattutto si rimane sazi più a lungo.
  • Bisogna avere obiettivi raggiungibili e non esagerati. Il primo passo può essere quello di “rientrare” negli ultimi pantaloni che si sono abbandonati e poi di seguito per passi successivi.
  • Non si usi in modo maniacale la bilancia, è più pratico controllare la taglia dei vestiti. Paradossalmente la bilancia non è sempre lo strumento migliore per misurare un eccesso di peso, perché il peso che registra è il totale della massa di vari tessuti: scheletro, muscoli, viscere, acqua e grasso. D’altra parte l’acqua, che da sola rappresenta i due terzi del nostro corpo, è soggetta a molte fluttuazioni che possono provocare delle variazioni di peso, fino a un paio di chili, soprattutto prima o dopo le mestruazioni. Ricordarsi che dimagrire significa esclusivamente perdere il grasso di troppo, mentre si può perdere peso eliminando solo acqua, il che spiega l’inutilità dei diuretici quando vengono prescritti a scopo dimagrante, senza contare i rischi che questi comportano.
  • Si assecondi sempre il senso di sete e anzi tentare di anticiparlo, bevendo a sufficienza, mediamente 1,5 – 2 litri di acqua al giorno. È sbagliato evitare di bere per non sudare (sudare è fondamentale per regolare la temperatura corporea) o per paura di ingrassare (l’acqua non apporta calorie).
  • Si riduca progressivamente l’uso di sale da cucina (tutti gli alimenti contengono già sale al loro interno), ridurlo al minimo e preferire quello iodato o il sale rosa dell’Himalaya.
  • È importante non farsi trovare a casa, annoiati ed impigriti, quando scattano i due tipici appuntamenti con la fame: in tarda mattinata e prima della cena, ovvero quando il ritmo delle nostre secrezioni ormonali congiura ad esasperare l’appetito con un sottofondo ipoglicemico a cui è difficile resistere se gli snack sono a portata di mano.
  • Quando si mangia, si cerchi di non fare altro (es. non guardare la televisione). Non si pulisca il piatto con il pane. Si poggi la forchetta tra un boccone e l’altro. Si eviti di tenere a tavola piatti di portata. Si lasci la tavola alla fine del pasto.
  • Non si beva mai alcolici prima di mangiare, in quanto possono stimolare l’appetito oltre che causare patologie gastriche.
  • Si frazionino i pasti e non si salti mai la prima colazione. Concentrare la maggior parte del cibo a cena non è vantaggioso: è più facile incamerare l’eccesso calorico relativo ed ingrassare. Mai farsi mancare a colazione un pugno di cereali a basso contenuto di glutine, fiocchi di avena, germe di grano e del miele grezzo.
L’ATTIVITÀ FISICA

La vita sedentaria associata ad una cattiva alimentazione rappresenta il sicuro passaporto per l’obesità. Nel tentativo di raggiungere il peso corporeo ideale, ad una dieta equilibrata è sempre consigliabile associare una buona attività fisica. Il moto è indispensabile perché contribuisce alla mobilitazione delle riserve di grasso. L’attività sportiva in palestra potrebbe rappresentare la soluzione ideale, ma dal momento che non tutti hanno il tempo e la voglia, si potrebbe aumentare il proprio livello di attività fisica camminando oppure salendo qualche piano di scale o ancora parcheggiando la macchina un po’ più lontano. Un ottimo consiglio per valutare la nostra attività ginnica quotidiana sarebbe comprare un contapassi e cercare di fare almeno 10.000 passi al giorno. Questo corrisponde a più di due ore settimanali di palestra, senza pericoli e controindicazioni.

LE TRASGRESSIONI

Le trasgressioni fanno parte del nostro modo di vivere e devono essere sdrammatizzate e non colpevolizzate. Oltre ad essere inevitabili, sono anche un momento piacevole perché “trasgredire è bello”, ma se la trasgressione diventa un’abitudine si finisce per privarsi di un piacere. Quando necessario riprendere qualche giorno della dieta consigliata nella fase dimagrante per compensare gli eccessi fatti. L’evasione intelligente, lo “sgarro” concordato, piuttosto che la bulimia reattiva, fanno parte del gioco e lo rendono accettabile anche a tempo indeterminato.

Coquina medicinae famulatrix est. – La cucina è la serva della medicina”. – Terenzio

28Feb

CONSIGLI ALIMENTARI IN TEMPO DI COVID

La guerra è un conflitto tra Stati, tra paesi che trascinano i popoli gli uni contro gli altri. C’è un nemico fisico. In questo caso l’avversario è esogeno, non lo si può combattere con le armi di distruzione della guerra. Contro il virus le armi sono cura e prevenzione, il contrario della guerra.” – Fausto Bertinotti

COME PROTEGGERSI DAL CORONAVIRUS

Il SARS-CoV-2 (virus) e la COVID-19 (la malattia che ne deriva) sono oggi i nostri nemici principali. Li sconfiggeremo attenendoci a regole di estrema precauzione e con il rispetto di prescrizioni e divieti che ci sono e ci verranno imposti. Ma ci sono altri nemici o danni, per così dire, collaterali.

Costretti perlopiù a casa, ci muoviamo poco e, soprattutto, ci annoiamo. E, annoiandoci, mangiamo (e beviamo): per stress, per consolarci, per trascorrere il tempo. Per giunta, scegliamo soprattutto alimenti che ci danno una gratificazione immediata e piena, in particolare i carboidrati.

Il brio dopaminergico ci cattura come una droga. Cominciamo, allora, a fare un po’ di movimento.

Basta poco: chi ha un giardino o un terrazzo ampio può fare un po’ di corsa; chi dispone di una mini-palestra o di qualche attrezzo può allenarsi in casa. Oppure si può fare un po’ di corpo libero, guidati da un tutorial su YouTube. Ma si possono anche fare le scale di casa tre o quattro volte al giorno.

Più ci muoviamo, più aumenta l’insulino-sensibilità periferica: l’insulina, cioè, diventa più attiva ed aiuta più agevolmente a trasportare il glucosio nelle cellule. Ma perché questo effetto sia duraturo, non dobbiamo demordere. L’importante è fare esercizio fisico con regolarità, a giorni alterni, o perlomeno senza fare trascorrere due giorni completamente inattivi.

Se restiamo fermi, se ci facciamo accalappiare dal divano, dal pc e dalla tv, l’insulino-resistenza è in agguato: i carboidrati fanno aumentare l’insulina in circolo, e l’insulina in primis accresce le riserve di zucchero del/nel fegato (glicogeno) e, poi, comincia a trasformare il resto in grasso, che va nella nostra pancia (formando nei casi più evidenti inestetici pannicoli adiposi) e nelle cosce.

Ma siccome lo stop delle nostre attività prima di riprendere la vita normale si prospetta più lungo del previsto, è necessario curare anche il regime alimentare.

Sento già la obiezione: “ma possibile che, con una pandemia in corso e con tutti i divieti e le restrizioni cui dobbiamo sottostare, ci dobbiamo pure mettere a dieta?”.

Già chiamarla dieta è sbagliato, perché è un termine che evoca subito privazioni e che, in una cultura cattolica come la nostra, sembra avere sempre un’intonazione etica punitiva (hai peccato con la gola? espia!) o retributiva (tanto hai mangiato, di tanto sarai privato). Chiamiamola, piuttosto, oculata attenzione alimentare.

Proviamo a spiegarlo in modo approssimativo e senza alcuna pretesa di usare un linguaggio troppo tecnico e accurato, e perciò meno comprensibile.

Il nostro obiettivo deve essere duplice:

  1.  stimolare il nostro sistema immunitario;
  2.  tenere a bada il nostro ormone ingrassante per antonomasia, l’insulina.

In effetti, non è che abbiamo la colpa di tutti i nostri cedimenti all’avanzare del grasso. È un periodo brutto, cupo. Abbiamo paura, accumuliamo stress, siamo divorati da ansia e preoccupazioni. E il nostro organismo, allora, chiama in soccorso (cioè ci fa produrre) il nostro ormone salvavita endogeno, l’ormone “attacca o scappa”, il cortisolo, che in caso di emergenza ci dà energia e capacità di reazione.

Purtroppo, però, questa energia la prende, creando glucosio (energia), dalle proteine, in pratica saccheggia i nostri muscoli e la nostra matrice cellulare: costringe, cioè, le cellule a usare zucchero come substrato energetico, mentre esse dovrebbero usare i trigliceridi (grassi).

Per questo chi è sempre stressato, e ha, quindi, alti valori di cortisolo nel sangue, non riesce a dimagrire, anche se elimina dalla sua dieta i carboidrati: perché ha una sorta di glicemia alta endogena, non alimentare (in condizioni normali, senza stress, invece, il corpo dovrebbe usare maggiormente i grassi – poco zucchero e talvolta le proteine – come substrato energetico, solo il cervello e i globuli rossi usano esclusivamente glucosio).

Il glucosio alto stimola l’insulina, l’insulina sottrae il glucosio dal circolo per portarlo nelle cellule, il nostro corpo si sente temporaneamente ed improvvisamente privo di energia e fa scattare una richiesta di soccorso all’ipotalamo – il glucosio alto stimola l’insulina, l’insulina sottrae il glucosio dal circolo per portarlo nelle cellule, il nostro corpo si sente temporaneamente ed improvvisamente privo di energia e fa scattare una richiesta di soccorso all’ipotalamo – c’è bisogno di zucchero – e a questo punto mangiamo qualcosa di dolce, e via così, in una spirale che è difficile arrestare.

Diventiamo, così, stressati e grassi.

Per essere sicuri di tenere in buon allenamento il nostro sistema immunitario, abbiamo bisogno di alcuni componenti importanti. Quando mancano, dobbiamo integrarli. Sto parlando di vitamina C, vitamina D e resveratrolo.

VITAMINA C

Il sistema immunitario è un sistema molto complesso che per adattarsi a stimoli differenti deve generare diversi tipi di cellule (globuli bianchi) tra cui i granulociti, i monociti (fagociti), i linfociti e i natural killer.

La vitamina C ha un ruolo importante nel far aumentare la produzione dei fagociti, e delle natural killer, ovvero cellule capaci di fagocitare gli agenti patogeni e di produrre enzimi atti alla loro degradazione.

Alcune scimmie e i cani producono da soli la vitamina C. L’uomo, invece, non ne è più capace. Prima lo faceva, ma si è ipotizzato che l’abuso di vegetali ricchi di ascorbati lo abbia reso, nel tempo, incapace di auto-sintesi.

Tutta la frutta e verdura sono alimenti fonte di vitamina C, ma maggiormente gli agrumi, ribes nero, fragole, mango, kiwi, patate, prezzemolo, peperoni e cavolfiore.

La Società Italiana di Nutrizione Umana ha fornito delle indicazioni in merito alla dose di vitamina C giornaliera raccomandata: 105 mg al giorno per gli uomini e 85 mg per le donne. Si tratta del dosaggio minimo ritenuto sufficiente per evitare lo scorbuto (malattia grave da carenza di acido ascorbico), ma se vogliamo dalla vitamina C un aiuto più incisivo dobbiamo aumentare il dosaggio, e probabilmente integrarla (anche perché per fare 1 gr di vitamina C bisogna consumare 3,5 kg di arance). Dovremmo assumere distribuita nella giornata anche 2 o 3 gr di vitamina C.

VITAMINA D

A lungo considerata una vitamina con un’utilità limitata (quella di favorire l’assorbimento del calcio e, dunque, la mineralizzazione dei denti e delle ossa, essenziale per la crescita e il rimodellamento osseo), la vitamina D ha visto progressivamente accrescere il riconoscimento dei suoi effetti benefici.

Questo potente ormone steroideo viene prodotto con l’esposizione alla luce del sole (che attiva un complesso meccanismo) e la sua diffusa penuria si spiega anche con uno stile di vita (ufficio, scuola, luoghi chiusi in genere) che non asseconda la sua produzione.

Ma la sua azione è trasversale, non c’è un meccanismo metabolico in cui non entri la vitamina D.

Con specifico riguardo al sistema immunitario, per poter proteggere il corpo dalla minaccia di virus e batteri i linfociti T devono in primo luogo essere esposti a tracce dell’agente patogeno. Se le cellule T non riescono a trovare sufficiente vitamina D nel sangue, non inizieranno ad attivarsi.

RESVERATROLO

Il resveratrolo è uno degli antiossidanti per eccellenza, un vero elisir di giovinezza. È contenuto, in particolare, nella buccia degli acini d’uva (quindi vino), nei frutti di bosco (mirtilli, more eccetera), frutta secca come arachidi, pistacchi.

Alcuni studi indicano che il resveratrolo controlla la risposta infiammatoria del corpo inibendo la proteina pro-infiammatoria interleuchina 6 (IL-6). Questa proteina fa parte del sistema immunitario e alti livelli nell’organismo sono stati, per esempio, collegati a molti pazienti con malattia “infiammatorie” croniche: asma, diatesi, malattie reumatiche e autoimmunitarie, e così via. Nello specifico, è stato visto che il resveratrolo è in grado di regolare proprio la produzione di IL-6.

CONSIGLI ALIMENTARI

Per evitare di stare sempre con un foglio in mano e di pesare i cibi, direi che la cosa migliore è delimitare il campo.

Ipotizzando che ci siano cibi “sì” e cibi “no”, la cosa migliore è togliere dalla dispensa questi ultimi, così da poter mangiare più o meno liberamente i primi.

L’obiettivo tendenziale è di apportare tutto quello che è necessario, compatibilmente col proprio palato, e di eliminare tutte le cose che stimolano troppo la nostra insulina, tenuto conto anche dal fatto che l’assenza o l’esiguità di movimento non ci aiuta a smaltirla.

Esempi di cibi “NO” (che alterano o stimolano molto l’insulina)
  • Riso bianco, pasta bianca, farine bianche, mais (tutto il glutine in genere);
  • Cereali zuccherati, pane bianco, biscotti, brioche, cracker;
  • Semolino, gnocchi, riso soffiato, pasta di grano tenero, popcorn, corn-flakes, ravioli, soufflé di riso, fette biscottate, impanature, pasta frolla, toast, pangrattato;
  • Latticini (mozzarella, fior di latte);
  • Dolci con farina raffinata, cialde, dolci a base di riso;
  • Patate al forno, patatine fritte, chips, purea di patate;
  • Bastoncini di pesce e impanature in genere;
  • Saccarosio (zucchero da tavola), maltosio, zucchero di canna;
  • Coca cola, birra, alcolici. bevande light.
Esempi di cibi “SI” (che non alterano, o alterano poco, la glicemia)
  • Cereali integrali non industrialmente raffinati: riso integrale, riso basmati integrale, riso venere, pasta di grano saraceno, couscous, orzo, farro, quinoa, amaranto, miglio, teff, avena, grano saraceno, pane 100% integrale;
  • Proteine vegetali: quorn, mopur, muscolo di grano, tofu di canapa, edamame, fagioli di soia, tofu, tempeh, azuki, falafel, proteine vegetali ristrutturate, alghe wakame-hijiki-arame, alghe nori; (N.B.: Attenzione al SEITAN, in quanto interamente a base di glutine di grano!)
  • Legumi: lenticchie comuni o decorticate, fave, ceci, fagioli, lupini, cicerchie, soia verde, soia rossa, azuki. (Nota Bene: per chi soffre di meteorismo, i legumi setacciati o frullati sono più tollerati);
  • Tutti i tipi di pesce: (meglio se non coltivato): alici, aragosta, astice, baccalà, calamaro, cefalo, cernia, coccio (gallinella), dentice, gamberi, merluzzo, orata, pesce bandiera, polpo, ricciola, salmone fresco, sarde, scorfano, seppia, sgombro, sogliola, spada, spigola (branzino), stoccafisso, tonno, triglia;
  • Tutti i tipi di carne: manzo, coniglio, pollo, tacchino, vitello, agnello, maiale, capretto, bufalo, cavallo;(se è possibile usare carne biologica di animali al pascolo);
  • Uova: le uova non influenzano l’aumento dei lipidi ematici. L’aumento del colesterolo e i trigliceridi dipendono dai farinacei, dai dolci e dai grassi animali, non dalle uova. L’uovo è una cellula ed è “l’alimento completo” per antonomasia, poiché possiede le proteine con più alto valore biologico;
  • Affettati: prosciutto crudo, fesa di pollo, speck, prosciutto cotto, fesa di tacchino, bresaola;
  • Formaggi stagionati oltre 30 mesi: (parmigiano, pecorino, caprino), da 1 a 3 porzioni a settimana. 30/50gr. ricotta di solo siero – di fuscella, primo sale, gorgonzola;
  • Tutte le verdure e ortaggi: (preferibilmente crude e poco cotte).
ESEMPIO DI UNA SETTIMANA DI DIETA

Colazione:

  • 1 tazza di latte (senza lattosio) o intero (meglio dare la priorità a latte vegetale come latte d’avena, di cocco o di mandorle)

Oppure:

  • al posto del latte, 1 yogurt greco intero ma senza zuccheri o 1 yogurt di latte di cocco

Oppure:

  • (se non si ama yogurt o latte), assumere una spremuta di arance (o frullato di frutta fresca) + caffè o una tazza d’orzo o un the o una tisana a piacere.

Aggiungere:

  • 40 gr di fibre integrali (tipo crusca di grano o crusca di avena o All-Bran o fiocchi di avena.

Oppure:

  • una fetta di pane integrale tostato (l’ideale sarebbe un tozzo di pane integrale rappreso, cioè vecchio di 3-4 giorni, ammorbidito nel latte caldo, contiene amido retrogradato necessario per la flora del colon) con olio EVO.

Oppure:

  • prosciutto (crudo o cotto) o un tocchetto di parmigiano + 2 kiwi + caffè.

Oppure:

  • 1 uovo sodo o a stracciatella + 1 frutto (un paio di volte a settimana) + caffè

Spuntino mattutino:

  • 1 arancia o 2 mandarini o 2 kiwi + una manciata di semi di girasole o altri semi a piacere,

Oppure:

  •  una decina di nocciole o mandorle.

Spuntino metà pomeriggio:

  • Frutti di bosco (vanno bene anche quelli congelati) + 7 mandorle o 3 noci o 10 nocciole + un the o tisana piacere;

Scelta di pranzi:

(Associare sempre alle pietanze verdure cotte o crude condite con olio extravergine di oliva e limone (per l’assorbimento delle vitamine) più:

  • (1 – 2 volte a settimana) zuppa di cereali misti a ortaggi (riso, orzo, quinoa, avena + ortaggi a piacere)

Oppure:

  • (due volte a settimana) tonno all’olio o pesce fresco (sarde, alici, merluzzo, sgombro) o surgelato (nasello, merluzzo platessa)

Oppure:

  • (1 volta a settimana), un hamburger di vitello o di pollo o suino

Oppure:

  • (2 volta a settimana) scelta di zuppa di legumi assoluti.

Scelte di cene:

  • verdure cotte o crude a piacere sempre condite con al massimo 1 cucchiaio di olio di oliva

Più:

  • (2 – 3 volte a settimana) pesce: lesso o all’acqua pazza o al forno condito con pochissimo olio e limone;

Oppure:

  • (2 volte a settimana) carne: tacchino alla piastra o a straccetti con zenzero e curcuma e pepe; o pollo al forno senza pelle; o insalata di pollo con verdure; o carne di vitello ai ferri (la classica paillard)
  • (1-2 volte a settimana) 2 uova a frittata con tanti ortaggi;
  • (1 volta a settimana) Primosale o ricotta o parmigiano o gorgonzola con verdura a piacere;

Infine, come ultima opzione:

  • minestroni o vellutate (tutte le volte che lo si desidera – piatto jolly)

Snack dopo cena:

  • un pugnetto di frutta secca

Oppure:

  • qualche tocchetto di cioccolato al 70%.

 

 

 

 

23Feb

LATTE E INTOLLERANZA AL LATTOSIO 

Noi siamo la sola specie che, in età adulta, beve il latte di altri animali; forse è per questo che l’intolleranza al lattosio è così diffusa tra gli esseri umani. – Jeffrey Moussaieff Masson

INTOLLERANZA AL LATTOSIO

Si definisce “intolleranza al lattosio” l’insieme dei sintomi che possono presentarsi per l’incapacità di digerire il lattosio, il principale zucchero contenuto nel latte, causata da una carenza di lattasi, l’enzima che scinde il lattosio in zuccheri semplici che vengono poi assorbiti dal tratto gastrointestinale. 

Non tutte le persone che hanno una carenza di lattasi sviluppano necessariamente i sintomi clinicamente rilevanti, ma coloro che li sviluppano vengono definiti “intolleranti al lattosio”.

La domanda più frequente che mi si fa è: “Abbiamo bevuto latte per una vita, perché adesso ci fa tanto male?” La risposta è semplice, e non è un luogo comune o una frase fatta: non beviamo più il latte di una volta.

Il latte vaccino è un alimento ricchissimo di sostanze nutritive, per questo motivo fa crescere i vitellini in pochi mesi. Ma negli ultimi anni purtroppo è cambiato, quello in commercio oggi contiene, oltre agli ormoni, i cosiddetti fattori di crescita, che vengono usati per far aumentare la capacità della mucca di produrre grosse quantità di latte giornaliero, quindi è un latte “rafforzato”. Anche la caseina, la parte proteica del latte, è aumentata di concentrazione. 

Ricordiamo che la caseina lattica è poco solubile in acqua, ma solubile nei sali a reazione basica o negli alcali, con i quali si ottiene il caseinato di ammonio, utilizzato come legante per pitture murali e per il consolidamento della pellicola pittorica. Il caseinato di calcio, invece, è una colla molto tenace con un forte potere adesivo che risulta irreversibile dopo breve tempo e resistente all’acqua.

Possiamo ben intuire quanto un grosso quantitativo di caseina giornaliero non faccia affatto bene, comportandosi come una colla nei nostri villi intestinali. Inoltre bisogna dire che siamo gli unici mammiferi a bere, in età adulta, il latte di un’altra specie. Certamente per il neonato è un alimento completo, necessario alla crescita, ma la natura ha deciso che dopo lo svezzamento la lattasi subisce una pesante riduzione fisiologica. È quindi  utile ridurre il consumo di latte, con la crescita, per evitare i disturbi gastrointestinali, tipici dell’intolleranza. 

E’ anche vero, però, che la lattasi è un enzima inducibile, cioè la cui produzione da parte del nostro organismo è stimolata da un’assunzione costante nel tempo; quindi anche grazie alla nostra tradizione culinaria, la maggior parte della popolazione riesce a scavalcare i segni dell’intolleranza anche da adulto, ma sicuramente va usato con parsimonia.

Riguardo all’intolleranza al lattosio, cioè alla condizione in cui l’adulto non riesce a produrre lattosio neanche sotto induzione, in tal caso i sintomi più comuni si manifestano a livello gastrointestinale: dolore addominale, crampi addominali diffusi, gonfiore e tensione intestinale, aumento della peristalsi con borborigmi facilmente auscultabili e con movimenti talora palpabili, meteorismo, flatulenza e diarrea con feci poltacee, acquose, acide, che insorgono da 1 a poche ore dopo l’ingestione di latte o latticini o comunque di alimenti contenenti lattosio.

PER FARE DIAGNOSI SONO NECESSARI ESAMI DIAGNOSTICI DI LABORATORIO

Fra i test diagnostici non invasivi, particolare importanza assume il Breath Test all’Idrogeno. Il meccanismo su cui si basa il “test del respiro” è semplice: il malassorbimento del lattosio porta alla fermentazione dello zucchero da parte della flora batterica intestinale con produzione di idrogeno che viene assorbito nel sangue ed eliminato attraverso i polmoni. Il malassorbimento del lattosio può quindi essere dimostrato dall’aumento della quantità di idrogeno esalato dopo un carico orale di 20 gr di lattosio. Tale test è altamente specifico, di facile esecuzione e di costo contenuto e rappresenta attualmente il test di prima scelta nella diagnosi di intolleranza al lattosio. 

Fra le procedure invasive ricordiamo la biopsia della mucosa del piccolo intestino, quasi mai necessaria per la diagnosi di intolleranza al lattosio, ma utile per individuare malassorbimenti da causa non chiara.

IL CARDINE DELLA TERAPIA È LA DIETA A RIDOTTO CONTENUTO DI LATTOSIO

La quantità di lattosio tollerata dai vari soggetti è variabile, pertanto è opportuno eliminare gradualmente gli alimenti iniziando da quelli a più alto contenuto in lattosio (latte, yogurt, formaggi freschi) in modo da valutare la soglia di tolleranza del paziente. Tali alimenti possono essere sostituiti con alimenti analoghi privi di lattosio che attualmente si trovano in commercio con facilità.

Ove non sia possibile l’eliminazione di alcuni alimenti contenenti lattosio, è disponibile una Lattasi in compresse, che ingerita insieme al cibo aiuta nella digestione del lattosio. Una compressa di Lattasi digerisce fino a 5 g di Lattosio e cioè il contenuto di 100 ml di latte vaccino.

Anche se i sintomi sono direttamente correlati alla quantità di lattosio ingerito, è bene sapere che il lattosio non è contenuto solo nel latte e nei suoi derivati freschi, ma anche, sebbene in piccole quantità, in alcuni tipi di pane, dolci da forno (ciambelloni e simili), cereali, margarine, caramelle, merendine, salami, ecc. E’ importante quindi imparare a leggere la composizione degli alimenti presente sulle etichette dei prodotti.

INTOLLERANZA AL LATTE: CIBI “SI” E CIBI “NO”

Yogurt: NI

Lo yogurt è generalmente ben tollerato da chi non digerisce il lattosio. Fanno eccezione i tipi ‘con l’aggiunta di panna’. Per chi non riesce a mangiarlo ci sono invece in commercio moltissimi tipi a base vegetale.

Prosciutto cotto: NO

È l’insaccato che contiene più lattosio. Ma bisogna fare attenzione anche al salame, al tacchino al forno, alle salsicce e alla carne di maiale in genere. Il lattosio, usato come conservante, non altera il gusto di questi cibi e anzi ne esalta la colorazione.

Prosciutto crudo: SI

Via libera al prosciutto crudo. L’unico insaccato, assieme alla bresaola (sia di manzo che di cavallo) che non viene trattato con lattosio.

Latte di riso, di mandorla, di cocco: SI

Il sapore non è esattamente quello del latte ‘vero’ però questi prodotti vegetali sono un’alternativa per chi non riesce proprio a rinunciare al caffellatte. Ottimi anche per preparare creme e dolci. Un po’ meno per le salse salate come la besciamella.

Formaggi freschi: NO

Più un formaggio è fresco e più lattosio contiene. Addio quindi a mozzarella, ricotta, stracchino e a tutti i latticini a pasta morbida. In molti supermercati si possono però trovare degli ottimi sostituti ‘lattosio free’. Il colore, il gusto e la consistenza sono gli stessi, quello che cambia è la digeribilità.

Formaggi stagionati: NI

La stagionatura ‘uccide’ il lattosio (MA NON SEMPRE CI RIESCE) e rende quindi i formaggi invecchiati digeribili da (quasi) tutti gli intolleranti. Unica regola: scegliere una stagionatura dai 30 mesi in su.

Brioches: NO

Gli intolleranti al lattosio devono rinunciare alla colazione al bar. Cornetti e brioches contengono infatti grandi quantità di burro.

Pane e pasta: SI

Il pane non contiene lattosio. E nemmeno la pasta. Meglio però scegliere quello comune, integrale o di grano duro. Bisogna fare attenzione invece a quello ‘ai gusti’. Dentro la pagnottina alle noci, alla zucca o alle olive potrebbe nascondersi infatti un po’ di latte.

Biscotti e dolci: NO

Burro, latte, panna sono alcuni degli ingredienti principali di tutti i prodotti da forno e di pasticceria. Per gli intolleranti al lattosio l’unica soluzione è preparare i dolci in casa sostituendo il burro classico con il burro chiarificato (GHEE), con l’olio d’oliva o di avocado. Nei supermercati si trovano inoltre biscotti e brioches senza questo allergene.

Cioccolato fondente: SI

Che sia con le nocciole, gli anacardi o il peperoncino, il cioccolato fondente non crea nessun problema agli intolleranti. Vietato invece quello al gusto gianduia e tutti gli snack a base di cioccolato. Questi prodotti utilizzano infatti il tipo al latte.

Gelato: NO

No alle creme, sì alla frutta. Il gelato può essere gustato anche dagli intolleranti a patto di scegliere i gusti ‘sorbetto’. Quelli prodotti, cioè, solo con acqua. Tra questi ci sono (quasi) tutti i gusti alla frutta (eccezioni sono ad esempio quello al cocco o alla banana) e spesso anche il cioccolato extra fondente.

Brodo: SI

Via libera al brodo ‘della nonna‘, quello fatto con carne e verdure. Attenzione invece a quello che si trova al supermercato. Il brodo in formato ‘dado’ non contiene (quasi) mai lattosio mentre quello granulare è da bandire. Attenzione anche quando si va al ristorante: il brodo granulare è usato in moltissime preparazioni per insaporire i cibi.

La cucina cinese: SI

L’unico formaggio che si trova nelle ricette cinesi è il tofu. Il latte e i formaggi non fanno parte della loro alimentazione. Via libera anche alla cucina etnica che proviene dall’africa e a molti piatti della cucina indiana.

Farmaci: NI

Il lattosio è uno dei principali eccipienti della maggior parte dei farmaci in commercio. Chi soffre di intolleranza deve quindi chiedere consiglio al medico o al farmacista prima di assumere una medicina, soprattutto se dovrà prenderla (come nel caso dell’antibiotico) per un periodo prolungato. Vietati anche i prodotti omeopatici in granuli. Questi farmaci contengono lattosio in percentuali che arrivano fino al 95%.

ALLERGIA ALLA PROTEINA DEL LATTE – CASEINA E SIERO DEL LATTE

Il latte è un allergene alimentare noto e comune. È considerato un “allergene prioritario” e deve essere dichiarato sulle etichette dei cibi. Cosa sono gli allergeni nel latte? Avete sentito parlare di “caglio” e “siero del latte”? Queste sono le due proteine principali presenti nel latte. Le parti solide sono il caglio (fatto di caseina) e il liquido è siero del latte dissolto.

A differenza dell’intolleranza al lattosio, la caseina e il siero del latte possono causare una vera e propria risposta immunitaria. Un’allergia. E questa risposta immunitaria può causare infiammazione. Infatti, non sappiamo quante persone mostrano queste allergie al latte, ma la maggior parte delle stime pone questo numero ben al di sotto dell’intolleranza al lattosio. Come il lattosio, queste proteine del latte allergeniche si trovano anche in altri prodotti. Non sono solo nei latticini ma spesso anche nelle proteine in polvere (mai sentito “proteine del siero del latte in polvere”?).

Alcuni dei sintomi dell’allergia alle proteine del latte differiscono da quelli dell’intolleranza al lattosio, cose come congestione nasale e muco sono più comuni in questo caso. E la caseina sembra anche essere collegata al grasso viscerale.

È interessante il fatto che diverse persone che mostrano intolleranza al glutine sono spesso anche allergiche alle proteine del latte come siero del latte e caseina. Questi due disturbi sembrano essere collegati. Proprio come l’intolleranza al lattosio, se avete un’allergia alla caseina e al siero del latte tenete d’occhio le etichette in modo da evitarli.

CONCLUSIONE

Se avete gas, gonfiore o diarrea dopo aver consumato latticini, potreste avere un’intolleranza al lattosio. Se invece avete naso chiuso e muco, allora potreste essere allergici alla caseina e/o al siero del latte.

Benché i latticini rappresentino un intero gruppo alimentare, non si tratta di nutrienti essenziali. Tutti i nutrienti che si trovano nei latticini sono disponibili anche in altri cibi. Se avete questi sintomi, potete cercare di rimuovere i latticini dalla vostra dieta. Potreste vedere migliorare la digestione e i problemi intestinali. Oppure potreste vedere migliorare la congestione nasale o anche diminuire il grasso viscerale.

ALCUNI VALIDI E PREZIOSI ALIMENTI SOSTITUTIVI DEL LATTE E DEI SUOI DERIVATI

  • GHEE – BURRO CHIARIFICATO: prezioso alimento facente parte della tradizione ayurvedica, viene scaldato a fuoco lento per eliminare l’acqua, le proteine, la caseina e il lattosio. La maggior parte delle persone che hanno problemi di intolleranza al lattosio o alla caseina non hanno nessun problema con il burro chiarificato.

  • LATTE DI COCCO: la metà dei suoi grassi è composta da acido laurico, che nonostante sia un grasso saturo ha dimostrato di diminuire i livelli di colesterolo LDL (cattivo) in favore del colesterolo HDL (buono), e di avere una forte azione antibatterica e antivirale.

  • LATTE DI MANDORLA: prodotto dall’estrazione del succo delle mandorle pressate, non contiene lattosio, ha un contenuto inferiore di proteine ma è ricco di fibre, vitamina E, magnesio, selenio, manganese, zinco, potassio, ferro, fosforo, calcio e tende a favorire la digestione. E’ molto utile per i muscoli e la pelle, è ricco di energia e grazie al suo basso contenuto di carboidrati non comporta l’aumento del livello degli zuccheri nel sangue.
  • BURRO DI COCCO: ricavato dalla polpa essiccata della noce di cocco, è un grande ingrediente per la cottura soprattutto per le fritture: il burro di cocco ha un punto di fumo più alto rispetto agli altri olii da cucina. Contiene alte quantità di “acido caprilico” una sostanza molto utile per combattere i funghi presenti all’interno dell’organismo: in particolare, è un ottimo rimedio contro la candida.
Burro di cocco

 

22Feb

VITAMINA D

La vitamina D è, senza ombra di dubbio, il nutriente miracoloso del secolo”. – Mike Adams

VITAMINA D – GOCCE DI SOLE

Negli ultimi 10 anni la conoscenza della vitamina D è aumentata enormemente, quella che per decenni si riteneva una semplice vitamina utile unicamente alla salute delle ossa, si è rilevata invece una sostanza essenziale che gioca un ruolo importantissimo per l’intero organismo. 

In realtà essa non è una vitamina nel senso stretto del termine, ma è un potentissimo ormone steroideo che viene prodotto quando la pelle viene colpita da una quantità adeguata di luce solare (ultravioletta) e viene poi attivata a livello del fegato e reni, ma il problema odierno è che siamo sempre meno esposti alla luce solare. Quasi l’intera vita oggi viene trascorsa in ambienti chiusi e ogni qualvolta ci esponiamo al sole stiamo attentissimi a proteggerci con filtri solari sempre più alti. La carenza di vitamina D è oggi universale e colpisce la quasi totalità della popolazione mondiale, specie nei paesi al di sopra del 35º parallelo, come l’Italia. 

L’azione della vitamina D è talmente ramificata che è quasi impossibile conoscerne la sua reale e più profonda funzione. Sappiamo che è una vitamina liposolubile come la A, la E e la K, cioè trasportata dai grassi. E’ prodotta dalla pelle che la sintetizza dal precursore 7-deidrocolesterolo grazie all’azione della luce solare. Per produrre la quantità di vitamina D necessaria al nostro organismo sono sufficienti 15 minuti al giorno di esposizione alla luce del sole. 

Le due più importanti forme sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo): la prima è di provenienza vegetale, la seconda (D3), derivante dal colesterolo, è sintetizzata in autonomia negli organismi animali. 

La vitamina D è presente nell’organismo in una forma biologicamente non attiva e deve subire, grazie proprio all’esposizione solare, due reazioni di idrossilazione per essere trasformata nella forma attiva: il calcitriolo. La trasformazione avviene nel fegato per poi passare in circolo nell’organismo, interagisce poi con le cellule intestinali per stimolare l’assorbimento del calcio e mantenere stabili i suoi livelli ematici e le ossa forti e robuste, infatti è proprio questa la funzione principale della vitamina D, favorire l’assorbimento del calcio, è dunque necessaria per una corretta mineralizzazione delle ossa e dei denti, ed indispensabile per la crescita e il rimodellamento osseo. 

Una grave carenza di vitamina D può causare quindi rachitismo nei bambini (lo scheletro non si sviluppa in modo corretto in quanto il tessuto osseo non è correttamente mineralizzato) e osteomalacia negli adulti (dolori alle ossa e ai muscoli, debolezza muscolare, fragilità delle ossa). Fino a poco tempo si pensava che questa fosse l’unica proprietà di questo nutriente, la sua azione è, invece, veramente trasversale, non c’è un meccanismo metabolico in cui non entri in gioco la vitamina D. 

Ora sappiamo che una persona normale deve possedere livelli ematici di vitamina D pari ad almeno 30 mg/ml per poter ottimizzare la capacità del corpo di assorbire il calcio, ma i valori devono essere più alti per far sì che la vitamina D esplichi tutte le altre funzioni. 

DOVE SI TROVA LA VITAMINA D

La vitamina D è presente nel pesce come trota, sogliola, sgombro, salmone, pesce spada, storione, tonno e sardine, nelle uova (in particolare nel tuorlo), nel latte, nel burro, nelle carni come pollo, anatra e tacchino. Tuttavia, gli alimenti di origine animale non sono gli unici ad essere caratterizzati da un’elevata quantità di vitamina D. E’ presente anche nei cereali integrali (purtroppo l’industria e la grande distribuzione preferiscono la farina 00 perché di difficile deperimento), nei legumi, nella verdura a foglia larga e nei funghi, ma per facilitarne l’assimilazione è consigliabile l’esposizione quotidiana al sole, anche per una quantità di tempo limitata e con le dovute attenzioni per la salute della pelle. Quindi le fonti grazie a cui il nostro organismo può ottenere vitamina D sono essenzialmente l’alimentazione e l’esposizione solare. 

Non sempre ci si rende conto di essere soggetti ad una possibile carenza di vitamina D fino a quando essa non viene diagnosticata (solitamente con un esame del sangue che dosa il quantitativo di vitamina D3). I soggetti maggiormente esposti ad una carenza di vitamina D sono rappresentati da coloro che non fanno sport all’aria aperta e da chi non ne assume tramite le fonti alimentari. 

Esporre al sole almeno il viso, le braccia e le mani per 60 minuti al giorno, ovviamente con le dovute cautele e in orari in cui il sole non si trova a picco, è una delle indicazioni di base degli esperti per permettere al nostro organismo di sintetizzare vitamina D grazie alla luce naturale. In qualsiasi stagione possiamo trarre vantaggio dalle giornate soleggiate. Tutti dovrebbero comunque cercare di trascorrere più tempo all’aria aperta per favorire il proprio benessere generale. 

Tra i sintomi più comuni della carenza di vitamina D troviamo dolori alle ossa e debolezza muscolare. Per la maggior parte delle persone tali sintomi potrebbero essere così lievi e sottili da non destare alcun campanello d’allarme. Da non sottovalutare tra i sintomi della carenza di vitamina D: umore altalenante, tristezza immotivata (che potrebbe essere dovuta a bassi livelli di serotonina) e sudorazione delle mani apparentemente ingiustificata (ma considerata uno dei sintomi più frequenti della carenza di vitamina D). Inoltre una sua carenza potrebbe peggiorare i problemi cardiaci, la depressione, le psicosi, l’asma nei bambini e i disturbi cognitivi negli anziani. 

Non esistono alimenti di uso comune che possono provocare un sovradosaggio di vitamina D. I casi di intossicazione si possono verificare a seguito di un’integrazione errata (anche con olio di fegato di merluzzo) o di ipersomministrazione di vitamina D a scopo terapeutico. I sintomi possono essere generici come per esempio nausea, diarrea e debolezza, oppure più specifici come ipercalcemia, nefrocalcinosi e calcificazione dei tessuti molli. 

Il fabbisogno giornaliero di vitamina D è fissato per gli adulti in una quantità tra 0 e 10 microgrammi per i maschi dagli 11 ai 59 anni e tra 0 e 15 per le femmine dagli 11 anni in su (10 mcg in gravidanza). Sopra i 60 anni aumenta il rischio di carenza, la quantità giornaliera deve essere quindi portata a 10 mcg. Particolarmente importante, infine, un’integrazione per le donne in menopausa.

22Feb

GLUTINE E GRANO CRESO

“Il glutine è il tabacco di questa generazione”. – David Perlmutter

IL GRANO CHE CAMBIA

Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma era ad alto fusto e facilmente si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.

Nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Era più resistente agli allettamenti (abbassamenti) dovuti a vento e pioggia, questo permise di ottenere una varietà dalla resa agricola più elevata e più resistente agli attacchi di funghi e malattie.

Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci.

Il grano creso ebbe un’ampia diffusione negli anni 80 e 90, in alcuni stati come Australia, Cina, Usa, Canada e Argentina è stato usato largamente nei programmi di miglioramento genetico.
Proprio per il fatto che questa varietà non è frutto di una selezione naturale messa in atto da qualche geniale agricoltore, ma tutta “made in laboratorio”, sono sorte non poche preoccupazioni e diffidenze, soprattutto per il largo impiego che ne è stato fatto gli scorsi decenni. Attualmente è aperta anche una diatriba sul fatto che il grano creso e i suoi derivati possano aver giocato un ruolo non indifferente nell’aumento di casi di celiachia ed intolleranze al frumento.

COSA SONO I RAGGI GAMMA

I raggi gamma (γ) sono una forma di radiazione elettromagnetica più penetrante sia della radiazione alfa sia della radiazione beta, ma meno ionizzante.

I raggi gamma si distinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni nucleari o subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizioni energetiche dovute ad elettroni in rapido movimento. I raggi gamma producono effetti simili a quelli dei raggi X come ustioni, forme di cancro e mutazioni genetiche.

I raggi gamma possiedono una capacità battericida che li rende utili nella sterilizzazione delle confezioni alimentari e delle apparecchiature mediche;

Sono usati, inoltre, per alcuni esami diagnostici di medicina nucleare, come ad esempio la tomografia ad emissione di positroni (PET).

I PERICOLI NASCOSTI DEL GRANO

Sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive. Le moderne selezioni hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico.

Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate.

IL GRANO CHE ARRIVA SULLE NOSTRE TAVOLE NON È SOLTANTO IL CRESO

Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche grani meno costosi, proveniente dai granai dell’Unione Sovietica, del Canada o degli Stati Uniti.

Dal 1992 l’Italia importa circa il 60% della farina dall’America settentrionale e dall’Ucraina. Solo apparentemente le caratteristiche organolettiche di queste farine sono uguali a quelle di produzione italiana perché il grano deve viaggiare per lunghi periodi, stivato nelle navi o su treni merci. Quindi, oltre ad aver subito durante la coltivazione trattamenti a base di antiparassitari, diserbanti e pesticidi, deve essere ripetutamente trattato durante il viaggio, per evitare la distruzione delle stesse granaglie ad opera di topi e infestazioni varie. Si può facilmente immaginare quali siano le caratteristiche biochimiche del prodotto che arriva sugli scaffali del supermercato e successivamente a contatto con la mucosa intestinale.

Inoltre, la varietà “Manitoba”, importata soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti, possiede 28 coppie di cromosomi in ogni cellula. Per millenni, nell’ambito del bacino del Mediterraneo e nei paesi limitrofi, si è coltivato frumento e varietà dello stesso, con un corredo cromosomico pari a 14 (grano antico, spontaneo, siro-persiano) o, come nel farro, 42 cromosomi per cellula. Questa variabilità genetica potrebbe contribuire a scatenare reazioni allergiche, disordini immunitari, intolleranze al frumento.

Se si combinano grano Creso e farina 00 il potenziale dannoso aumenta ancora. La farina 00 infatti si comporta anche peggio dello zucchero: fa aumentare troppo velocemente la glicemia e di conseguenza l’insulina. In questo modo aumentano i fattori di crescita che determinano gran parte dei tumori. I picchi di insulina inoltre favoriscono l’obesità.

Parte della sopravvivenza è mangiare cibi che ti nutrono e identificare quelli che ti avvelenano”. ― Steven Magee

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