20Feb

IL COLESTEROLO

“Le uova non aumentano il colesterolo; fanno esattamente il contrario”. – Rick Warren

COS’È IL COLESTEROLO

Il colesterolo non è un grasso, è un alcool, un composto organico appartenente alla famiglia dei lipidi steroidei. Nel nostro organismo svolge diverse funzioni biologiche, importanti ed  ESSENZIALI: è un componente FONDAMENTALE delle membrane cellulari, di cui regola fluidità e permeabilità; è il precursore della vitamina D, dei sali biliari e degli ormoni steroidei, sia maschili che femminili (testosterone, progesterone, estradiolo, cortisolo ecc.). Inoltre il colesterolo serve a nutrire il cristallino, infatti la terapia contro il colesterolo ha come effetto collaterale l’opacizzazione del cristallino. Insomma senza colesterolo non esisteremmo. 

Vi è un’esigenza di colesterolo! Per cui se non ne mangiamo abbastanza, ne produciamo di più, perché il colesterolo è vitale.

Nonostante questo ruolo biologico di primo piano, quando il colesterolo circola nel sangue in concentrazioni superiori alla norma può trasformarsi in un nemico della nostra salute.

Attenzione però, il colesterolo pericoloso è quello “ossidato”. 

In pratica per capire se siamo in una condizione di pericolo, non solo dovremo avere HDL basso, LDL alto, ma anche uno stato di infiammazione silente, evidenziato dall’esame proteina Creattiva HS (ad alta sensibilità) alterato.

Bisogna subito chiarire che il colesterolo presente nel sangue (quello che valutiamo dagli esami ematochimici) è prodotto per l’80% dal fegato, mentre solo il restante 20% lo si ricava dagli alimenti. 

Il Colesterolo non è solubile, ed ha quindi bisogno di speciali proteine che consentano di trasportarlo nel torrente ematico e “consegnarlo” ai tessuti che ne hanno bisogno. 

Queste proteine “da transito” si chiamano HDL, LDL, IDL, VLDL ed insieme al Colesterolo trasportano anche i trigliceridi (i grassi che dovrebbero servire per l’energia).

COLESTEROLO BUONO E CATTIVO

Perché si parla di “colesterolo LDL cattivo” e “colesterolo HDL buono”? 

I trigliceridi (il carburante) e il colesterolo (la struttura) viaggiano insieme. Il viaggio parte dal fegato che sintetizza il colesterolo e lo scarica via insieme ad altri grassi trasportati dalle “proteine vettura” VLDL. Mano a mano che le VLDL scaricano trigliceridi si alleggeriscono e diventano IDL.  Successivamente le IDL, finito di scaricare trigliceridi alle varie cellule incaricate di immagazzinarli o di utilizzarli per produrre energia, si trasformano in LDL ed iniziano a consegnare il colesterolo agli organi. Le HDL, invece, hanno un percorso a ritroso, trasportano il colesterolo dalla periferia al fegato. Esse si occupano di ripulire i vasi dal colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato per essere riciclato o per eliminarlo attraverso la bile. 

PROBLEMI E STILI DI VITA

La qualità e l’equilibrio tra HDL e LDL dipendono sicuramente dallo stile di vita. In relazione a questi termini vediamo dove iniziano i problemi e perché.

Abbiamo visto che le LDL trasportano il colesterolo dal fegato e lo consegnano al circolo. Ma, durante il tragitto, i radicali liberi, oppure la troppo alta concentrazione di zuccheri nel sangue, può alterarle, il “colesterolo” diventa appiccicoso, viene scaricato e aderisce sulle pareti delle vene e delle arterie, provocando placche ed arteriosclerosi. Se le placche si accumulano fino a ostruire il flusso del sangue al cuore si rischia l’infarto, mentre se l’occlusione riguarda il flusso al cervello si arriva all’ictus.

Quindi, mentre le HDL sono considerate “buone” perché hanno una struttura molecolare liscia e più grande tanto da portar via il colesterolo, rimuovendo anche parte delle placche dalle arterie, le LDL invece, per il ruolo che esercitano, si sono conquistate una bruttissima reputazione diventando quelle “cattive”, portando pessima fama anche al colesterolo.

IL COLESTEROLO E IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Bisogna innanzitutto premettere che il “colesterolo alto” è sempre una condizione ereditaria, non è mai legato a quello che si mangia ma quello che si mangia potrebbe modularne la discesa o la regolazione.

Inoltre è importante spiegare perché guardare al livello totale di colesterolo non è corretto, e soprattutto perché non dà una indicazione precisa sul livello di rischio cardiovascolare.

Utilizzare semplicemente il valore del colesterolo totale come parametro di rischio è quantomeno semplicistico. Infatti è possibile avere valori di colesterolo elevati ma con una predominanza di particelle LDL espanse, ed essere dunque a basso rischio, o avere valori di colesterolo nella norma, ma con una predominanza di particelle LDL dense (situazione molto comune) ed essere quindi ad elevato rischio cardiovascolare. Le analisi del sangue non misurano direttamente le LDL, né la concentrazione di particelle dense (pericolose) rispetto a quelle espanse (“buone”). 

Bisogna quindi indagare il colesterolo totale, quello parziale e lo stato di infiammazione silente valutato dalla PCR ad alta sensibilità.

LA REALZIONE TRA HDL E TRIGLICERIDI 

Per stabilire il grado di rischio cardiovascolare è meglio prendere in esame il livello di trigliceridi e di HDL. C’è, infatti, una relazione molto significativa tra questi due parametri.
Negli adulti, il rapporto trigliceridi/HDL-colesterolo “buono” dovrebbe essere inferiore a 2 (basta dividere il livello dei tuoi trigliceridi per il tuo colesterolo HDL).

E, poiché il colesterolo HDL (lipoproteina ad alta densità) è protettivo contro le malattie cardiache, più basso è il rapporto, migliore è la prognosi (cioè l’aspettativa di vita senza attacchi cardiaci). In altre parole, più bassi sono i tuoi trigliceridi, più alto è il tuo HDL e  più piccolo diventa questo rapporto.

I trigliceridi sono i grassi che viaggiano all’interno del nostro corpo. Sono il carburante migliore e anche quello preferito dal nostro organismo che li utilizza per far funzionare muscoli e cuore. Quando si ingerisce un’elevata quantità di carboidrati, il nostro corpo non riesce ad utilizzarli tutti insieme, si vede così costretto ad immagazzinarli. Gli zuccheri vengono quindi convertiti in grassi, trasportati sotto forma di trigliceridi ed immagazzinati nell’adipe, tra gli strati dei tessuti muscolari ed intorno e dentro agli organi. Se questa situazione è cronica, il valore dei trigliceridi nel sangue aumenta. 

In caso di insulino-resistenza le cose peggiorano ulteriormente. 

La cellulite, lo strato di grasso sull’addome e le maniglie dell’amore sono tutte una rappresentazione visiva di trigliceridi messi da parte e di insulina alta.

Per regolare quindi la sintesi del colesterolo e ridurre l’accumulo di trigliceridi bisogna mettere in atto l’evitamento delle 3P (PPP) + A: pane, pasta e pizza + alcool.

Il messaggio corretto dovrebbe essere: “Mangia meno pasta, pizza, pane, alcool e zuccheri, e il colesterolo scende!”

MENO ZUCCHERI E ALCOOL = MENO LDL DENSE 

Quando teniamo costanti e giusti i livelli di zucchero nel sangue, evitando gli amidi e i carboidrati ad alto indice glicemico, si riducono anche i trigliceridi e di conseguenza si riducono anche le LDL ad alta densità (che sono il vero rischio).

Se l’alimentazione è bilanciata, tutto va a meraviglia e il flusso di trigliceridi derivati dal cibo e da quelli estratti dalle riserve di grasso è pari a quello bruciato nei mitocondri. In questo caso le LDL presenti nel sangue sono generalmente basse.

ECCO COSA SUCCEDE CON TROPPI CARBOIDRATI

Quando invece l’alimentazione è ricca di carboidrati (ad esempio quando mangiate un piatto di pasta col formaggio o una pizza), l’insulina viene stimolata in maniera eccessiva, il che comporta l’immagazzinamento degli zuccheri in eccesso sotto forma di adipe, l’aumento di trigliceridi e di LDL ad alta densità.

PIÙ INSULINA = PIÙ COLESTEROLO 

L’insulina influenza i livelli di lipidi ematici (la quantità di trigliceridi nel sangue) anche in maniera diretta: alti livelli di insulina (indotti dai troppi carboidrati sfavorevoli) aumentano la produzione dell’enzima HMG-CoA riduttasi, uno degli enzimi deputati alla produzione di colesterolo nel fegato.

INDICAZIONI ALIMENTARI DA SEGUIRE PER RIDURRE IL COLESTEROLO

Innanzitutto bisogna mangiare, mangiare bene, ma mangiare! Perché il colesterolo si alza molto nel digiuno. Gli anoressici, infatti, hanno il colesterolo altissimo! In pratica il corpo sintetizza in eccesso quello che gli serve quando non gli viene dato dall’esterno. 

Per incrementare poi i livelli di HDL si devono mangiare grassi di buona qualità, come gli omega-3 del pesce, ridurre i grassi che contengono gli omega-6, EVITANDO ad esempio le carni rosse e grasse. 

Basta capire che mangiando i cibi giusti non è poi così impossibile tenere a bada il colesterolo e i trigliceridi, e poi è molto importante non commettere quel grave errore di seguire delle diete povere di nutrienti, perché nessuna dieta può essere definita salutare se essa comprende fame e privazione di cibo, e non c’è bisogno di escludere nessun gruppo di cibi: al nostro corpo servono i carboidrati, le proteine, gli zuccheri, le vitamine, tutto, purché non in quantità eccessive, ecco perché non possiamo eliminare niente di ciò che mangiamo, ma possiamo sostituirli con altri alimenti dello stesso gruppo alimentare, che però hanno un basso contenuto di zuccheri e grassi. 

Per abbassare i grassi bisogna cambiare lo stile alimentare non lo stile di vita, perché non siamo debilitati o malati, dobbiamo solo prevenire!

I farmaci che abbassano il colesterolo non possono apportare tutti i benefici tipici di un’alimentazione sana. Non riducono infatti il girovita né la pressione arteriosa. Non contengono fibre né vitamine. Quindi, sebbene in certi casi possano essere utili, non possono sostituire un sano riordino della dispensa e del frigorifero”. – Neal Barnard

17Feb

IODIO E TIROIDE

“Una dieta carente di iodio può portare a ritardo mentale, gozzo o disturbi della tiroide. Il sale iodato è la misura preventiva più efficace utilizzata per controllare la carenza di iodio”. – Medindia

COS’È LO IODIO

Lo iodio è un elemento chimico. Il nome deriva dal greco antico e ha come significato viola o violetto a causa del colore dei vapori irritanti dell’elemento. E’ stato scoperto nel 1811, è diffuso in natura ma, sempre di più, presente in percentuali molto ridotte. Si trova nelle acque marine come iodato di sodio. 

È apparso sulla Terra in epoche più recenti rispetto ad altri elementi chimici e perciò si è depositato sulla superficie delle rocce e del suolo, al di sopra dello stato lavico profondo. Nel tempo, è stato lavato via dalle piogge e portato verso il mare, per questo ne possiede concentrazioni più elevate. Una piccola risiede anche nei terreni, dove viene assorbito dalle piante. 

EFFETTI SULLA TIROIDE

Lo Iodio, utilizzato anche come disinfettante, nella tintura di iodio, svolge un’importante azione preventiva nei confronti di una serie di malattie, tra cui principalmente quelle tiroidee. L’organismo umano infatti concentra lo iodio nella tiroide, dove entra nella formulazione di due ormoni, triiodiotironina (T3Tirosina con 3 atomi di iodio) e tiroxina (T4Tirosina con 4 atomi di iodio), regolatori di alcune funzioni metaboliche, tra cui lo sviluppo del sistema nervoso centrale, le attività cardiovascolari e l’accrescimento corporeo. 

Un buon funzionamento della tiroide è, quindi, alla base di una buona qualità della vita. Purtroppo sempre più persone soffrono di disturbi tiroidei e, purtroppo, non sempre è conclamata la diagnosi. 

Quasi sempre un problema di ipotiroidismo è facilmente identificabile con esami specifici (dosaggi di TSH – FT3 – FT4) e con l’ecografia. Oggi è frequente diagnosticare una tiroidite cronica autoimmune, detta anche tiroidite di Hashimoto, dove si creano autoanticorpi che non riconoscono la ghiandola tiroidea come self e di conseguenza la attaccano.

In tantissimi altri casi le cose non sono invece così semplici. 

Il problema non è una quantità insufficiente di ormoni circolanti ma una difficoltà nel loro metabolismo (ridotta conversione T4→T3). Infatti l’ormone T4, nel fegato, perde un atomo di iodio e diventa T3, che è la parte attiva dell’ormone, cioè il T3 tiene in vita tutti i processi metabolici. Quindi una normale produzione di ormoni, ma una ridotta conversione in T3, produce comunque un ipotiroidismo. 

In tal caso ci troviamo difronte a pazienti che, hanno gli esami nel range di normalità, ma vagano da un medico all’altro senza che nessuno sembri capire cos’hanno che non va. Continuano a non stare bene e tutto si attribuisce allo stress, all’ansia, oppure agli anni che passano. 

SINTOMI DA CARENZA DI IODIO

Questi sono alcuni dei sintomi che spesso questi pazienti lamentano: cefalea, stanchezza fisica e mentale, umore malinconico o depresso, difficoltà di concentrazione, peso che aumenta o che non cala, colesterolo che resta alto nonostante la dieta, freddolosità esagerata, pelle secca, unghie fragili, perdita di capelli, gonfiore agli occhi, al viso e alle dita spesso soprattutto al mattino, stitichezza e cattiva digestione, frequenti malattie da raffreddamento, cefalea, allergie, mestruazioni irregolari o dolorose, dolori muscolari e articolari, ecc.

Un test per capire se si è in ipotiroidismo, che si può fare comodamente a casa, consiste nel misurare la temperatura sublinguale, al risveglio tra le 7 e le 8 , per 6 giorni consecutivi, in stato di riposo assoluto e prima di alzarsi. Se la temperatura è inferiore a 36,4 C° è possibile che si è in presenza di un certo grado di ipotiroidismo che andrà comunque CONFERMATO DAL MEDICO. 

PREVENZIONE

Per prevenire questi disturbi bisogna essere certi di assumere abbastanza iodio. L’ipotiroidismo silente, infatti, oltre che all’inquinamento atmosferico (il grado radioattivo dell’aria è molto aumentato) può dipendere semplicemente da una carenza di iodio. 

In una persona sana, il fabbisogno giornaliero di iodio è di 150 microgrammi, quantità che aumenta in gravidanza (il feto ha bisogno di iodio per sviluppare il sistema nervoso) e durante l’allattamento, fino a 250-300 microgrammi. 

DOVE SI TROVA

Sfatiamo subito un mito: nell’aria dei nostri mari non c’è più la stessa quantità di iodio di prima. In molti pensano che basti una passeggiata in riva al mare per fare il pieno di questo importante minerale, ma purtroppo non è così. Lo iodio si assume solo attraverso gli alimenti, in particolare il pescato marino, e la carenza è sostanzialmente dovuta all’impoverimento di iodio nei nostri mari e ad un’errata alimentazione. Non è sufficiente inspirare la brezza della battigia, perché la quantità di iodio che evapora dal mare e che l’organismo assorbe è purtroppo esigua.

La fonte principale di iodio per l’organismo umano è rappresentata dagli alimenti, dalle orate ai saraghi, o i crostacei, per esempio i gamberi e i molluschi, come le vongole e i calamari. Tutti i pesci contengono iodio perché l’assorbono. Allo stesso modo i pesci dei mari del Nord forniscono quantità importanti del micronutriente, tra questi la platessa, che è tra i surgelati più diffusi e che sotto zero non perde lo iodio. Anche le verdure del mare, le alghe (kelp, nori, kombu, wakame,…), apportano iodio. Molto! Se piacciono, possono entrare a far parte dei menù. Sono abbondanti nei pasti dei giapponesi che, infatti, non hanno problemi di gozzo. 

Anche il latte, le uova e le verdure contengono una piccola quantità di iodio, concentrazioni variabili in base alla ricchezza dello stesso nel terreno, in ogni caso non sufficiente a sopperire il fabbisogno giornaliero.

È quindi facilmente intuibile il fatto che, chi non mangia pesce o alghe, assumi molto poco iodio e quanto, di conseguenza, la tiroide possa soffrirne.

Per fortuna da anni è presente sulle nostre tavole il sale iodato. La Legge n. 55/2005 prevede interventi di iodoprofilassi, mentre dal 2009 c’è l’obbligo di verificare l’uso del sale iodato nelle mense scolastiche. In Italia c’è stato quindi un miglioramento dell’assunzione di iodio rispetto al passato, ma comunque non sufficiente in quanto ne persiste una carenza nutrizionale che determina ancora un’alta frequenza di gozzo e di altri disordini correlati. 

In definitiva bisogna essere certi di assumere nutrienti specifici (quali selenio, zinco, iodio, vitamina D, ecc.) il tutto per nutrire e stimolare la ghiandola tiroidea, affinché questa possa produrre in maniera ottimale i suoi ormoni e soprattutto perché questi vengano poi adeguatamente metabolizzati.

15Feb

MICROBIOTA

Tutte le malattie hanno origine nellintestino. – Ippocrate, 460-370 a.C.

COS’È IL MICROBIOTA E PERCHÈ È COSÌ IMPORTANTE PER LA SALUTE

È l’insieme dei microrganismi contenuti nell’intestino umano, capaci di sintetizzare per noi vitamine e altre sostanze che aiutano il nostro organismo a svolgere le proprie funzioni quotidiane, come ostacolare l’attacco di potenziali patogeni e allergeni o supportare la peristalsi intestinale. Il fatto sorprendente è che questa enorme quantità di batteri non lavora da sola ma è in continua comunicazione con le nostre cellule, in modo da agire proprio a seconda di quello che succede nel nostro organismo.

Il microbiota è costituito prevalentemente da batteri, oltre a lievitiparassiti e virus. Quando queste comunità vivono in equilibrio vi è una condizione definita di eubiosi. Questa è molto importante perché permette alle varie componenti del microbiota intestinale di essere funzionalmente efficaci e soprattutto di essere sincronizzate sia tra loro, sia con gli altri componenti dell’ecosistema intestinale.

In base al numero di cellule, siamo composti al 90% da microbi e solo per il 10% da cellule umane, con buona pace dei maniaci dell’igiene e degli ipocondriaci. Uno dei campi di ricerca più interessante di questo nuovo millennio, è proprio capire come si comporta questo 90% di microrganismi e come interagisce col restante 10% delle nostre cellule.

DA CHE COSA SONO COMPOSTE QUESTE COMUNITÀ BATTERICHE?

I batteri intestinali principali vengono chiamati: Firmicutes, Bacteroides, Proteobacteria e Actinobacteria.

I Firmicutes e i Bacteroides rappresentano circa il 90% e negli ultimi anni la ricerca ha dimostrato come il variare del rapporto tra queste componenti faciliti e promuova uno stato di disbiosi che può essere correlata a malattie non soltanto dell’apparato digerente, ma anche, solo per citarne alcune, a diabete e obesità, dermatite, patologie cardiovascolari, Alzheimer, Parkinson o addirittura a malattie sistemiche.

SUPERBATTERI

Il microbiota intestinale è costituito sia da batteri benefici sia da batteri nocivi, che è importante mantenere in costante equilibrio. I batteri benefici svolgono una serie di azioni positive:

  • Modulano il sistema immunitario
  • Inibiscono la crescita di batteri nocivi
  • Contribuiscono al processo digestivo
  • Aiutano il transito intestinale
  • Producono utilissime vitamine (come la K, la B12, ecc.) e alcuni aminoacidi.

INTESTINO

L’intestino non è, come si può pensare, un organo deputato unicamente al transito “materiale” degli alimenti, alla loro digestione, al loro assorbimento e all’eliminazione di quello che va scartato. È di più, molto di più. Oggi si parla molto, e giustamente, della stretta relazione esistente tra il nostro microbiota e il cervello. 

Sappiamo che l’insieme dei batteri intestinali (il microbiota, appunto) secerne molecole che attivano varie cellule intestinali (epiteliali, immunitarie, endocrine, neuroni), che a loro volta inviano segnali al cervello. Si tratta di una comunicazione che segue quattro vie – sanguigna, immunitaria, endocrina e nervosa – defnite “autostrade” da Emeran Mayer, gastroenterologo e neuroscienziato di origine bavarese che insegna medicina, fisiologia e psichiatria alla David Geffen School of Medicine dell’uCla, la principale università di Los Angeles. 

La via sanguigna è quella in cui le molecole sintetizzate dai batteri arrivano alla circolazione sanguigna e agiscono sull’insieme dell’organismo. 

Nella via immunitaria le cellule immunitarie attivate da queste stesse molecole producono, invece, molecole particolari chiamate citochine, che agiscono sul cervello creando una risposta immunitaria a un’infiammazione. 

Nella via endocrina le cellule endocrine, attivate dalle stesse molecole, producono ormoni che agiscono sul cervello.

Nella via nervosa i neuroni (cellule nervose) del sistema nervoso dell’intestino, stimolati dai metaboliti batterici, attivano il nervo “vago” fino al cervello.

In tutto questo viavaio il cervello analizza l’intera enorme mole di informazioni e risponde dando precise istruzioni. Proprio per questo è corretto dire che l’intestino, insieme con la sua flora intestinale, svolge un “lavoro” che va ben oltre quello “banale” di transito e di trasformazione, come si è pensato per troppo tempo; in realtà, il suo ruolo è quello di un “secondo cervello”. Come sostiene Mayer, “i due cervelli comunicano in permanenza tramite queste quattro autostrade”.  

Una volta chiara la portata di questo lavoro svolto dall’intestino, diventa facile comprendere il ruolo fondamentale che avrà per la nostra salute un’alimentazione sana ed equilibrata. Si tratta di nozioni che aprono nuove opzioni terapeutiche per numerose patologie: dal diabete all’autismo, dalle malattie infiammatorie alla sclerosi a placche, dai tumori all’artrosi, dalla psoriasi ai reumatismi.

COME SI INSTAURANO E COSA COMPORTANO L’EUBIOSI E LA DISBIOSI DEL MICROBIOTA INTESTINALE?

È innanzitutto necessario sottolineare che il microbiota intestinale è legato all’età: l’organismo cerca autonomamente di mantenere un equilibrio adeguato della composizione microbica, soprattutto nella fase centrale della vita. Nei primi due anni, quindi nella tarda e nella prima infanzia, questo equilibrio è molto più instabile e viene addirittura a mancare negli anziani, nei quali assistiamo a variazioni significative del microbiota. Ma anche negli adulti il microbiota ha piccole variazioni giornaliere, condizionate soprattutto dall’alimentazione.

Se analizziamo quali sono i fattori che intervengono negativamente nella determinazione della composizione del microbiota, ci accorgiamo che esistono due casi: la presenza di infezioni che sopraggiungono dall’esterno e che danno disbiosi acuta, e fattori che incidono in modo più subdolo e più lento determinando uno stato di disbiosi cronica. È il caso delle alimentazioni scorrette, per esempio le diete iperproteiche o con troppi carboidrati, e degli stili di vita sbagliati (non fare attività fisica, fumo, l’abuso di alcool, ecc.) protratti nel tempo.

Inoltre, fra gli elementi che contribuiscono a modificare l’equilibrio e la composizione del microbiota, bisogna annoverare anche le componenti farmacologiche. Infatti, larga parte della popolazione assume farmaci in modo cronico e questo contribuisce a variare profondamente il microbiota.

La letteratura scientifica indica che l’uso di inibitori di pompa protonica (PPI), cortisonici e contraccettivi orali, fa sì che si creino disbiosi subdole, che non vengono percepite immediatamente dal paziente come quelle acute, al contrario degli antibiotici che scatenano disbiosi acute con sintomi facilmente rilevabili come diarrea, dolore addominale e meteorismi. Quando si instaura uno stato di disbiosi cronica, invece, lentamente si instaurano anche importanti alterazioni funzionali che coinvolgono soprattutto la barriera intestinale. Questo accade perché la barriera intestinale è selettiva: esistono alcune strutture chiamate “giunzioni serrate” o “thight junction” che mettono in collegamento le varie cellule intestinali e che permettono il passaggio bidirezionale di sostanze dal lume intestinale al torrente circolatorio. Sono strutture proteiche che traggono grande beneficio e sono molto condizionate nella loro funzionalità da sostanze come gli acidi grassi a catena corta, prodotti proprio dal metabolismo del microbiota intestinale.

L’alterazione del microbiota intestinale, dal punto di vista metabolico, comporta, di riflesso, l’alterazione della funzionalità delle giunzioni serrate e quindi il passaggio di sostanze tossiche, di allergeni e di microbi nel torrente circolatorio e quindi dall’intestino a tutto l’organismo. Ecco perché è necessario mantenere l’eubiosi del microbiota intestinale, attraverso la dieta, soprattutto, ma anche con l’assunzione dei giusti probiotici.

CARTA D’IDENTITÀ

Siamo tutti diversi! Anche il microbiota intestinale è differente per ciascun individuo e per questo potrebbe essere paragonato alla nostra carta d’identità o ancora meglio alle nostre impronte digitali. Non esistono perciò nel mondo due persone con un identico corredo di batteri intestinali. Addirittura, il microbiota di ciascuno di noi cambia nelle diverse fasi della vita.

LA FLORA IN EQUILIBRO

Una flora intestinale bilanciata contribuisce ad ostacolare la crescita dei batteri dannosi e favorisce una corretta funzionalità intestinale. Sono diversi i fattori, però, che possono alterare questo equilibrio:

  • l’avanzare dell’età
  • lo stress
  • un’alimentazione scorretta
  • l’assunzione di farmaci (per esempio gli antibiotici).

Per questo è importante mantenere uno stile di vita sano, attivo, positivo, ed essere sempre attenti alla propria alimentazione.

Inoltre, tra le principali cause di regressione e quindi peggioramento del microbioma, troviamo una classe di medicinali di uso comune: gli antibiotici. Ogni qualvolta si somministra un antibiotico (questo vale ancor di più per i bambini) la flora batterica umana regredisce, e considerando che questa prima fase di sviluppo del microbioma (i primi due-tre anni) getterà le basi per la salute del futuro individuo adulto, capiamo bene quanto l’utilizzo di questi farmaci sia sconsigliato.

Un altro fattore in grado di modificare profondamente il tipo di microrganismi colonizzanti il nostro intestino: il cibo. Potremmo metterlo in cima alla lista, poiché escludendo protocolli di digiuno estremi, ogni giorno veniamo a contatto con il cibo – mangiando – e quindi, ogni giorno, abbiamo la possibilità di modificare il nostro microbioma, nel bene o nel male.

I FERMENTI PROBIOTICI

Per favorire l’equilibrio della flora batterica intestinale ci viene in aiuto l’utilizzo di fermenti probiotici, capaci di superare la barriera gastrica e giungere vivi nell’intestino. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di “organismi vivi che, se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”.

Tradizionalmente, i cibi fermentati rappresentano un modo semplice per influenzare e ottimizzare la salute dell’intestino. Pullulano di microbi benefici che purtroppo spesso mancano nella dieta. Quasi ogni cultura ha una ricetta per il cibo fermentato, tramandata di generazione in generazione.

Alcuni di questi preziosi fermenti si possono assumere tramite alimenti definiti superfood (supercibo), termine di marketing usato per indicare cibi aventi spiccate proprietà benefiche per la salute, imputabili ad una parte delle caratteristiche nutrizionali o alla concentrazione chimica complessiva. Di seguito alcuni alimenti probiotici contenenti alte dosi di fermenti attivi estremamente utili per la salute del microbiota:

  • KEFIR: latte fermentato prodotto a partire da granuli di kefir, posti in incubazione con latte o acqua. Questi granuli costituiscono una specifica e complessa miscela di batteri lattici e lieviti che vivono in associazione simbiotica e che, a differenza dei fermenti lattici dello yogurt, sono in grado di raggiungere l’intestino vivi e attivi, favorendo l’equilibrio del microbiota intestinale.
  • KIMCHI: alimento con una lunga tradizione in Corea, il cavolo e il ravanello fermentati sono le due verdure più utilizzate in questa preparazione che oltre a risultare molto saporita al palato, possiede un’alta concentrazione di preziosissimi fermenti probiotici.
  • KOMBUCHA: il Kombucha tea è un tè zuccherato che viene fatto fermentare tramite una coltura di batteri e lieviti. I batteri si cibano degli zuccheri presenti, rendendola quindi una bevanda dietetica e donandole una piacevole e rinfrescante frizzantezza. È inoltre altamente disintossicante e depurante per l’intero organismo.
  • SIDRO DI MELE: ricco di minerali come il potassio e il magnesio, molte vitamine, probiotici ed enzimi benefici, l’acido acetico ha la capacità di uccidere i batteri dannosi mentre sostiene e nutre i batteri “buoni”.

Il modo migliore per attivare il genio all’interno del sistema immunitario è quello di assumere supercibi, probiotici e cibi coltivati, ridurre al minimo l’esposizione agli alimenti tossici mangiando cibi crudi biologici puri e apportare miglioramenti appropriati allo stile di vita. – David Wolfe

15Feb

ALIMENTAZIONE E MALATTIA – COME PREVENIRE

Lascia che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. – Ippocrate

DI QUALI CIBI SI NUTRONO LE NEOPLASIE?

Cominciamo subito col dire che è indispensabile sapere di quali cibi si nutrono le neoplasie. Sono fondamentalmente quegli alimenti che contengono zucchero e/o fattori di crescita. È sempre importante evitare cibi che danneggiano il sistema immunitario, che come vedremo sono quei cereali che contengono glutine in quantità spropositata, la caseina (proteina del latte) e cibi molto acidi.

I pazienti oncologici dovranno necessariamente eliminare tutti quei cibi che contengono queste sostanze, mentre le persone sane, che comunque vogliono fare prevenzione, dovranno almeno cercare di ridurne il consumo.

Vediamo nello specifico quali sono questi alimenti.

LO ZUCCHERO

Le cellule tumorali sono ghiottissime di zucchero, tant’è che ne consumano 20 volte di più rispetto alle cellule normali! Infatti quando si fa una PET (Positron Emission Tomography) per diagnosticare se il paziente ha o non ha un tumore, viene iniettato nell’organismo uno zucchero radio marcato, questo zucchero ha la funzione di “tracciante”, cioè ne viene controllato il percorso dall’apparecchiatura elettronica, così da capire come e dove si distribuisce nell’organismo. Se ci sono cellule tumorali, questo zucchero verrà rapidamente assimilato andandosi ad accumulare nelle cellule malate.

Per zucchero non si intende solo il comune zucchero bianco (saccarosio), sicuramente anche quello va eliminato, ma lo zucchero è presente anche in tantissimi altri cibi che mangiamo quotidianamente, come biscotti, pane, pasta, riso, brioches, fette biscottate, bevande, frutta ecc.

Non va meglio con lo zucchero di canna e lo stesso dicasi per gli altri dolcificanti, naturali o di sintesi, come il miele, il fruttosio liquido, lo sciroppo d’acero e tutti i vari edulcoranti utilizzati al posto dello zucchero per dolcificare caramelle, gomme da masticare, cibi, bevande per sportivi, ecc. Ancora peggio è lo sciroppo di glucosio, considerato al pari di un veleno, che lo troviamo davvero in ogni dove: merendine, yogurt, biscotti, fette biscottate, panettoni, torroni, frutta secca, ecc.

Bisogna controllare sempre le etichette!

LA FRUTTA ZUCCHERINA

Anche la frutta è ricca di zucchero (non è vero che contiene solo fruttosio, contiene anche tanto saccarosio), per cui non è immune al discorso appena fatto per gli altri dolcificanti. Inoltre l’eccessivo uso di fruttosio è ancora peggio del saccarosio, in quanto per essere metabolizzato richiede più energia, non sfruttando l’insulina come mediatore, e se non viene immediatamente consumato (per esempio tramite dell’attività sportiva), viene stoccato nel fegato sotto forma di glicogeno e poi trigliceridi. Per cui un eccessivo consumo di frutta può benissimo essere una delle cause della steatosi epatica ovvero il famoso “fegato grasso“. Quindi il consumo di frutta va ridotto, si consiglia di mangiare al massimo due-tre frutti al giorno e preferibilmente la mattina o entro le 17. Infatti mangiare la frutta la sera significa andare a dormire con picchi glicemici alti.

Assolutamente da evitare la frutta dopo i pasti. Infatti la frutta consumata dopo i pasti, specie dopo aver mangiato un piatto di carboidrati (come pasta, riso, miglio, mais, ecc.), viene digerita nel tenue. Il tempo che permane nello stomaco va in putrefazione, creando inoltre una forte acidosi. L’acidosi è un altro di quei fattori che va evitato in caso di neoplasia. Per lo stesso motivo vanno evitate le macedonie, ovvero l’abbinamento di due o più frutti di tipo diverso.

ALIMENTI AD ALTO INDICE GLICEMICO

Inoltre attenzione a tutti quei cibi ad alto indice glicemico, ovvero ricchi di amidi, che altro non sono che zuccheri complessi. Al di là dei cereali che contengono glutine, come il frumento, e che andrebbero totalmente eliminati, i cibi ad alto indice glicemico possono essere consumati durante la prima parte della giornata, cioè a colazione o all’ora di pranzo, quando il metabolismo è più veloce e l’organismo riesce a metabolizzarli meglio.

Tra gli alimenti ad alto indice glicemico e senza glutine, troviamo ad esempio il riso bianco e il mais. Il mais in scatola andrebbe totalmente evitato, dato che contiene muffe e funghi potenzialmente tossici. Per quanto riguarda il riso è meglio evitare il riso bianco e puntare dritti su qualità di riso integrale, il cui indice glicemico è nettamente inferiore. Poi ci sono anche altri cereali meno conosciuti, ma comunque molto validi, come la quinoa, l’amaranto, il grano saraceno, il miglio, il sorgo, ecc.

In ogni caso i cereali, integrali, o non integrali, non vanno MAI consumati a cena. Durante il pasto serale si consiglia invece di mangiare proteine (pesce, uova) e tante verdure (che contengono zuccheri a bassissimo indice glicemico). 

Consumare cibi a basso indice glicemico significa anche ridurre al minimo la produzione di insulina. L’insulina è quell’ormone prodotto dal pancreas che ha il compito di abbassare la glicemia portando il glucosio all’interno delle cellule. Essendo l’insulina anche un importante fattore di crescita, evitare picchi insulinici nei pazienti oncologici, è un altro degli imperativi della dieta anti-neoplasia.

Inoltre mangiare troppi zuccheri porta a disbiosi che a sua volta porta alla decarbossilazione delle proteine con produzione di istamina, cadaverina, putrescina e spermidina. 

Gli enzimi Dao, Mao, Pao, sono in genere in grado di distruggere queste ammine endogene tossiche. Ma in caso di troppa disbiosi questi enzimi vengono distrutti e si ha la sindrome da sgocciolamento intestinale (un disordine della mucosa intestinale che è più porosa nel normale) e intolleranza alimentare. 

CIBI CHE CONTENGONO FATTORI DI CRESCITA

fattori di crescita sono delle particolari proteine, ormoni o altre sostanze che, come dice la parola stessa, favoriscono la crescita e la proliferazione cellulare. E questo, purtroppo, vale sia per le cellule sane, che per le cellule tumorali. Per cui i pazienti oncologici devono assolutamente evitare i cibi che contengono fattori di crescita, mentre le persone sane dovrebbero comunque moderarne il consumo.

Vediamo quali sono questi alimenti.

LATTE E DERIVATI 

Il latte animale e in particolare il latte vaccino, contiene tutta una serie di sostanze che lo rendono totalmente inadatto all’organismo umano, specialmente dopo i 10 anni di età. Dopo questa età perdiamo gradualmente la capacità di digerire il lattosio, cioè lo zucchero del latte. Tant’è che in Europa solo il 25% delle persone adulte sono capaci di digerire bene il latte (e in Asia meno del 10%).

Ma il lattosio rappresenta solo la punta dell’iceberg dei problemi derivanti dal latte.

Il latte che beviamo oggi è ben diverso da quello che avevano a disposizione i nostri nonni 60-70 anni fa. Le povere mucche da latte sono state costrette a passare dalla loro naturale produzione di 20 litri giornalieri a una cinquantina ed oltre e per fare ciò vengono imbottite di ormoni della crescita, antibiotici e cereali, per cui il prodotto finale non è altro che una bomba esplosiva di fattori di crescita. Infatti il latte contiene gli ormoni della crescita (IGF1), che servono a far crescere i vitellini allattati, questi all’interno del nostro organismo, oltre a favorire la crescita e la proliferazione cellulare (anche di quelle malate!), vanno ad interferire con il normale equilibrio ormonale dell’essere umano. Per cui questi ormoni possono provocare patologie o tumori ormono-sensibili, come il tumore del seno, dell’ovaio, della prostata e della tiroide.

Infine, c’è il problema della caseina. La caseina è una proteina che si forma durante il processo di pastorizzazione del latte. Si deve sapere che la caseina ha un effetto tipo “colla” (infatti la si usa per attaccare le etichette alle bottiglie e per dipingere i mobili antichi) all’interno delle pareti intestinali e questa colla è uno dei principali fattori responsabili dell’infiammazione e della permeabilità intestinale, definita anche “sindrome dell’intestino gocciolante”, nome che rende bene l’idea di ciò che accade. Infatti, quando l’intestino è permeabile, le sue pareti non riescono a trattenere antigeni alimentari, tossine, metalli pesanti e patogeni, che hanno così libero accesso nel circolo sanguigno.

Dulcis in fundo è assolutamente falsa la diffusa credenza che mangiare formaggio e altri derivati del latte faccia bene alle ossa e aiuti a prevenire l’osteoporosi perché contiene calcio. Bisogna far presente che, cavoli, broccoli, cime di rapa, fagioli di soia, fichi, arance, sardine, fagioli e mandorle contengono più calcio di quello presente nel latte!

Per tutte queste ragioni il latte, nonché tutti i suoi derivati (burro, formaggi, panna, gelati, creme, ecc.) vanno tassativamente eliminati dalla dieta del paziente oncologico. 

Quanto detto finora vale anche per lo yogurt! Anzi, oltre alle problematiche finora elencate per il latte, lo yogurt ha dalla sua anche un’elevatissima acidità. SOLO IL PARMIGIANO CON STAGIONATURA A 24 MESI PUO’ ESSERE MANGIATO!

COSA CENTRA L’ACIDITÀ COL CANCRO?

È ormai noto alla comunità scientifica che le cellule tumorali si sviluppano e proliferano in un ambiente molto acido. Quando si parla di acidità non si parla di quella del sangue (il cui pH può variare solo entro limiti piuttosto ristretti, ovvero tra 7.35 e 7.45), ma dell’acidità dei tessuti connettivi. Acidità che è strettamente correlata a ciò che mangiamo e che è facilmente misurabile con il pH delle urine, tramite delle semplici cartine tornasole. Ricordo che un valore pari a 6.5 è neutro, maggiore di 6.5 è basico, se invece il valore è inferiore parliamo di una sostanza acida.

ARANCE, MANDARINI E MANDARANCI

Le arance, insieme a mandarini e mandaranci, sono ricchissime di poliammine, sostanze con attività stimolante della crescita e della proliferazione cellulare, comprese le cellule tumorali. Inoltre sono frutti molto acidi e come abbiamo appena visto l’acidità è uno dei fattori che favorisce lo sviluppo delle cellule malate.

SOLANACEE

Tra la lista dei cibi da ridurre troviamo anche gli ortaggi della famiglia delle solanacee, che sono il peperone, la melanzana e le patate. Anche questi alimenti contengono poliammine, ovvero dei fattori di crescita cellulari. Il consumo va quindi ridotto (scegliendo i prodotti solo quando sono di stagione!). Soprattutto vanno mangiati molto cotti perché l’alta temperatura elimina la solanina (sostanza tossica).

Va fatta eccezione dei pomodori che contengono licopene, molecola capace di bloccare i geni impazziti in grado di innescare la mutazione cancerogena: l’unico neo è che i pomodori possono generare reazioni allergiche, probabilmente ciò è dovuto ad un abuso di pesticidi con cui la pianta viene trattata, per cui è consigliabile non mangiare mai ortaggi o frutti fuori stagione.

LA CARNE

Se ne consiglia un consumo ridotto. Non perché faccia male in sé, ma è la carne di questi ultimi anni che fa male perché ricca di farmaci e fattori di crescita, inoculati all’animale per farli crescere in fretta. Se si riesce a comperare carne biologica, se ne consiglia il consumo anche 2-3 volte a settimana.

Molta attenzione va poi posta nella scelta del tipo e della qualità della carne. Decisamente da evitare il pollo, allevati in batterie e pieni zeppi di ormoni della crescita e di antibiotici. Come carne bianca è decisamente meglio il tacchino, meno soggetto a “manipolazione” e ovviamente pollame cresciuto libero.

Per la carne rossa si consiglia di evitare la cottura alla griglia, dato che la combustione dei grassi che avviene durante questo tipo di cottura, genera delle nitrosamine, tossine cancerogene. 

IL GLUTINE

Oltre al latte e ai derivati del latte, di cui abbiamo già abbondantemente parlato, una delle sostanze che più di tutte è responsabile della permeabilità intestinale e dell’abbassamento delle difese immunitarie, è il glutine.

Il glutine è una componente proteica presente nel frumento e in alcune varietà di cereali quali avena, farro, spelta, triticale, orzo e segale. Si tratta di una sostanza naturale che il nostro sistema digerente è in grado di tollerare in dosaggi minimi. Tuttavia, la redditività dei grani antichi era troppo bassa per quelle che sono le richieste moderne, per cui l’industria alimentare ha agito sui geni di questi grani, modificandoli. La modifica genetica ha prodotto delle spighe più produttive, più resistenti e con un contenuto di glutine più che triplicato, passando dal 6% al 22%!

Se da una parte il glutine agevola enormemente i processi produttivi, dal punto di vista della salute umana, abbiamo a poco a poco assistito a un vero e proprio disastro! Al di là della crescita esponenziale del numero dei celiaci, il glutine, in queste quantità, non è tollerabile da nessuno! Il glutine addormenta il sistema immunitario, disinnescando il nostro sistema di difesa e rendendoci facile preda delle peggiori aggressioni e aumentando tantissimo il rischio di contrarre un tumore o delle patologie di natura autoimmune.

Tra l’altro ci sono anche importanti studi che collegano il consumo di glutine a patologie degenerative come il morbo di Alzheimer, sclerosi a placche e il morbo di Parkinson. Quindi si consiglia a tutti, indipendentemente dal proprio stato di salute, di evitare totalmente i prodotti a base di farina bianca 00 nonché i finti prodotti integrali (in realtà prodotti con della farina bianca a cui viene aggiunta della crusca, così da modificarne la colorazione). 

COME SOSTITUIRE IL FRUMENTO?

Le persone non celiache e che non hanno problemi gravi possono consumare saltuariamente (quindi non tutti i giorni) cereali con piccole percentuali di glutine, come i grani antichi (Saragolla, Tumminia, Senatore Cappelli, ecc.), l’avena, il farro, ecc. O ancora meglio passare direttamente ai cereali senza glutine, come il riso, il miglio, il mais, il sorgo, la quinoa, l’amaranto e il grano saraceno.

Chi invece combatte con un tumore, o delle patologie autoimmuni, dovrebbe assolutamente limitare o eliminare tutti i cereali che contengono glutine, anche se in percentuali molto basse.

LA NUOVA PIRAMIDE ALIMENTARE

La vecchia piramide alimentare, alla cui base erano presenti i carboidrati (pasta, pane, pizza, ecc.) va completamente stravolta.

1 – VERDURA

La verdura rappresenta la base della piramide. Ciò vuol dire che ne dovremmo mangiare in quantità e varietà molto ma molto maggiori rispetto a come siamo abituati. Si parla di almeno quattro porzioni al giorno! Attenzione non 4 porzioni di frutta e verdura, ma 1/2 di frutta e 4 di verdura. La verdura infatti, al contrario della frutta, non contiene zuccheri, o ne contiene in quantità molto ridotta. La verdura va considerata un vero e proprio farmaco naturale, in grado di alcalinizzare i tessuti connettivi e di ridurre l’impatto glicemico degli altri cibi, il che significa prevenire un numero impressionante di malattie. Inoltre, contiene vitamine, sali minerali, enzimi, polifenoli e altre sostanze con azione antiossidante, antitumorale ed antinfiammatoria.

In particolare, si consiglia di mangiare molte verdure della famiglia delle crucifere, che contengono solforato, una sostanza con spiccate proprietà antitumorali, specialmente nei confronti dei tumori del seno.

Le verdure che appartengono alla famiglia delle crucifere sono: i broccoli, i cavoli, i cavolfiori, la verza, i cavolini di Bruxelles, la rucola, le rape, i ravanelli e la rucola, ottimi anche per chi soffre di problemi di memoria.

Oltre a mangiare molte verdure, tante volte al giorno, è anche importante variare e scegliere i prodotti in base alla stagionalità e alla qualità, preferendo ovviamente prodotti Italiani, biologici e magari a chilometro zero.

2 – LEGUMI

legumi vengono al secondo posto, eppure noi italiani ne mangiamo pochissimi! 

Rappresentano un’ottima fonte di proteine vegetali, carboidrati e fibre, hanno un bassissimo indice glicemico (specialmente i legumi freschi) e possono essere consumati sia a pranzo che a cena, magari accompagnati da pesce e verdure o uova e verdure.

I legumi vanno bene sia freschi che secchi che surgelati. I surgelati sono comodi, perché basta scongelarli, dargli una scaldata e sono praticamente già pronti all’uso, quindi se non abbiamo voglia di cucinarli, si può benissimo optare per dei legumi surgelati.

Ricordo che i legumi sono: i ceci, le lenticchie, i piselli, i fagioli, le fave, i lupini, la soia e le cicerchie.

La soia VA EVITATA in quanto riserva molte sgradevoli sorprese: il suo alto contenuto in genisteina (estrogeni vegetali) ha permesso, in fitoterapia, un largo uso di queste molecole in tutta la sfera endocrina femminile e nella menopausa. QUINDI MANOVRARE CON CURA.

3 – UOVA

Anche le uova vengono rivalutate tantissimo nella nuova piramide. Non fanno male, anzi! Contengono albumina, una proteina importantissima che contribuisce ad assorbire i liquidi, riducendo il gonfiore e gli edemi. Non sono le uova ad alzare il colesterolo, ma sono i carboidrati e gli zuccheri! 

SI POSSONO MANGIARE SINO A 6 UOVA A SETTIMANA!

4 – PESCE

Il pesce rappresenta un altro alimento importante della piramide. Non solo si può, ma si deve mangiare, perché contiene omega-3, un acido grasso che contribuisce a migliorare la funzionalità cardiaca e cerebrale, a ridurre le infiammazioni e a migliorare l’elasticità delle membrane cellulari.

E per quanto riguarda la questione dei metalli pesanti? Si consiglia di scegliere pesci italiani e di piccola taglia, come lo sgombro, le acciughe, il merluzzo, le aringhe, ecc. Infatti, i pesci che accumulano metalli pesanti sono i pesci grandi che vivono più a lungo degli altri. Vivendo più a lungo hanno più probabilità di assorbire i metalli pesanti presenti nel mare. Però, ogni tanto, si può tranquillamente mangiare anche del tonno, del pesce spada o del salmone, magari preferendo salmone selvaggio (cioè non di allevamento). Si consiglia di mangiare pesce anche quattro volte alla settimana.

5 – CEREALI

Il problema di fondo è che noi Italiani mangiamo tantissimi cereali e con troppa ripetitività, partendo dalla brioche o dai biscotti della prima colazione, passando poi per la pasta del pranzo, il panino pomeridiano e il pane a cena.

Fermo restando che il frumento (per lo meno quello moderno) va eliminato, anche il consumo degli altri cereali va diminuito.

Quando mangiarli? A colazione e/o a pranzo.

Quali scegliere? Cibi senza glutine e possibilmente integrali. Non scegliere prodotti “artefatti” come quelli che si trovano nei banconi delle farmacie. Acquista prodotti semplici in purezza, come i cibi in chicchi (riso, quinoa, miglio, ecc.) o le paste che contengono un solo ingrediente! Abbi cura di controllare sempre le etichette per capire cosa c’è dentro quel prodotto. Scegliere 2-3 volte a settimana e a pranzo: Riso brillato, Riso integrale, Riso Basmati, Riso Venere, Pasta di grano saraceno, Couscous, Orzo, Farro, Quinoa, Amaranto, Miglio, Teff, Avena e Grano saraceno.

4 – CARNE

Molto poca carne esclusivamente biologica (pollo, tacchino, faraona, coniglio), con particolare attenzione a quella rossa che è ricca di grasso e purine difficili da digerire; un suo abuso può alzare il livello in circolo dell’acido urico.

6 – FRUTTA SECCA

Nella piramide non è riportata, ma anche la frutta secca gioca un ruolo importante nella dieta. Questa ha il vantaggio di non contenere zuccheri (quindi impatto glicemico minimo) e di contenere invece molti grassi monoinsaturi e polinsaturi, come i famosi omega-3 (soprattutto semi di lino, semi di canapa e noci), oltre che tante vitamine e sali minerali.

7 – CURCUMA

Si tratta di una spezia di colore giallo, ricavata dal rizoma della pianta curcuma longa, molto utilizzata in Oriente (specialmente in India) e un po’ meno qui da noi.

Dal momento che la curcuma gode di spiccate proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e soprattutto antitumorali, si consiglia a tutti un cucchiaino al giorno. Si può mescolare con delle zuppe, con il brodo di cottura delle verdure, o dei legumi, oppure si può usare per condire il risotto, per esempio al posto del nostro zafferano. Purtroppo da sola viene assimilata molto poco dal nostro organismo avendo una bassa biodisponibilità, ma studi scientifici hanno dimostrato che i benefici della curcuma possono essere aumentati fino a 20 volte se assunta in abbinamento con il pepe nero. La piperina contenuta nel pepe nero favorisce infatti l’assorbimento della curcumina: ne basta un pizzico, circa il 3% rispetto alla quantità di curcuma.

8 – LIMONE 

Il limone è un altro nostro prezioso alleato. A differenza delle arance e dei mandarini, questo agrume, all’interno del nostro organismo, si comporta come un potente alcalinizzante. Ha inoltre proprietà diuretiche e depurative e se aggiunto alla carne, al pesce, o alle verdure (tipo gli spinaci), aumenta esponenzialmente l’assorbimento del ferro contenuto in questi alimenti.

IL SALE 

Il sale da cucina (cloruro di sodio) e il sale dei dadi (glutammato di sodio) sono ricchi in una molecola molto pericolosa che è il sodio, capace di procurare ritenzione idrica, affaticamento cardiaco e ipertensione. Purtroppo solo da pochi anni il sale è troppo presente sulle nostre tavole, una volta era una spezia rara tant’è che con essa venivano pagati i soldati (da cui il termine salario). L’abuso di sale è sempre negativo e purtroppo è molto facile abusarne perché di sale ce n’è molto anche quando non lo vediamo, il sale infatti è presente in tutti i cibi inscatolati o conservati, nei succhi di frutta, nelle caramelle, nei salumi, nei biscotti, nel pane e così via. Superare dunque la soglia di pericolo è facilissimo. 

Consigliabile dunque salare meno possibile. L’eccesso di sale favorirebbe alcuni tipi di tumore (stomaco e pancreas). Il cloruro di sodio (il sale da cucina) viene consumato sempre in dosi fin troppo elevate. Infatti non bisogna considerare solo quello della saliera, ma considerare che determinate categorie di alimenti ne sono piene già di loro. Il sodio è praticamente contenuto in tutti i cibi, tranne che nella frutta. Il fabbisogno giornaliero di sodio è di 500mg. Ogni grammo di sale da cucina contiene circa 400 mg di sodio. 

Da qui si può capire quanto abuso di sale facciamo! Lo avreste mai detto che il pane costituisce una delle maggiori fonti per l’introduzione di sale? Altre fonti di sale sono i salumi, i formaggi, tutti i cibi in scatola, i dadi per brodo, le salse e perfino i dolci, sono ricchi di sale!

Il sale rosa dell’Himalaya rappresenta un’alternativa in cucina al sale tradizionale, ma è noto anche per le sue molteplici proprietà benefiche. Nel sale rosa dell’Himalaya sono presenti tantissimi minerali e almeno un’ottantina di altre sostanze ad esempio l’Ossido di Ferro, che è il responsabile dell’affascinante colorazione. Questo sale contiene anche Litio, Magnesio, Potassio e Calcio, sostanze notoriamente benefiche per l’organismo. Rispetto al sale bianco tradizionale, dunque, il sale rosa è naturalmente più ricco di elementi salutari mentre la concentrazione di Sodio è percentualmente distribuita in maniera diversa. Infine, essendo naturalmente ricco di iodio, il sale himalayano non necessita di aggiunte artificiali, come talvolta avviene per il sale bianco tradizionale. La presenza di tutti gli oligo-elementi sopraelencati e l’assenza di trattamenti chimici sbiancanti rendono quindi questo tipo di sale molto apprezzato e responsabile di numerosi benefici per l’organismo.

METODI DI COTTURA 

Importante è anche il modo con il quale i cibi vengono cucinati; un solo esempio: friggere delle patate con del buon olio di oliva vuol dire portare ad un’altissima temperatura un vegetale che non ha con sé nessun grasso capace di trasformarsi in pericolose molecole; se invece friggiamo delle uova, del pesce o della carne, noi portiamo ad altissime temperature alimenti ricchi in grassi che idrogenandosi, possono divenire molecole pericolose. 

Usiamo dunque metodi di cottura leggeri. 

I MIGLIORI METODI DI COTTURA:
  • AL VAPORE
  • BOLLITURA
  • STUFATI
  • COTTURA AL FORNO
PEGGIORI METODI DI COTTURA:
  • FRITTURA: libera acroleina
  • COTTURA ALLA BRACE: libera benizopirene, molecola altamente cancerogena
  • PENTOLA A PRESSIONE: l’alta temperatura cui l’alimento è sottoposto distrugge la vitamina C

SETTE REGOLE DA NON DIMENTICARE 

1. Mantenere un peso corretto (un eccesso ponderale favorisce alcuni tipi di tumore) 

2. Mantenere una dieta molto varia secondo i consigli indicati sopra 

3. Mangiare molta verdura e poca frutta 

4. Mangiare molti legumi e cereali integrali, con poco glutine o meglio ancora senza

5. Limitare il consumo di alcol 

6. Limitare il consumo di sale 

7. Abolire il fumo

Noi siamo quello che mangiamo”. – Ludwig Feuerbach

12Feb

LA MEDICINA OMEOPATICA

L’omeopatia cura una percentuale più elevata di casi di qualsiasi altra forma di trattamento ed è senza dubbio più sicura e più economica”. – Mohandas Gandhi

OMEOPATIA: LA “SCIENZA DELL’ACQUA FRESCA”?

Non si può parlare di medicina omeopatica senza invitarvi a rispondere ad una semplice domanda: vi siete mai accorti che la vostra ulcera (o il vostro mal di testa, o la vostra allergia, ecc.) che veniva curata con gli stessi farmaci prescritti al vostro collega d’ufficio, in un primo tempo migliorava e poi, quasi che la medicina non funzionasse più, peggiorava rapidamente? In questi casi, o avete preso un farmaco diverso e più forte o avete cominciato a constatare che la vostra ulcera non era proprio del tutto uguale a quella del collega d’ufficio. Anzi, a guardarla con attenzione, avete potuto accorgervi che i dolori comparivano o scomparivano in orari del tutto diversi dai suoi, che a voi certi cibi facevano male e a lui invece no. 

Differenze minime, apparentemente insignificanti, di cui nessuna statistica medica terrebbe conto, ma per le quali, voi che non vi sentite bene, avete avuto il sospetto che le due malattie non fossero affatto uguali. Se qualche volta nella vostra vita vi siete accorti che esistono differenze all’interno della stessa patologia, avrete già compreso uno dei principi fondamentali dell’omeopatia e della sua indagine medica: esiste il malato e non la malattia. La diversità consiste nel semplice fatto che siete un’altra persona dal collega d’ufficio, che avete una specificità del tutto singolare, una storia di malattie e di evoluzione personale del tutto propria e che l’insieme di questi aspetti, unita alla costituzione, costruisce la vostra unicità. Unico è dunque anche il vostro stare male. L’omeopatia si applica proprio così: riconoscendo la specificità della persona che soffre e dando a ciascuno il proprio rimedio.

Intorno al rimedio omeopatico esiste una vasta letteratura denigratoria, nel migliore dei casi viene definito “acqua fresca”. Questa definizione è dovuta al fatto che in esso, superata una certa diluizione, non si trova più traccia della sostanza di partenza. Eppure, se questo rimedio specifico e individuale, privo di qualunque sostanza misurabile dai normali strumenti di laboratorio, viene assunto da una persona sofferente, agisce guarendola rapidamente e stabilmente.

A tale proposito bisogna fare un piccolo accenno a un’altra delle storielle che si raccontano sulla medicina omeopatica per dissuadere le persone dal suo utilizzo. L’argomento sarebbe questo: per scegliere di curarsi con un tale sistema, non solo bisogna avere molto tempo a disposizione e pazienza ma bisogna essere anche disposti a molti sacrifici, come ad esempio a non fumare e a non assumere alla prima occasione antidolorifici; ma le cose non stanno proprio così: è assolutamente vero che chi si cura omeopaticamente farebbe meglio a smettere di fumare, ma, a parte questo, siamo proprio sicuri che per guarire non sia necessario smettere di fumare, anche quando ci curiamo con gli antibiotici? E siamo proprio sicuri che chi non ci consiglia in questo senso stia facendo davvero l’interesse della nostra salute?

Pur essendo vero che chi sceglie di curarsi omeopaticamente deve anche decidere coerentemente di cambiare alcune abitudini malsane (abuso di alcool, caffè, tabacco e altre droghe), non è vero invece che la guarigione omeopatica sia lenta. Nelle situazioni acute, un incidente, una febbre improvvisa, un trauma, quando la prescrizione del rimedio sia perfetta, la guarigione è immediata e stabile: cioè senza ricadute e senza effetti collaterali. Nelle situazioni che durano ormai da molto tempo e che si sono cronicizzate, la giusta prescrizione del rimedio è seguita dal ristabilimento della salute in tempi che non sono cronologici ma biologici, e cioè legati alla individualità. 

Tuttavia, mentre si sta guarendo, a volte si può assistere al miracoloso processo della forza risanatrice della natura (vis medicatrix naturae), che si manifesta con la ricomparsa veloce ma precisa di antichi disturbi. Come se il rimedio scavasse dentro le successive soppressioni alle quali è stato sottoposto il nostro corpo e che si erano nascoste nei suoi tessuti più profondi, pronte a ricomparire alla prima occasione, aggravate e più aggressive che mai. Il nostro corpo presenta i conti tutti insieme ed è questo che ci fa erroneamente pensare che un male terribile e mortale sia comparso all’improvviso, colpendoci a tradimento. Non è quasi mai così: prepariamo con ostinazione la nostra malattia proprio quando scegliamo di non volere ascoltare quello che il nostro corpo sta cercando di dirci con il linguaggio del dolore e manifestandosi con la malattia. Questa rappresenta lo sforzo messo in atto per guarire: quando interveniamo per sopprimere i sintomi è dunque come se, per fare smettere il pianto di un neonato, gli chiudessimo la bocca con un cerotto.

LA LEGGE DELLA GUARIGIONE

E allora come si fa per guarire davvero, senza sopprimere i sintomi?

La medicina omeopatica ci insegna a farlo riconoscendo, nel meraviglioso laboratorio che è il nostro corpo, la legge della guarigione. Essa è molto semplice e si riassume così: la guarigione completa e stabile avviene quando, nell’intero organismo, la forza vitale viene lasciata libera di circolare nella sua direzione naturale: da dentro a fuori, e perciò i sintomi devono scomparire nell’ordine inverso in cui sono comparsi; da sopra a sotto, e perciò il miglioramento deve avvenire prima nella mente e poi nei sintomi fisici.

Disturbare questo movimento naturale della nostra energia, andare nella direzione contraria, impedirle di portare a buon fine le eliminazioni necessarie per ristabilire la salute, respingendole dentro, vuole dire costringere il nostro organismo a cercare un equilibrio energeticamente più basso. Il nostro corpo cerca sempre e in ogni situazione un punto di equilibrio (omeostasi), un adattamento nel quale conservarsi per sopravvivere. Esso resiste fino a quando quell’equilibrio non si rompe e se ne stabilisce un altro a livello energetico più basso e così via, fino a quando si giunge a un livello energetico insostenibile.

In questo senso, possiamo senz’altro dire che esistono vari livelli, non solo dello star male ma anche e soprattutto dello star bene. La salute è quindi il risultato di un’unità psicologica e fisica in continuo dinamismo (da dentro a fuori, da sopra a sotto) capace di ristabilire costantemente il livello energetico più alto.

GUARIRE SENZA SOPPRIMERE

Ma che cosa vuol dire questo nella pratica quotidiana? Facciamo un esempio. Quando interveniamo in un bambino piccolo per eliminare la crosta lattea o un qualsiasi sfogo della pelle, con creme al cortisone o con altri farmaci ad effetto soppressivo, li vedremo certamente scomparire ma stiamo impedendo alla forza vitale di fare pulizia eliminando, attraverso la pelle che è un organo emuntorio, tutto ciò che per il bambino è tossico. Si tratta di una piccola soppressione che ripetuta nel tempo produce una specie di tappo: prima o poi la forza vitale farà un altro tentativo di eliminazione, magari ricorrendo a una bronchite o un’asma o ad una allergia, tutte cose che spaventano le mamme e che le fanno correre dal medico per chiedere che scompaiano subito e per sempre. A questo punto sarà molto importante il modo in cui si decide di intervenire.

CHE COSA PROPONE L’OMEOPATIA?

L’omeopatia propone di guarire prendendo il giusto rimedio, quello e quello solo, ricercato con metodo clinico e grande attenzione, il quale, mentre guarirà l’asma o l’allergia, potrebbe far ricomparire l’antico sfogo. In un simile caso, però, non spaventatevi ma accogliete anzi questa manifestazione come un fatto positivo: vuol dire che la soppressione è stata eliminata, che il tappo è saltato e che il vostro bambino sta guarendo! 

A riprova di queste semplici verità c’è il numero crescente di pazienti omeopatici e il successo che questa medicina riscuote in tutto il mondo, curando senza tossicità ed effetti collaterali da farmaci (i famigerati effetti iatrogeni), dall’infanzia alla terza età. Se poi volete una prova dell’efficacia della medicina omeopatica su tutti gli esseri viventi provate a dare alla vostra pianta, morente per il freddo o perché per molto tempo avete dimenticato di curarla, qualche globulino di Carbo Vegetabilis lasciato sciogliere in un bicchiere d’acqua. Quasi certamente la vostra pianta fiorirà anche se non è la stagione e farà spuntare foglie nuove. Fate questa prova dopo avere informato la pianta del nome del rimedio che sta per assumere, e del suo potere guaritore: servirà quando qualche scienziato vi dirà che l’omeopatia ha solo un effetto ‘placebo’ e cioè la reazione indotta psicologicamente sul paziente da una forte relazione con il medico. Le piante, come si sa, vanno spesso dall’analista…

L’effetto placebo è tuttavia un fenomeno molto serio, osservato frequentemente anche nelle esperienze cliniche della medicina ufficiale. Si dividono i pazienti in due gruppi: al primo viene dato il farmaco che si vuole sperimentare, al secondo solo acqua colorata accompagnata però da tante attenzioni. Accade allora che il secondo gruppo di persone migliori di più del primo. Questa reazione, che sottolinea come il processo di guarigione sia un evento nel quale sono implicati prima di tutto la mente e lo spirito, ci dimostra anche il desiderio profondo di relazione che esiste in ogni persona nonché il suo bisogno di essere compreso e sostenuto. Un medico deve saper fare, e voler fare, anche questo.

OMEOPATIA E ALLOPATIA

L’omeopatia è una medicina completa che non formula solo diagnosi ma che prescrive una propria terapia, con una metodologia che solo in parte è in comune con la medicina convenzionale.

Il medico omeopata è laureato in medicina e chirurgia e non ignora assolutamente tutti i presidi e gli strumenti diagnostici convenzionali. Egli studia inoltre, per almeno tre o quattro anni, ’l’individuo malato’ al posto della ‘malattia’ e impara a riconoscere la sofferenza espressa contemporaneamente dalla mente e dal corpo. Da quasi duecento anni l’omeopata si avvale degli stessi rimedi, i quali non cessano di dare risultati constatabili da chiunque li voglia osservare. Questi, messi a punto secondo il metodo della diluizione infinitesimale, non hanno mai perduto la loro capacità terapeutica o hanno avuto bisogno di essere sostituiti da un farmaco più ‘potente’. In omeopatia non esiste la necessità della revisione annuale dell’elenco dei rimedi disponibili: la loro efficacia si riconferma ad ogni prescrizione.

Perché accade questo? La risposta è molto semplice e scaturisce dall’importante scoperta scientifica fatta nella metà del Settecento dal medico tedesco Samuel Hahnemann. Egli apprese l’arte medica nella Vienna imperiale ed acquisì un grande prestigio professionale nelle città di Dresda e di Lipsia. Tuttavia, in occasione di un’epidemia di colera, egli constatò che gli strumenti medici a disposizione in quei tempi non servivano a curare la gente, meno che mai a guarirla: preso da una crisi profonda si ritirò dalla professione per mettersi a studiare e a meditare. Aveva numerosi figli da mantenere e per guadagnarsi da vivere iniziò a lavorare come traduttore di testi scientifici. Alle prese con un trattato di farmacologia dell’epoca, lesse così la notizia che i lavoratori della pianta della china si ammalavano di febbri ricorrenti come se avessero contratto la malaria. Eppure, in quelle zone dove gli operai si ammalavano, non esistevano le condizioni del paludismo. Ciò che Hahnemann constatò era che il contatto ripetuto e prolungato degli operai con la corteccia della china, provocava una specie di intossicazione con febbri ricorrenti, brividi e sudorazione: una vera malattia. Riscontrò inoltre che queste persone venivano curate con il chinino, un derivato dell’albero della china: la stessa sostanza aveva dunque il potere di ammalare e di guarire.

Hahnemann studiò allora sulle persone sane (se stesso, i suoi collaboratori, i propri figli…) l’effetto tossico dei farmaci più utilizzati in quel momento, allo scopo di verificarne l’effetto ammalante e guarente. Stese così un primo elenco delle sostanze che avevano prodotto una reazione e constatò che il meccanismo era sempre lo stesso: una sostanza ripetutamente somministrata ai dosaggi abitualmente prescritti faceva ammalare le persone sane.

Le persone che si erano sottoposte a questa sperimentazione nel vivo dei loro corpi, trascrissero accuratamente i sintomi prodotti dall’assunzione ripetuta della sostanza in diluizioni successive e la lista ottenuta fu confrontata con l’insieme dei sintomi presentati dai malati affetti dalla stessa malattia. La sostanza, così studiata, venne somministrata ai malati sofferenti di quei sintomi riscontrati negli sperimentatori sani ed essa li curò.

Hahnemann aveva così identificato un modo per curare le persone: lo chiamò omeopatia (simile alla malattia) e lo distinse dal metodo ufficiale, che chiamò invece allopatia (contrario alla malattia). Egli comprese che ci sono due metodi per curare le persone: il primo si allea con i sintomi e li sostituisce artificialmente fino al ripristino della salute; il secondo li combatte sopprimendoli e rimandandoli indietro.

GUARIRE, NON SOLO CURARE

Dopo un certo periodo i pazienti tornavano tuttavia ad ammalarsi. Fu allora che Hahnemann comprese che li aveva curati ma non li aveva guariti: bisognava continuare ancora a sperimentare. Egli realizzò così tre sperimentazioni a differenti dosaggi. La prima fu una sperimentazione terapeutica: la dose di sostanze che egli usava era ponderale e restava presente e visibile nella diluizione. La seconda, ottenuta aumentando progressivamente la diluizione della sostanza di partenza fino alla sua scomparsa visibile, fu descritta come molecolare. La terza, infine, ottenuta progredendo nelle diluizioni, venne indicata come ultramolecolare o infinitesimale.

Nonostante non avesse nessuno degli strumenti di laboratorio oggi esistenti, tuttavia egli riuscì a descrivere con una precisione straordinaria queste tre diverse sperimentazioni, quasi che fosse riuscito a penetrare i misteri che la fisica, e non la chimica, ci sta oggi svelando sulle leggi dell’Universo.

Hahnemann riusciva a vedere l’invisibile non perché fosse uno stregone, uno di quei tenebrosi alchimisti da sottoporre al giudizio della Santa Inquisizione ma semplicemente perché percorreva la strada seguita da tutti i grandi scienziati di ogni tempo, da Newton a Galileo, a Einstein: quella di un’osservazione attenta e senza pregiudizi.

Attraverso successive diluizioni egli alleggerì la sostanza del suo potere tossico e osservò che essa non solo manteneva la sua piena efficacia terapeutica ma anzi la estendeva, oltre che ai sintomi fisici, anche a quelli della mente e dello spirito. Con questo metodo, aumentando l’efficacia di una sostanza diminuendone al contempo la tossicità, Hahnemann otteneva finalmente la guarigione rapida e duratura, al posto di un miglioramento apparente ma di breve durata e seguito da ricadute continue.

Ecco perché la vera ambizione dell’omeopata è quella di guarire e non solo quella di curare: egli sa che non deve sopprimere i sintomi, non deve mettere a tacere il corpo ma deve al contrario assecondare la direzione della forza vitale, sensibile non alle dosi ponderali ma a input sottili, impercettibili, molecolari o ultramolecolari, dinamici. L’energia vitale attraversa i corpi e li fa vibrare, li anima, li porta ai livelli energetici della salute, imprime loro la forza: se questa ristagna, se si blocca in qualche punto, se è costretta a scavalcare un organo per continuare a far vivere l’organismo, allora ci ammaliamo.

Riuscite a immaginare un simile continuo, vibrante, movimento lo stesso che coinvolge l’intero Universo?

COME RICONOSCERE UN MEDICO OMEOPATICO

È evidente che per conoscere con certezza clinica e sperimentale gli effetti ammalanti e guarenti di una sostanza, sia necessario che essa venga assunta da sola senza essere mescolata ad altre sostanze che ne coprirebbero e modificherebbero i poteri, rendendoli incomprensibili. Questa stessa osservazione si può fare per i farmaci della medicina ufficiale: se è vero infatti che sono stati sperimentati in laboratorio singolarmente, è altrettanto vero che non è mai stata studiata nell’organismo l’interazione (e cioè l’effetto combinato e risultante) di più sostanze assunte contemporaneamente. Il costume, purtroppo diffuso, delle prescrizioni multiple fatte allo scopo di accontentare il paziente, rispecchia la filosofia degli anni 2000: togliere subito il dolore, non importa a quale prezzo per il nostro organismo.

A questa abitudine non sfuggono neanche alcuni omeopati che vogliono fare subito contenti i loro pazienti, prescrivendo un rimedio per il mal di testa, un altro per la stanchezza e un ultimo per l’insonnia… proprio come fanno i medici allopatici.

Il vostro medico omeopatico vi farà invece sedere di fronte a lui e parlerà con voi a lungo, ricostruendo una anamnesi (storia clinica) dettagliata. Vi porrà domande che potranno sembrare stravaganti: “Le piace mangiare salato? Ama la compagnia o preferisce stare solo? Si commuove facilmente?”. Piccole cose sulle quali non avevate mai riflettuto ma che fanno parte del vostro modo di essere e della vita quotidiana. La sua indagine approfondirà infatti la conoscenza della vostra evoluzione, di come il tempo vi ha cambiati, di come avete vissuto gli eventi e le tappe fisiologiche della vostra crescita. Mano a mano che la visita procede vi accadrà di scoprire strani collegamenti col passato: quello che siete oggi è anche il risultato delle sofferenze e delle gioie che avete vissuto.

Nel frattempo il vostro medico omeopatico continuerà a riempire di informazioni la vostra cartella clinica e a un certo punto le sue domande diventeranno molto precise (del tipo “Quando la sera vi togliete le calze, avete bisogno di grattarvi i piedi?”): sembrerà quasi che egli sappia tutto di voi, quasi che vi conosca da anni o vi abbia spiati in qualche momento segreto della vostra vita. Solo a questo punto, egli vi indicherà il lettino tradizionale e vi visiterà come farebbe qualsiasi altro medico. 

Ove lo ritenga opportuno egli vi potrà prescrivere analisi cliniche o ulteriori accertamenti perché per lui tutte le informazioni sulla vostra salute saranno preziose. La prescrizione del rimedio nascerà così da un’indagine accurata sui vostri sintomi fisici e mentali, tanto attuali quanto passati. Essa sarà anche il frutto della comprensione della vostra costituzione, delle caratteristiche, delle tendenze familiari e personali ad ammalarvi in un organo piuttosto che in un altro. Proprio per questo motivo il vostro medico omeopatico vi prescriverà un rimedio personale che rispecchia la vostra specificità e globalità. Non aspettatevi perciò che egli vi faccia uscire dal suo studio con un rimedio per ogni disturbo: molto probabilmente ve ne darà uno solo. Lo stesso che magari vi troverete a prendere più volte nella vita o che verrà sostituito da altri, mano a mano che se ne presenterà la necessità.

LA PREVENZIONE OMEOPATICA

Quando il paziente guarisce o si trova in uno stato di benessere, il suo medico omeopatico deve continuare a vederlo, sebbene con minore assiduità, per prescrivergli il rimedio che corrisponde al suo stato e che gli consentirà di mantenersi a lungo al meglio delle sue possibilità. Se infatti il paziente si conserva nel migliore stato di salute, è in grado di difendersi naturalmente non solo dalle malattie batteriche e virali ma soprattutto dall’eredità patologica familiare (malattie croniche familiari, degenerative, ecc…).

L’aspetto della prevenzione è una prerogativa specifica dell’omeopatia: i suoi pazienti si ammalano meno degli altri e sempre di meno nel tempo. Le assicurazioni inglesi, paese dove la medicina omeopatica è regolarmente riconosciuta, richiedono un premio assicurativo inferiore a chi si cura omeopaticamente perché è statisticamente riscontrato che si ammalano con minore frequenza. Allo stesso modo, il Ministero dell’Agricoltura italiano, quando ancora esisteva con questa denominazione, riconosceva un attestato di qualità alle carni provenienti dai bovini trattati omeopaticamente. La ragione di questo riconoscimento, che adegua l’Italia alle normative dell’Unione Europea, risiede nella mancanza di tossicità dei rimedi omeopatici rispetto ai farmaci allopatici (antibiotici, sulfamidici, anabolizzanti, anemizzanti, ecc…).

La medicina omeopatica gioca inoltre un ruolo fondamentale nella prevenzione prenatale, ovvero nella cura del bambino ancora prima che nasca. In questo momento così delicato e importante il rimedio omeopatico assolve al compito di sostenere la madre migliorandone la circolazione sanguigna dal corpo alla placenta e garantendo che l’utero conservi una perfetta fisiologia. D’altro canto, il rimedio omeopatico mette l’embrione in condizione di esprimere al meglio le possibilità genetiche che ha ereditato: l’espressione genetica che il rimedio omeopatico favorisce e esalta le caratteristiche positive familiari. Questa considerazione nasce dall’osservazione facilmente riscontrabile presso le madri che si rivolgono all’omeopatia e i cui figli sono generalmente sani, robusti e più resistenti alle malattie.

La capacità del medico omeopata di ascoltare e di conversare con il paziente è una caratteristica che i medici della medicina ufficiale dovrebbero apprendere“. – Silvio Garattini

 

08Feb

SULLA MELATONINA 

La melatonina guida le cellule a fare tutto ciò che serve a mantenere il corpo funzionante come una macchina altamente efficiente, quale esso è.” – Prof. W. Pierpaoli

MELATONINA E ORMONI

Quando si parla della melatonina, si pensa in generale al jet-lag o all’insonnia, ma negli ultimi tempi si raccomanda l’uso alle donne affette da malattie immunomodulanti, malattie linfoproliferative e cancro al seno, oltre che per accompagnare i sintomi della fibromialgia e malattie simili.

La melatonina ha proprietà fondamentali, come quella di influenzare in maniera positiva tutte le ghiandole compresa la tiroide e quindi armonizza tutti gli ormoni del corpo.

La melatonina viene prodotta dalla ghiandola pineale (quella che gli orientali chiamano “terzo occhio”) e viene considerata per errore un ormone. Uno dei ricercatori più famosi in questo campo, il Prof. Walter Pierpaoli, preferisce semmai definirla semplicemente una molecola.

La ghiandola pineale è deputata al controllo dell’orologio del nostro corpo, tra cui i cicli circadiani che regolano le fasi di sonno e di veglia e l’orologio biologico a lungo termine, ovvero il sistema che detta le tappe ormonali più significative, come l’ingresso nella pubertà o nella menopausa. 

In pratica la ghiandola pineale è il direttore d’orchestra del nostro assetto ormonale. Nella ghiandola pineale c’è scritta la data della nostra morte, nel senso che quando la pineale smette di risincronizzare le ghiandole endocrine il corpo si prepara lentamente a morire. 

Dal momento che la melatonina viene prodotta specialmente di notte, una sua corretta integrazione è utile ANCHE per chi soffre di insonnia, come trattamento e prevenzione del jet-lag e per chi fa i turni al lavoro.

Come anticipato, la più affascinante e innovativa ricerca sulla melatonina è stata condotta dal Dr. Pierpaoli, che fece scalpore sin dal lontano 1996 con la pubblicazione del suo libro best seller “La Fonte della Giovinezza”, frutto di decenni di ricerca sulla melatonina e sui suoi effetti. Qualche anno dopo, la sua ricerca ha dato vita ad una pubblicazione, apparsa nel 2001 sulla rivista Experimental Gerontology, che documenta il ripristino delle condizioni ormonali in un gruppo di donne in premenopausa, menopausa conclamata e post menopausa.

Constatando che, con l’avanzare dell’età, la pineale produce sempre meno melatonina, si è cercato di dimostrare che, assumendo questa molecola quando i suoi livelli iniziano a declinare, è possibile rallentare, fermare e persino invertire le patologie croniche e gli effetti dell’invecchiamento, e questo avviene perché la melatonina è capace di risincronizzare i ritmi circadiani dei cicli sonno-veglia, ma soprattutto il sistema endocrino – immunitario generale.

Assumendo quindi una micro dose di melatonina ogni notte, secondo il Dr. Pierpaoli, si mette a riposo la pineale, proteggendola dall’invecchiamento e rallentando il processo di degenerazione di tutte le altre ghiandole e degli organi. 

LA MELATONINA RESTAURA LA FUNZIONE TIROIDEA

Negli ultimi anni ci troviamo in una situazione di ipotiroidismo subclinico. Spesso vi sono segni di una scarsa secrezione degli ormoni T3 e T4, purtroppo non sempre conclamata è la diagnosi. Quasi sempre un problema di ipotiroidismo è facilmente identificabile con esami specifici (dosaggi di TSH – FT3 – FT4) e l’ecografia. Oggi è frequente diagnosticare una tiroidite cronica autoimmune, detta anche tiroidite di Hashimoto, dove si creano autoanticorpi che non riconoscono la ghiandola tiroidea come self e la cominciano ad attaccare. In tantissimi altri casi le cose non sono invece così semplici.

Il problema non è una quantità insufficiente di ormoni circolanti ma una difficoltà nel loro metabolismo (ridotta conversione T4→T3). Infatti l’ormone T4, nel fegato perde un atomo di iodio e diventa T3, che è la parte attiva dell’ormone, cioè il T3 tiene in vita tutti i processi metabolici. Quindi una normale produzione di ormoni, ma una ridotta conversione in T3, produce comunque un ipotiroidismo.

Questi sono alcuni dei sintomi che spesso questi pazienti lamentano: cefalea, stanchezza fisica e mentale, umore malinconico o depresso, difficoltà di concentrazione, peso che aumenta o che non cala, colesterolo che resta alto nonostante la dieta, freddolosa esagerata, pelle secca, unghie fragili, capelli che cadono, occhi, viso e dita spesso gonfi soprattutto al mattino, stitichezza e cattiva digestione, frequenti malattie da raffreddamento, cefalea, allergie, mestruazioni irregolari o dolorose, dolori muscolari e articolari…

Un test, che si può fare comodamente a casa, per capire se si è in ipotiroidismo, consiste nel misurare la temperatura sublinguale, al risveglio tra le 7 e le 8, per 6 gg, in riposo assoluto e prima di alzarsi. Se la temperatura è inferiore a 36,4 C° è possibile che siamo in presenza di un certo grado di ipotiroidismo che andrà comunque CONFERMATO DAL MEDICO.

E’ stato dimostrato dalla ricerca che la sola somministrazione di melatonina è in grado di ripristinare il rilascio corretto di questi ormoni e, soprattutto, la conversione da T4 a T3, equilibrando così la funzionalità della tiroide.

Gli studi sulle donne in menopausa del prof. Pierpaoli hanno messo in luce anche la riduzione della depressione, uno dei sintomi più comuni in menopausa, nel 96% dei soggetti coinvolti. Allo stesso modo, si sono ridotte le vampate di calore, le palpitazioni cardiache ed è migliorata la qualità del sonno. E’ possibile, secondo il Dottor Pierpaoli, che il calo della melatonina che si verifica in una donna che ha superato i quarant’anni, possa essere il segnale ormonale che indica al corpo che è il momento di iniziare la transizione verso la premenopausa. Tra i 40 e i 44 anni, infatti, la melatonina diminuisce in maniera sostanziale. La successiva fase di declino avviene tra i 50 e i 54 anni. 

Secondo Pierpaoli, la melatonina agisce come un adattogeno ormonale, contribuendo ad equilibrare la funzione delle surrenali, della tiroide e degli ormoni riproduttivi, oltre che il mantenimento della ciclicità degli ormoni, a breve e a lungo termine. 

Inoltre, pare che la melatonina aumenti la densità dei recettori degli estrogeni nei tessuti bersaglio, come seno, utero e ovaie, migliorandone la sensibilità.

Altri effetti della melatonina che sono stati riferiti dal ricercatore sono:
  • bilanciamento dei livelli di cortisolo
  • prevenzione dell’atrofia di ovaie, vagina e utero
  • estensione della fertilità
  • aumento del colesterolo HDL
  • riduzione della pressione sanguigna
  • Infine possiamo dire che la melatonina non cura il cancro, ma il cancro non può essere curato senza melatonina.

Va sottolineato, inoltre, che non tutti gli integratori a base di melatonina in commercio sono efficaci. Alla luce della sua ricerca decennale, il Dottor Pierpaoli ha messo a punto un integratore di melatonina con l’aggiunta di zinco e selenio. La sua raccomandazione è di assumere una compressa di questo prodotto ogni sera tra le 22 e le 24, o un’ora prima di andare a dormire. Questo permette di avere una buona riserva di melatonina nel momento del “picco notturno”, ovvero quando il corpo la andrebbe naturalmente a produrre. Solo così è possibile mettere a riposo la pineale e rimandare il processo di invecchiamento.

I principali effetti collaterali dell’assunzione a basso dosaggio di melatonina riportati in letteratura sono un po’ di intontimento mattutino, sogni vividi o leggera emicrania, ma sono sintomi che si presentano in una percentuale davvero esigua di soggetti, sono passeggeri e dipendono dal grado di stanchezza e di stress del soggetto che comincia ad assumere melatonina.

La malattia non è altro che l’ovvia conseguenza di un’alterazione cronica dei ritmi ormonali.” – Prof. W. Pierpaoli

31Gen

SGARRI ALIMENTARI

La dieta è l’unico gioco in cui vinci quando perdi”. – Karl Lagerfeld

COME RIMEDIARE AD UNO SGARRO

Può capitare di venire invitati a cena da amici, di partecipare ad un compleanno o di abbuffarsi durante le feste natalizie che  come al solito vedono sulle nostre tavole alimenti ricchi di grassi e soprattutto di zuccheri. Ciò produrrà, da una parte un affaticamento del tratto gastro-intestinale ed epatico, dall’altra le scorie prodotte avranno, come conseguenza, un accumulo di acidi nei tessuti.

Nel periodo immediatamente successivo ai giorni di festa, dovremo preferire quei cibi che facilitano l’eliminazione delle scorie e, allo stesso tempo, introdurre alimenti alcalinizzanti che contrastino l’acidosi.

QUALI CIBI EVITARE

Sicuramente quelli di cui abbiamo abusato cioè gli alcolici, gli zuccheri, i carboidrati raffinati e con glutine, i grassi di origine animale, i dolci cremosi e lievitati, i fritti, i latticini e i formaggi.

ALIMENTI DISINTOSSICANTI

Sottoporre periodicamente l’organismo a un trattamento di disintossicazione dovrebbe essere la prassi e non solo una pratica alla quale ricorrere in caso di “emergenza post sgarro”. L’organismo infatti lavora a pieno regime se gli organi deputati alla stessa disintossicazione sono puliti e quindi meglio disposti ad affrontare il lavoro di pulizia e filtro dell’organismo.

Disintossicarsi dalle tossine per lo più accumulate con l’introduzione di cibi in eccesso e di bassa qualità significa dunque dare “ossigeno” alle cellule e aumentare le probabilità di vivere in salute. Sebbene sia utile farlo periodicamente, è particolarmente consigliato nei giorni successivi ad un periodo di eccessi.

Il limone è uno dei rimedi più naturali e validi che possiamo assumere per disintossicarci. Di poco costo e di facile reperibilità questo frutto è in grado di fare miracoli nel nostro organismo. Il suo succo spremuto e bevuto in acqua tiepida è in grado, contrariamente a quanto si crede, di sbloccare gli intestini più ostinati e di ripulire l’organismo dagli eccessi delle colle assunte con un’alimentazione errata.

I semi di lino sono un altro utile alleato, due cucchiai macinati e aggiunti allo yogurt vegetale, alla frutta della colazione o nelle zuppe, sono in grado di fornire tutti i nutrienti e gli acidi grassi utili ad un buon trattamento disintossicante.

Potremmo bere tisane disintossicanti che aiutano nel delicato ma importante lavoro di pulizia e drenaggio corporeo, e per questo potete scegliere di prepararle a base di bardana, carciofo, tarassaco, ortica, aloe e cardo mariano. L’ortica remineralizza e pulisce mentre il dente di leone (o tarassaco) lavora bene sul fegato e ha una buona azione energizzante nei confronti dei reni.

I germogli sono quanto di meglio per ripulire il fegato, l’intestino e per migliorare la digestione. Per avere la massima resa è consigliabile consumarli crudi.

Il riso integrale e l’avena sono ottimi per regolarizzare l’intestino e per sostenerci dall’eccesso di purine (scarti metabolici derivati per lo più da alimenti di origine animale) introdotte in maniera spropositata nei pasti dei giorni precedenti.

PER QUANTO TEMPO SEGUIRE QUESTO TIPO DI ALIMENTAZIONE

Questi preziosi accorgimenti devono essere seguiti per almeno 7 giorni, fino a quando non compaiono i segni della disintossicazione ovvero urine chiare e feci prive di odori forti. Anche un odore troppo forte del sudore è un indicatore di intossicazione.

AFORISMA DISINTOSSICANTE

Fare finta, quando andate a fare la spesa, di avere pochi soldi e quando siete a casa fate finta di avere poco tempo per cucinare: avere pochi soldi vuol dire comprare le cose che costano meno (legumi, verdure, cereali, pesce azzurro) ed evitare le cose che costano molto (insaccati, alcolici, formaggi grassi, alimenti affumicati, cibi inscatolati e – o precotti).

Avere poco tempo per cucinare vuol dire mangiare crudo tutto ciò che si può (le verdure cotte perdono quasi tutte le vitamine col calore, le crude mantengono intatto tutto il patrimonio di vitamine e sali minerali) gli alimenti troppo cotti o intingolati ed elaborati sono pesanti e indigesti. Un bel pesce bollito richiede venti minuti; della carne al ragù, magari per fare delle lasagne, richiede ore di cucina diventando dunque un alimento pesante.

REGOLE GENERALI

  • Si usi pochissimo sale iodato grezzo o sale rosa dell’Himalaia (quasi niente).
  • Consumare non più di 4 cucchiai di olio extravergine al di.
  • Si dovranno bere minimo 2 litri di acqua a scelta.
  • Non si assumeranno latticini.
  • No pane, grissini, freselle, biscotti, ecc..
  • Non si dovrà assumere vino né nessuna bevanda gassata o dolce.
  • 4 porzioni di verdura al giorno ed una sola di frutta (la mattina).

ESEMPIO DI ALIMENTAZIONE POST FESTE E SGARRI ECCESSIVI

La colazione

Iniziare con una tazza di tè verde, quindi caffè e latte vegetale (avena, farro, miglio, mandorle, riso), sul pane di segale o di grano saraceno spalmare un marmellata biologica senza zucchero. Poi una manciata di frutta secca, noci, nocciole, anacardi.

A metà mattina si può bere un centrifugato (sedano, finocchio, carote quello che si hai in casa, con aggiunta di zenzero, potente anti-infiammatorio), se si vuole aggiungere aloe o bacche di goji.

Il pranzo

Cercare di variare il più possibile i cereali integrali come riso, quinoa, grano saraceno, farro, orzo (evitare la pasta). Condire i piatti come si farebbe con la pastasciutta, pomodoro, verdure o erbette e spezie. Provare a inserire la curcuma dappertutto. Tutti i giorni un’insalata di verdure crude e semi.

Metà pomeriggio frutta secca.

La cena

Zuppe di legumi, minestroni, passati, tortini di verdure, pesce 3 volte a settimana, uova 2 volte a settimana e carne bianca 1 volta a settimana.

Se non ti prendi cura della macchina più magnifica che ti sia mai stata data… dove andrai a vivere?” – Karin Calabrese

 

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