17Mar

INTEGRAZIONE

L’industria degli integratori è la più grande minaccia per l’industria farmaceutica.” – Steven Magee

INTEGRATORI ALIMENTARI

Nella scienza dell’alimentazione si definiscono integratori alimentari quei prodotti specifici, assunti parallelamente alla regolare alimentazione, volti a favorire l’assunzione di determinati principi nutritivi. Gli integratori alimentari non sono farmaci da prescrizione e non sono destinati al trattamento o alla diagnosi di malattie. Si tratta di ingredienti attivi che puoi utilizzare per aggiungere nutrimento e salubrità alla tua dieta o per ridurre il rischio di problemi di salute come l’osteoporosi, l’artrite e altri. 

Il professor Luc Montagnier, co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la medicina, ha scritto:

I fattori ambientali e l’inquinamento, stanno favorendo la comparsa di epidemie e gravi malattie croniche. La prevenzione è necessaria”.

Ma in cosa consiste la prevenzione su un fronte così impegnativo e difficile? La risposta è paradossalmente semplice, perché la sola e unica cosa che possiamo fare è garantire la qualità di ciò che immettiamo nel nostro organismo, il che significa innanzitutto alimenti che siano il più possibile sani, ma insieme a questi, in funzione sinergica ad essi, bisogna aggiungere integratori antiossidanti che siano di origine naturale (caratteristica essenziale date le carenze degli alimenti moderni) e infine acqua di altissima qualità.

Senza un regime alimentare sano, non carente, il sistema immunitario non può svolgere il suo ruolo di difesa dell’organismo, sia per resistere alle infezioni sia per combattere le malattie già presenti, spiega il professor Montagnier.

Ciò che è vero per il virus dell’AIDS è infatti probabilmente vero anche per il Coronavirus e per tutte le altre epidemie. La combinazione di tutti questi fattori circostanti genera infatti stress ossidativo nelle nostre cellule. Mi riferisco allo stress ossidativo rappresentato da molecole derivate dall’ossigeno, i cosiddetti radicali liberi che interrompono o addirittura paralizzano totalmente il nostro sistema immunitario. Non bisogna dimenticare che, inoltre, l’invecchiamento rende le persone ancor più vulnerabili.

Curioso, potrà obiettare qualcuno, che le aziende farmaceutiche sembrano poco o nulla interessate agli antiossidanti. Le ragioni di questo disinteresse sono semplici e logiche per due motivi:

  1. il primo è che le piante e i minerali non sono brevettabili, quindi non sono sfruttabili in esclusiva da parte della azienda X piuttosto che dall’azienda Y. E proprio per questo non interessano i loro finanziatori.
  2. Il secondo motivo è che tutto quanto è prevenzione dalle malattie va per forza di cose contro la politica del farmaco, che invece ha bisogno dei malati per svilupparsi.

Inoltre, per proteggersi correttamente, è necessario sapere come e quando usare gli antiossidanti. Il primo punto importante è la nozione di potenziamento che esiste tra le diverse molecole antiossidanti. Riteniamo infatti che tutti questi antiossidanti dipendano l’uno dall’altro. Inoltre, per essere ancora più efficaci, devono essere usati insieme. Separati perdono gran parte delle loro qualità. Premesso questo, ecco quali sono: 

PRINCIPALI ANTIOSSIDANTI:

  • le vitamine C, D e K;
  • l’N-acetilcisteina, la metionina, l’inositolo, l’MSM, l’acido alfalipoico, Q10, la curcuma, ecc; 
  • i minerali, in particolare il selenio e lo zinco;
  • le piante multiple, in particolare il ginkgo biloba, i tre ginseng (Revita Complex) e via elencando;
  • il GLUTATIONE che è il re degli antiossidanti nonché un disintossicante epatico.

Fondamentale è verificare la qualità dei prodotti. Molti degli antiossidanti presenti sul mercato sono infatti di scarsa qualità e poco efficaci. Per questo è essenziale controllare le etichette e il dosaggio dei principi attivi.

La forma naturale è preferibile alla sintetica e l’imballaggio in vetro oscurato è meglio in quanto evita l’azione della luce e aiuta a mantenere la conservazione degli antiossidanti.

Le vitamine fanno parte degli antiossidanti più importanti. I laboratori parlano di vitamine sintetiche, le medicine naturali parlano (normalmente) di vitamine naturali. I laboratori pretendono che esse siano identiche. È una grande bugia, facile da dimostrare e attualmente largamente pubblicizzata. Da un lato, le vitamine sintetiche sono brevettate, sapendo che la normativa dice che la formula di una molecola naturale non può essere brevettata, questo significa che la formula della vitamina sintetica è differente. Dall’altro lato, la ricerca ha dimostrato che l’assorbimento, l’espulsione, la regolazione biologica che calibrano questi meccanismi sono totalmente diversi se si tratta di vitamina naturale o sintetica. Ma il risultato è ben diverso. Mentre nella vitamina naturale l’effetto è aumentato è la tossicità è molto inferiore, nella vitamina sintetica il risultato è inverso.

I minerali, per essere assimilati, devono possedere un potere rotatorio ottenuto quando sono assimilati da un vegetale. È il motivo per il quale il mondo animale non può vivere sul pianeta senza le piante. La sterilizzazione con il calore (durante la disinfezione obbligatoria dei prodotti farmaceutici) ha come risultato che i minerali estratti dai vegetali non sono assimilabili e dunque inutili e soprattutto tossici. 

QUAL È LA DOSE IDEALE DI OGNI SOSTANZA E MEDICINA?

È uno dei punti deboli della medicina in generale. Il motivo? Siamo tutti diversi. Considerando che siamo tutti diversi, perché dobbiamo prendere la stessa medicina e soprattutto la stessa dose?  Una parte importante delle medicine è costituita, in realtà, dalle copie sintetiche di molecole vegetali, ovvero dagli estratti dei vegetali. Esiste una legge importante in fitoterapia: “La pianta intera è sempre più efficace e meno tossica dell’estratto” e se l’estratto è sintetizzato è peggio.

Le conclusioni sono le seguenti: gli antiossidanti sono indispensabili se li usiamo nel modo corretto.

Non c’è niente di meglio degli antiossidanti per rallentare i fenomeni degenerativi correlati al processo d’invecchiamento. Possono essere paragonati a un’efficace task-force impegnata in un’incessante battaglia contro i radicali liberi allo scopo di arginarne gli effetti distruttivi sulle cellule.“ – Jean Carper

14Mar

ALIMENTAZIONE EQUILIBRATA

La dieta è come un conto in banca. Le buone scelte alimentari sono buoni investimenti”. – Bethenny Frankel

DEVO METTERMI DI NUOVO A DIETA! QUESTA VOLTA FUNZIONERÀ?

La parola “dieta“, nel significato etimologico del termine, fa riferimento allo “stile di vita”. Se con “mettersi a dieta” si intende impegnarsi a cambiare il proprio stile di vita, la dieta non solo diventa necessaria, ma aiuta a vivere meglio.

Ogni volta che si tenta una dieta e si fallisce, ci si ritrova più grassi di prima e ricominciare è sempre più difficile. Basta un piccolo sgarro e subito si viene presi dall’idea di aver rovinato tutto vanificando ogni sforzo. Da questo nascono i sensi di colpa per il fallimento, ci si sente incapaci di governarsi, si sente ancora più forte il giudizio dei magri e con loro si arriva a condividere l’idea che l’obesità è il frutto dell’autoindulgenza, della pigrizia e della mancanza di forza di volontà. 

In questo meccanismo, frequenti e non marginali, sono le colpe di noi medici e nutrizionisti che maltrattiamo i pazienti in mille modi. Spesso proponiamo diete impossibili (meno di 800-1000 calorie), suggeriamo massacranti e inutili cicli di massaggi e saune, consigliamo rigidi schemi di attività fisica, prescriviamo farmaci per eliminare la fame con il risultato che il calo rapido, la fame ingestibile e il nervosismo crescente porterà questi pazienti ad abbandonarsi spesso, troppo spesso, a preoccupanti abbuffate.

In definitiva, “l’essere perennemente a dieta” (dieting) porta a depressione e può scatenare il “mangiare in modo compulsivo e disordinato” (binge).

COMINCIAMO DAL PRINCIPIO

Nel giro di 50 anni la nostra alimentazione è cambiata molto. La raffinazione, la conservazione e la colorazione degli alimenti sono responsabili di molti dei nostri “mali da civiltà”. A cominciare da sovrappeso, obesità, diabete fino all’ipertensione arteriosa.

Per rispondere alla forte richiesta dei pazienti, diete dimagranti, ricette e soluzioni miracolose sono fiorite come i gelsomini in primavera. Alcuni consigliano di dissociare gli alimenti, altri di controllare ossessivamente le calorie, di consumare esclusivamente proteine o di seguire diete a base di sola frutta, verdura, pasta o riso e alcuni consigliano lunghi giorni di digiuno mentre altri propongono creme o prodotti di erboristeria o medicinali che dovrebbero sciogliere il grasso. Il mercato di prodotti dimagranti è esploso, come la vendita delle riviste che dedicano i loro titoloni a questo argomento. Tuttavia il miracolo tanto atteso non si è verificato. Anzi. Quasi tutte le diete dimagranti vogliono forzare il corpo, addirittura ingannarlo. Il più delle volte questo si paga con problemi di salute o, paradossalmente, con dei chili in più (effetto yo-yo).

RIEDUCARE IL CERVELLO

La persona in soprappeso si trova in uno stato di squilibrio ponderale. Per ritrovare l’equilibrio deve perdere quest’eccesso e tornare al peso normale. Anche se possiede una logica matematica, questo postulato è biologicamente falso. 

In realtà, la persona in soprappeso è in equilibrio con il proprio peso. Il cervello accetta il sovrappeso come una condizione soddisfacente. Allora bisogna indurre il cervello a modificare il suo sistema di riferimento rispetto a quest’equilibrio.

Contrariamente a tutti i luoghi comuni, le cellule grasse sono amiche; d’altronde, nessuna parte del corpo ci è ostile. Esse rappresentano un meccanismo di difesa reattivo. Se tutto quello che abbiamo nelle cellule adipose circolasse nel nostro sangue, moriremmo subito. Il corpo sa come sopravvivere. Esso conserva nelle sue banche quello che non può lasciare in circolo (omeostasi). Quindi quello che spesso si giudica un tradimento estetico o metabolico è in realtà solo la manifestazione di una conquista di equilibrio.

Bisogna dire che, sebbene le conseguenze del nostro stile alimentare siano determinate dal profilo genetico specifico di ogni individuo, l’avverarsi del destino trascritto nei geni può essere, a sua volta, rallentato o anticipato dallo stile di vita alimentare. In ciascuna cellula adiposa esiste un’autentica “memoria del peso equilibrato” che è possibile risvegliare. Per farlo bastano piccole correzioni alimentari e nutrizionali, associate a piccole correzioni comportamentali e psicologiche. 

LE CALORIE: UN CONCETTO SUPERATO

Da una cinquantina d’anni le diete, in gran maggioranza, sono basate sul concetto di caloria. Questa unità di misura dell’energia non ha molto a che fare con la realtà del nostro metabolismo. La caloria, presa da sola, è una cifra morta. Una volta ingerite, 150 calorie di yogurt, non hanno nell’organismo lo stesso effetto digestivo e metabolico di 150 calorie di mela, di salame, o meglio ancora, di olio d’oliva! Quello che conta è la qualità della composizione degli alimenti e non solo la quantità.

Il contenuto calorico è quindi solo un concetto fisico, che rende conto in modo grossolano di come il cibo influenza il bilancio energetico dell’organismo. Altri aspetti contano altrettanto, se non di più.

MANTENERE IL GIROVITA IN ZONA SICUREZZA

L’eccesso di grasso degli obesi (ma anche di persone in moderato sovrappeso), quando si accumula soprattutto attorno al giro vita, provoca maggiori problemi metabolici e conseguenze cardiovascolari, tanto da rappresentare un importante fattore di rischio.

Il limite massimo è di 88 – 90 cm della “circonferenza vita” per le donne e di 102 – 104 cm per gli uomini.

Per quanto l’auto-misurazione possa sembrare facile, è meglio che i pazienti deleghino il compito a una terza persona per garantire che il metro a nastro segua un andamento esatto prestabilito dal medico.

L’obiettivo dimagrimento, in definitiva, non deve guardare solo all’ago di una bilancia, cioè al raggiungimento di un peso ovviamente più basso, ma deve considerare anche altri aspetti già citati come la localizzazione prevalente dell’adipe (misurazione del giro vita) e i dati della composizione corporea (esame plicometrico), rilevabili dal medico, ma non dalla bilancia.

COSA VUOL DIRE INGRASSARE E COSA VUOL DIRE DIMAGRIRE 

Il grasso del nostro corpo è contenuto per una percentuale elevatissima in cellule specializzate, le cellule adipose. Quando si ingrassa ciascuna cellula aumenta il suo contenuto in grasso e dunque è come se si gonfiasse un po’.

Molte diete fanno perdere acqua e, soprattutto, fanno perdere massa muscolare, ma la quantità di grasso nelle cellule si mantiene intatta, perché perdere peso non è la stessa cosa che dimagrire. Perdere acqua non vuol dire dimagrire. Perdere tono muscolare non vuol dire dimagrire. Dimagrire significa soltanto una cosa: perdere grasso, conservando acqua e muscoli. Il dimagrimento si ha soltanto quando nelle cellule adipose avviene la lipolisi, ossia quando i trigliceridi si scindono nelle molecole elementari che li costituiscono e che possono così uscire dalla cellula e andare là dove saranno consumate.

Dimagrire è un investimento che si fa per il proprio futuro. Si deve imparare a dimagrire, imparare a mangiare, imparare a “sgarrare”. Solo che imparare costa un po’ di fatica o quanto meno un po’ di attenzione. Non bisognerebbe mai delegare il proprio dimagramento direttamente al medico, ma dovrebbe passare per la propria testa e il medico dovrebbe essere colui che aiuta ad attuare la comprensione del proprio dimagrire, attraverso l’insegnamento di quello che è bene mangiare.

 La prima regola è imparare a combinare gli alimenti tra di loro.

Man mano che si attua un regime di educazione alimentare, le cellule adipose, liberate dallo stress metabolico, risvegliano la memoria “dimagrante” e mandano al cervello un messaggio regolatore e riequilibrante. Allora il cervello “boccia” quello che considerava il peso normale e finalmente giudica il sovrappeso come un eccesso di cui conviene disfarsi. In realtà è il corpo che si rimette a funzionare, finalmente, al ritmo giusto. 

QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO CARBOIDRATI

Una delle trasformazioni più preoccupanti in materia di salute avvenuta negli ultimi anni è la raffinazione dei cereali. I cereali integrali (non raffinati) hanno un gran valore nutritivo. Contengono tra l’altro fibre, minerali,  oligoelementi e vitamine, mentre nei cereali raffinati resta ben poco di questa ricchezza.

La raffinazione dei cereali ne modifica la digestione e l’assimilazione, provocando disordine nel metabolismo globale e spingendolo verso il sovrappeso cronico.

Nella scelta dei cereali è dunque indispensabile preferire quelli integrali.

Sono da preferire liberamente:

  • tutti i tipi di verdura (con moderazione la patata, la zucca, la carota cotta e la barbabietola);
  • tutti i tipi di frutta eccetto la banana, il caco, la papaia, alcuni tipi di frutta essiccata (come le uvette, i datteri, i fichi secchi);
  • l’orzo, l’avena e la pasta.

Si devono consumare in quantità controllata:

  • il pane bianco, i grissini, i crackers, le fette biscottate, le focacce, la pizza, i cereali della mattina;
  • tutti i tipi di biscotti (soprattutto quelli col burro);
  • la polenta;
  • il riso brillato;
  • i succhi di frutta industriali.

Sono da evitare o da assumere raramente in quantità molto limitata:

  • bevande dolci come coca cola, aranciata, chinotto, ecc.;
  • torrone, merendine, brioche;
  • bevande alcoliche e zuccherine.

Gli alimenti contenenti zuccheri raffinati sono molto rapidi ad entrare nel sangue, provocando per reazione flussi d’insulina (l’ormone che trasporta lo zucchero nelle cellule) rapidi e violenti. Quando il tasso di zucchero nel sangue sale rapidamente, segue la secrezione violenta d’insulina dal pancreas, in quanto questo si sente aggredito da questo flusso eccessivo di zucchero e, dovendolo smaltire dal circolo, produce l’insulina per consentire al glucosio di entrare nelle cellule ed essere trasformato in energia. 

Sotto l’azione dell’insulina il tasso glicemico torna a scendere fino ad un livello più basso di prima dell’ingestione degli alimenti, tanto da provocare “morsi della fame dati da falsa carenza di zucchero”, ossia una crisi ipoglicemica. Evitare il più possibile gli alimenti ricchi di zuccheri è il primo passo per uscire da questo circolo vizioso.

QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO PROTEINE

Sono da preferire:

  • la carne (pollo, tacchino, faraona, coniglio), con particolare attenzione a quella rossa che è ricca di grasso e purine difficili da digerire; un suo abuso può alzare il livello in circolo dell’acido urico;
  • il pesce, alimento altamente digeribile, con un’alta concentrazione di omega 3, vitamina A e D;
  • il tofu e altri alimenti a base di proteine di soia;
  • l’ uovo è senza dubbio l’alimento che possiede le proteine con più alto valore biologico. In casi di carenza di calcio, il guscio, accuratamente lavato e triturato nella minestra, rappresenta la fonte più ricca di calcio presente negli alimenti;
  • i legumi, ricchissimi di principi nutrizionali, di fibre solubili, mucillagini e gomme, ottimi per la preparazione di piatti unici, in abbinamento con pasta o riso.

Vanno abbastanza bene:

  • lo speck e il prosciutto cotto e crudo, quando siano stati privati della parte grassa;
  • le carni bovine e suine (ben sgrassate);
  • la carne in scatola magra, il tonno in scatola se sgocciolato.

Si devono consumare in quantità limitata:

  • le frattaglie e le carni grasse;
  • la pancetta, il salame e gli altri insaccati;
  • i formaggi grassi, il latte intero, lo yogurt intero (preferire quelli più magri come ricotta, fiocchi di latte, provola, stracchino, philadelphia light. Preferire il latte scremato o quello parzialmente scremato).
QUALI CIBI SCEGLIERE FRA QUELLI CHE APPORTANO GRASSI

I grassi dei mammiferi di terra appartengono alla categoria dei grassi saturi che sono solidi a temperatura ambiente e che dovrebbero essere sempre assunti in quantità contenuta. Anche i grassi idrogenati (grassi creati in laboratorio), contenuti nelle margarine, sono molto nocivi per la salute quando consumati in abbondanza.

Va molto bene, al contrario, l’assunzione di olio extra vergine d’oliva, con il quale vanno condite le verdure, così come vanno bene la frutta oleosa (noci, nocciole, pinoli) e l’avocado. Straordinariamente utile per l’organismo è l’olio di pesce, ricco di Omega-3 e acidi grassi che sono detti “essenziali” perché servono al nostro corpo il quale, però, non è in grado di produrli.

I tre più insidiosi grassi esistenti in natura sono tutti di origine vegetale. L’acido laurico, l’acido miristicoe l’acido palmitico, contengono tutti e tre temibili acidi grassi saturi e sono quelli che sulle etichette di tutte le merendine appaiono con l’accattivante dicitura “grassi vegetali”. Essi hanno di buono che sono economici e saporiti, ma sono realmente dannosi, tendono ad aumentare la rigidità delle membrane cellulari inducendo le cellule a non rispondere adeguatamente ai livelli normali d’insulina: “resistenza all’insulina“.

Sono quindi da preferire:

  • l’olio extra vergine d’oliva;
  • la frutta oleosa (mandorle, pinoli, noci, nocciole) e l’avocado;
  • l’olio di pesce (come integratore, in capsule o liquido per esempio Omega 3 cp.

Si devono consumare in quantità limitata:

  • le parti palesemente grasse delle carni;
  • il lardo, lo strutto, il burro, il mascarpone, la panna;
  • le margarine.
SCELTA E STAGIONALITÀ DI ALCUNI TIPI DI VERDURE 

Il consumo di abbondanti quantità di frutta e verdura dovrà essere obbligatorio: molti prodotti dovranno essere mangiati crudi o solo leggermente scottati, questo farà si che gli antiossidanti, le vitamine e i minerali contenuti rimangano intatti. 

La frutta essendo ricca di sostanze antiossidanti (vitamine A e C) aiuta l’organismo a ripulirsi dai radicali liberi, da esso prodotti normalmente per vivere, ma il cui eccesso (dovuto all’inquinamento ed allo stress) risulta dannoso.

Bisogna infine fare chiarezza sulle verdure surgelate. Appurato che le verdure bollite in scatola sono meno nutrienti delle fresche, perché cotte a lungo e con molto sale, è opinione comune che anche i prodotti di terza gamma, in quanto surgelati, non reggano al confronto con i freschi. Bisogna dire che se congelata appena raccolta, la verdura mantiene quasi intatte le sue proprietà. 

La surgelazione è una delle migliori tecniche di conservazione degli alimenti, paradossalmente una verdura surgelata in modo corretto è migliore di una verdura “fresca” utilizzata diversi giorni dopo la raccolta, conservata per lungo tempo fuori dal frigorifero o peggio esposta al sole. Meglio evitare di scongelare a temperatura ambiente per questioni igieniche o sotto l’acqua corrente che allontana sali minerali e vitamine. Se l’alimento è in piccoli pezzi è meglio cuocerlo direttamente congelato, oppure farlo scongelare in frigo.

CARNIVORI O VEGETARIANI?

Per nascita siamo onnivori, ma la carne nelle diete è si utile ma non indispensabile. La scelta vegetariana nelle sue forme meno esasperate – cioè senza esclusione di uova e latticini – è perfettamente compatibile con il normale stato di salute.

L’alimentazione vegetariana ha il vantaggio di fornire meno sodio e più potassio, meno grassi – in particolare meno grassi saturi – e più fibre; ha però anche lo svantaggio di scarseggiare in ferro, zinco, calcio, vitamina B12, da qui la necessità di integrare.

ABBINAMENTI SCONSIGLIATI
  • le diverse proteine tra loro (pesce e formaggio) o (carne e pesce) ecc..;
  • amidi e sostanze acidule (pasta/riso con vino o aceto o liquori) perché si darebbe il via a una massiccia fermentazione;
  • proteine e grassi (sogliola al burro) perché il grasso riveste le proteine impermeabilizzandole ai succhi gastrici e quindi ostacolandone la digestione;
  • frutta e dolciumi a fine pasto, perché gli zuccheri semplici in essi contenuti hanno un transito veloce che verrebbe bloccato dalla presenza di altri alimenti dalla digestione più lenta e quindi ristagnando fermenterebbero. I fenomeni fermentativi provocano l’innalzamento della temperatura intestinale, inducendo la proliferazione della flora batterica patogena che scatena gli spiacevoli disturbi di meteorismo e spasmi.
IL LINGUAGGIO DIMAGRANTE DEGLI ALIMENTI

Ogni giorno il nostro organismo ha bisogno di una certa varietà di nutrienti che deve assumere con una dieta variata ed equilibrata. In una società opulenta come la nostra questo sembra un obiettivo facile da raggiungere, ma in realtà incorrere in carenze più o meno significative, è molto più comune di quanto si pensi a causa di cibi troppo raffinati, alimentazione poco varia, problemi di masticazione, uso di conservanti/fertilizzanti/coloranti, carni ricche di grassi saturi, frutta povera di vitamine ecc. 

Al corpo umano servono più di 40 nutrienti per mantenersi in buona salute e per coprire questo fabbisogno è importante combinare quantità adeguate di cibi appartenenti a diversi gruppi alimentari, alternandoli nei vari pasti della giornata. Laddove sarà difficile farlo, per questioni di gusto, d’impossibilità a reperire la varietà degli alimenti o per questioni etiche, solo allora è ipotizzabile l’uso di un integratore.

L’importante è che non si usino MAI farmaci, ormoni tiroidei o altre sostanze attivanti il metabolismo per dimagrire. Ci si potrebbe ritrovare con il doppio dei chili persi e con qualche problema di salute in più. Sarà necessario dunque che, in una prima fase, il paziente, sotto il controllo del medico, mangi ogni giorno in modo equilibrato, apportando in perfetta sinergia tutto quello che l’organismo in quella fase necessita.

In seguito, una volta raggiunti i risultati, il paziente avrà compreso il proprio modo di mangiare e attuerà un programma alimentare perfettamente adattato al proprio stile di vita, con una costante: l’equilibrio dei costituenti alimentari. Solo così conserverà il risultato ottenuto.

Tutti gli alimenti parlano una “lingua” che bisogna tornare ad imparare per stabilire un dialogo con loro.

ALCUNI CONSIGLI IMPORTANTI
  • Il segnale di sazietà non arriva immediatamente al cervello, quindi bisogna masticare con calma  bocconi piccoli: si digerisce meglio e soprattutto si rimane sazi più a lungo.
  • Bisogna avere obiettivi raggiungibili e non esagerati. Il primo passo può essere quello di “rientrare” negli ultimi pantaloni che si sono abbandonati e poi di seguito per passi successivi.
  • Non si usi in modo maniacale la bilancia, è più pratico controllare la taglia dei vestiti. Paradossalmente la bilancia non è sempre lo strumento migliore per misurare un eccesso di peso, perché il peso che registra è il totale della massa di vari tessuti: scheletro, muscoli, viscere, acqua e grasso. D’altra parte l’acqua, che da sola rappresenta i due terzi del nostro corpo, è soggetta a molte fluttuazioni che possono provocare delle variazioni di peso, fino a un paio di chili, soprattutto prima o dopo le mestruazioni. Ricordarsi che dimagrire significa esclusivamente perdere il grasso di troppo, mentre si può perdere peso eliminando solo acqua, il che spiega l’inutilità dei diuretici quando vengono prescritti a scopo dimagrante, senza contare i rischi che questi comportano.
  • Si assecondi sempre il senso di sete e anzi tentare di anticiparlo, bevendo a sufficienza, mediamente 1,5 – 2 litri di acqua al giorno. È sbagliato evitare di bere per non sudare (sudare è fondamentale per regolare la temperatura corporea) o per paura di ingrassare (l’acqua non apporta calorie).
  • Si riduca progressivamente l’uso di sale da cucina (tutti gli alimenti contengono già sale al loro interno), ridurlo al minimo e preferire quello iodato o il sale rosa dell’Himalaya.
  • È importante non farsi trovare a casa, annoiati ed impigriti, quando scattano i due tipici appuntamenti con la fame: in tarda mattinata e prima della cena, ovvero quando il ritmo delle nostre secrezioni ormonali congiura ad esasperare l’appetito con un sottofondo ipoglicemico a cui è difficile resistere se gli snack sono a portata di mano.
  • Quando si mangia, si cerchi di non fare altro (es. non guardare la televisione). Non si pulisca il piatto con il pane. Si poggi la forchetta tra un boccone e l’altro. Si eviti di tenere a tavola piatti di portata. Si lasci la tavola alla fine del pasto.
  • Non si beva mai alcolici prima di mangiare, in quanto possono stimolare l’appetito oltre che causare patologie gastriche.
  • Si frazionino i pasti e non si salti mai la prima colazione. Concentrare la maggior parte del cibo a cena non è vantaggioso: è più facile incamerare l’eccesso calorico relativo ed ingrassare. Mai farsi mancare a colazione un pugno di cereali a basso contenuto di glutine, fiocchi di avena, germe di grano e del miele grezzo.
L’ATTIVITÀ FISICA

La vita sedentaria associata ad una cattiva alimentazione rappresenta il sicuro passaporto per l’obesità. Nel tentativo di raggiungere il peso corporeo ideale, ad una dieta equilibrata è sempre consigliabile associare una buona attività fisica. Il moto è indispensabile perché contribuisce alla mobilitazione delle riserve di grasso. L’attività sportiva in palestra potrebbe rappresentare la soluzione ideale, ma dal momento che non tutti hanno il tempo e la voglia, si potrebbe aumentare il proprio livello di attività fisica camminando oppure salendo qualche piano di scale o ancora parcheggiando la macchina un po’ più lontano. Un ottimo consiglio per valutare la nostra attività ginnica quotidiana sarebbe comprare un contapassi e cercare di fare almeno 10.000 passi al giorno. Questo corrisponde a più di due ore settimanali di palestra, senza pericoli e controindicazioni.

LE TRASGRESSIONI

Le trasgressioni fanno parte del nostro modo di vivere e devono essere sdrammatizzate e non colpevolizzate. Oltre ad essere inevitabili, sono anche un momento piacevole perché “trasgredire è bello”, ma se la trasgressione diventa un’abitudine si finisce per privarsi di un piacere. Quando necessario riprendere qualche giorno della dieta consigliata nella fase dimagrante per compensare gli eccessi fatti. L’evasione intelligente, lo “sgarro” concordato, piuttosto che la bulimia reattiva, fanno parte del gioco e lo rendono accettabile anche a tempo indeterminato.

Coquina medicinae famulatrix est. – La cucina è la serva della medicina”. – Terenzio

28Feb

CONSIGLI ALIMENTARI IN TEMPO DI COVID

La guerra è un conflitto tra Stati, tra paesi che trascinano i popoli gli uni contro gli altri. C’è un nemico fisico. In questo caso l’avversario è esogeno, non lo si può combattere con le armi di distruzione della guerra. Contro il virus le armi sono cura e prevenzione, il contrario della guerra.” – Fausto Bertinotti

COME PROTEGGERSI DAL CORONAVIRUS

Il SARS-CoV-2 (virus) e la COVID-19 (la malattia che ne deriva) sono oggi i nostri nemici principali. Li sconfiggeremo attenendoci a regole di estrema precauzione e con il rispetto di prescrizioni e divieti che ci sono e ci verranno imposti. Ma ci sono altri nemici o danni, per così dire, collaterali.

Costretti perlopiù a casa, ci muoviamo poco e, soprattutto, ci annoiamo. E, annoiandoci, mangiamo (e beviamo): per stress, per consolarci, per trascorrere il tempo. Per giunta, scegliamo soprattutto alimenti che ci danno una gratificazione immediata e piena, in particolare i carboidrati.

Il brio dopaminergico ci cattura come una droga. Cominciamo, allora, a fare un po’ di movimento.

Basta poco: chi ha un giardino o un terrazzo ampio può fare un po’ di corsa; chi dispone di una mini-palestra o di qualche attrezzo può allenarsi in casa. Oppure si può fare un po’ di corpo libero, guidati da un tutorial su YouTube. Ma si possono anche fare le scale di casa tre o quattro volte al giorno.

Più ci muoviamo, più aumenta l’insulino-sensibilità periferica: l’insulina, cioè, diventa più attiva ed aiuta più agevolmente a trasportare il glucosio nelle cellule. Ma perché questo effetto sia duraturo, non dobbiamo demordere. L’importante è fare esercizio fisico con regolarità, a giorni alterni, o perlomeno senza fare trascorrere due giorni completamente inattivi.

Se restiamo fermi, se ci facciamo accalappiare dal divano, dal pc e dalla tv, l’insulino-resistenza è in agguato: i carboidrati fanno aumentare l’insulina in circolo, e l’insulina in primis accresce le riserve di zucchero del/nel fegato (glicogeno) e, poi, comincia a trasformare il resto in grasso, che va nella nostra pancia (formando nei casi più evidenti inestetici pannicoli adiposi) e nelle cosce.

Ma siccome lo stop delle nostre attività prima di riprendere la vita normale si prospetta più lungo del previsto, è necessario curare anche il regime alimentare.

Sento già la obiezione: “ma possibile che, con una pandemia in corso e con tutti i divieti e le restrizioni cui dobbiamo sottostare, ci dobbiamo pure mettere a dieta?”.

Già chiamarla dieta è sbagliato, perché è un termine che evoca subito privazioni e che, in una cultura cattolica come la nostra, sembra avere sempre un’intonazione etica punitiva (hai peccato con la gola? espia!) o retributiva (tanto hai mangiato, di tanto sarai privato). Chiamiamola, piuttosto, oculata attenzione alimentare.

Proviamo a spiegarlo in modo approssimativo e senza alcuna pretesa di usare un linguaggio troppo tecnico e accurato, e perciò meno comprensibile.

Il nostro obiettivo deve essere duplice:

  1.  stimolare il nostro sistema immunitario;
  2.  tenere a bada il nostro ormone ingrassante per antonomasia, l’insulina.

In effetti, non è che abbiamo la colpa di tutti i nostri cedimenti all’avanzare del grasso. È un periodo brutto, cupo. Abbiamo paura, accumuliamo stress, siamo divorati da ansia e preoccupazioni. E il nostro organismo, allora, chiama in soccorso (cioè ci fa produrre) il nostro ormone salvavita endogeno, l’ormone “attacca o scappa”, il cortisolo, che in caso di emergenza ci dà energia e capacità di reazione.

Purtroppo, però, questa energia la prende, creando glucosio (energia), dalle proteine, in pratica saccheggia i nostri muscoli e la nostra matrice cellulare: costringe, cioè, le cellule a usare zucchero come substrato energetico, mentre esse dovrebbero usare i trigliceridi (grassi).

Per questo chi è sempre stressato, e ha, quindi, alti valori di cortisolo nel sangue, non riesce a dimagrire, anche se elimina dalla sua dieta i carboidrati: perché ha una sorta di glicemia alta endogena, non alimentare (in condizioni normali, senza stress, invece, il corpo dovrebbe usare maggiormente i grassi – poco zucchero e talvolta le proteine – come substrato energetico, solo il cervello e i globuli rossi usano esclusivamente glucosio).

Il glucosio alto stimola l’insulina, l’insulina sottrae il glucosio dal circolo per portarlo nelle cellule, il nostro corpo si sente temporaneamente ed improvvisamente privo di energia e fa scattare una richiesta di soccorso all’ipotalamo – il glucosio alto stimola l’insulina, l’insulina sottrae il glucosio dal circolo per portarlo nelle cellule, il nostro corpo si sente temporaneamente ed improvvisamente privo di energia e fa scattare una richiesta di soccorso all’ipotalamo – c’è bisogno di zucchero – e a questo punto mangiamo qualcosa di dolce, e via così, in una spirale che è difficile arrestare.

Diventiamo, così, stressati e grassi.

Per essere sicuri di tenere in buon allenamento il nostro sistema immunitario, abbiamo bisogno di alcuni componenti importanti. Quando mancano, dobbiamo integrarli. Sto parlando di vitamina C, vitamina D e resveratrolo.

VITAMINA C

Il sistema immunitario è un sistema molto complesso che per adattarsi a stimoli differenti deve generare diversi tipi di cellule (globuli bianchi) tra cui i granulociti, i monociti (fagociti), i linfociti e i natural killer.

La vitamina C ha un ruolo importante nel far aumentare la produzione dei fagociti, e delle natural killer, ovvero cellule capaci di fagocitare gli agenti patogeni e di produrre enzimi atti alla loro degradazione.

Alcune scimmie e i cani producono da soli la vitamina C. L’uomo, invece, non ne è più capace. Prima lo faceva, ma si è ipotizzato che l’abuso di vegetali ricchi di ascorbati lo abbia reso, nel tempo, incapace di auto-sintesi.

Tutta la frutta e verdura sono alimenti fonte di vitamina C, ma maggiormente gli agrumi, ribes nero, fragole, mango, kiwi, patate, prezzemolo, peperoni e cavolfiore.

La Società Italiana di Nutrizione Umana ha fornito delle indicazioni in merito alla dose di vitamina C giornaliera raccomandata: 105 mg al giorno per gli uomini e 85 mg per le donne. Si tratta del dosaggio minimo ritenuto sufficiente per evitare lo scorbuto (malattia grave da carenza di acido ascorbico), ma se vogliamo dalla vitamina C un aiuto più incisivo dobbiamo aumentare il dosaggio, e probabilmente integrarla (anche perché per fare 1 gr di vitamina C bisogna consumare 3,5 kg di arance). Dovremmo assumere distribuita nella giornata anche 2 o 3 gr di vitamina C.

VITAMINA D

A lungo considerata una vitamina con un’utilità limitata (quella di favorire l’assorbimento del calcio e, dunque, la mineralizzazione dei denti e delle ossa, essenziale per la crescita e il rimodellamento osseo), la vitamina D ha visto progressivamente accrescere il riconoscimento dei suoi effetti benefici.

Questo potente ormone steroideo viene prodotto con l’esposizione alla luce del sole (che attiva un complesso meccanismo) e la sua diffusa penuria si spiega anche con uno stile di vita (ufficio, scuola, luoghi chiusi in genere) che non asseconda la sua produzione.

Ma la sua azione è trasversale, non c’è un meccanismo metabolico in cui non entri la vitamina D.

Con specifico riguardo al sistema immunitario, per poter proteggere il corpo dalla minaccia di virus e batteri i linfociti T devono in primo luogo essere esposti a tracce dell’agente patogeno. Se le cellule T non riescono a trovare sufficiente vitamina D nel sangue, non inizieranno ad attivarsi.

RESVERATROLO

Il resveratrolo è uno degli antiossidanti per eccellenza, un vero elisir di giovinezza. È contenuto, in particolare, nella buccia degli acini d’uva (quindi vino), nei frutti di bosco (mirtilli, more eccetera), frutta secca come arachidi, pistacchi.

Alcuni studi indicano che il resveratrolo controlla la risposta infiammatoria del corpo inibendo la proteina pro-infiammatoria interleuchina 6 (IL-6). Questa proteina fa parte del sistema immunitario e alti livelli nell’organismo sono stati, per esempio, collegati a molti pazienti con malattia “infiammatorie” croniche: asma, diatesi, malattie reumatiche e autoimmunitarie, e così via. Nello specifico, è stato visto che il resveratrolo è in grado di regolare proprio la produzione di IL-6.

CONSIGLI ALIMENTARI

Per evitare di stare sempre con un foglio in mano e di pesare i cibi, direi che la cosa migliore è delimitare il campo.

Ipotizzando che ci siano cibi “sì” e cibi “no”, la cosa migliore è togliere dalla dispensa questi ultimi, così da poter mangiare più o meno liberamente i primi.

L’obiettivo tendenziale è di apportare tutto quello che è necessario, compatibilmente col proprio palato, e di eliminare tutte le cose che stimolano troppo la nostra insulina, tenuto conto anche dal fatto che l’assenza o l’esiguità di movimento non ci aiuta a smaltirla.

Esempi di cibi “NO” (che alterano o stimolano molto l’insulina)
  • Riso bianco, pasta bianca, farine bianche, mais (tutto il glutine in genere);
  • Cereali zuccherati, pane bianco, biscotti, brioche, cracker;
  • Semolino, gnocchi, riso soffiato, pasta di grano tenero, popcorn, corn-flakes, ravioli, soufflé di riso, fette biscottate, impanature, pasta frolla, toast, pangrattato;
  • Latticini (mozzarella, fior di latte);
  • Dolci con farina raffinata, cialde, dolci a base di riso;
  • Patate al forno, patatine fritte, chips, purea di patate;
  • Bastoncini di pesce e impanature in genere;
  • Saccarosio (zucchero da tavola), maltosio, zucchero di canna;
  • Coca cola, birra, alcolici. bevande light.
Esempi di cibi “SI” (che non alterano, o alterano poco, la glicemia)
  • Cereali integrali non industrialmente raffinati: riso integrale, riso basmati integrale, riso venere, pasta di grano saraceno, couscous, orzo, farro, quinoa, amaranto, miglio, teff, avena, grano saraceno, pane 100% integrale;
  • Proteine vegetali: quorn, mopur, muscolo di grano, tofu di canapa, edamame, fagioli di soia, tofu, tempeh, azuki, falafel, proteine vegetali ristrutturate, alghe wakame-hijiki-arame, alghe nori; (N.B.: Attenzione al SEITAN, in quanto interamente a base di glutine di grano!)
  • Legumi: lenticchie comuni o decorticate, fave, ceci, fagioli, lupini, cicerchie, soia verde, soia rossa, azuki. (Nota Bene: per chi soffre di meteorismo, i legumi setacciati o frullati sono più tollerati);
  • Tutti i tipi di pesce: (meglio se non coltivato): alici, aragosta, astice, baccalà, calamaro, cefalo, cernia, coccio (gallinella), dentice, gamberi, merluzzo, orata, pesce bandiera, polpo, ricciola, salmone fresco, sarde, scorfano, seppia, sgombro, sogliola, spada, spigola (branzino), stoccafisso, tonno, triglia;
  • Tutti i tipi di carne: manzo, coniglio, pollo, tacchino, vitello, agnello, maiale, capretto, bufalo, cavallo;(se è possibile usare carne biologica di animali al pascolo);
  • Uova: le uova non influenzano l’aumento dei lipidi ematici. L’aumento del colesterolo e i trigliceridi dipendono dai farinacei, dai dolci e dai grassi animali, non dalle uova. L’uovo è una cellula ed è “l’alimento completo” per antonomasia, poiché possiede le proteine con più alto valore biologico;
  • Affettati: prosciutto crudo, fesa di pollo, speck, prosciutto cotto, fesa di tacchino, bresaola;
  • Formaggi stagionati oltre 30 mesi: (parmigiano, pecorino, caprino), da 1 a 3 porzioni a settimana. 30/50gr. ricotta di solo siero – di fuscella, primo sale, gorgonzola;
  • Tutte le verdure e ortaggi: (preferibilmente crude e poco cotte).
ESEMPIO DI UNA SETTIMANA DI DIETA

Colazione:

  • 1 tazza di latte (senza lattosio) o intero (meglio dare la priorità a latte vegetale come latte d’avena, di cocco o di mandorle)

Oppure:

  • al posto del latte, 1 yogurt greco intero ma senza zuccheri o 1 yogurt di latte di cocco

Oppure:

  • (se non si ama yogurt o latte), assumere una spremuta di arance (o frullato di frutta fresca) + caffè o una tazza d’orzo o un the o una tisana a piacere.

Aggiungere:

  • 40 gr di fibre integrali (tipo crusca di grano o crusca di avena o All-Bran o fiocchi di avena.

Oppure:

  • una fetta di pane integrale tostato (l’ideale sarebbe un tozzo di pane integrale rappreso, cioè vecchio di 3-4 giorni, ammorbidito nel latte caldo, contiene amido retrogradato necessario per la flora del colon) con olio EVO.

Oppure:

  • prosciutto (crudo o cotto) o un tocchetto di parmigiano + 2 kiwi + caffè.

Oppure:

  • 1 uovo sodo o a stracciatella + 1 frutto (un paio di volte a settimana) + caffè

Spuntino mattutino:

  • 1 arancia o 2 mandarini o 2 kiwi + una manciata di semi di girasole o altri semi a piacere,

Oppure:

  •  una decina di nocciole o mandorle.

Spuntino metà pomeriggio:

  • Frutti di bosco (vanno bene anche quelli congelati) + 7 mandorle o 3 noci o 10 nocciole + un the o tisana piacere;

Scelta di pranzi:

(Associare sempre alle pietanze verdure cotte o crude condite con olio extravergine di oliva e limone (per l’assorbimento delle vitamine) più:

  • (1 – 2 volte a settimana) zuppa di cereali misti a ortaggi (riso, orzo, quinoa, avena + ortaggi a piacere)

Oppure:

  • (due volte a settimana) tonno all’olio o pesce fresco (sarde, alici, merluzzo, sgombro) o surgelato (nasello, merluzzo platessa)

Oppure:

  • (1 volta a settimana), un hamburger di vitello o di pollo o suino

Oppure:

  • (2 volta a settimana) scelta di zuppa di legumi assoluti.

Scelte di cene:

  • verdure cotte o crude a piacere sempre condite con al massimo 1 cucchiaio di olio di oliva

Più:

  • (2 – 3 volte a settimana) pesce: lesso o all’acqua pazza o al forno condito con pochissimo olio e limone;

Oppure:

  • (2 volte a settimana) carne: tacchino alla piastra o a straccetti con zenzero e curcuma e pepe; o pollo al forno senza pelle; o insalata di pollo con verdure; o carne di vitello ai ferri (la classica paillard)
  • (1-2 volte a settimana) 2 uova a frittata con tanti ortaggi;
  • (1 volta a settimana) Primosale o ricotta o parmigiano o gorgonzola con verdura a piacere;

Infine, come ultima opzione:

  • minestroni o vellutate (tutte le volte che lo si desidera – piatto jolly)

Snack dopo cena:

  • un pugnetto di frutta secca

Oppure:

  • qualche tocchetto di cioccolato al 70%.

 

 

 

 

23Feb

LATTE E INTOLLERANZA AL LATTOSIO 

Noi siamo la sola specie che, in età adulta, beve il latte di altri animali; forse è per questo che l’intolleranza al lattosio è così diffusa tra gli esseri umani. – Jeffrey Moussaieff Masson

INTOLLERANZA AL LATTOSIO

Si definisce “intolleranza al lattosio” l’insieme dei sintomi che possono presentarsi per l’incapacità di digerire il lattosio, il principale zucchero contenuto nel latte, causata da una carenza di lattasi, l’enzima che scinde il lattosio in zuccheri semplici che vengono poi assorbiti dal tratto gastrointestinale. 

Non tutte le persone che hanno una carenza di lattasi sviluppano necessariamente i sintomi clinicamente rilevanti, ma coloro che li sviluppano vengono definiti “intolleranti al lattosio”.

La domanda più frequente che mi si fa è: “Abbiamo bevuto latte per una vita, perché adesso ci fa tanto male?” La risposta è semplice, e non è un luogo comune o una frase fatta: non beviamo più il latte di una volta.

Il latte vaccino è un alimento ricchissimo di sostanze nutritive, per questo motivo fa crescere i vitellini in pochi mesi. Ma negli ultimi anni purtroppo è cambiato, quello in commercio oggi contiene, oltre agli ormoni, i cosiddetti fattori di crescita, che vengono usati per far aumentare la capacità della mucca di produrre grosse quantità di latte giornaliero, quindi è un latte “rafforzato”. Anche la caseina, la parte proteica del latte, è aumentata di concentrazione. 

Ricordiamo che la caseina lattica è poco solubile in acqua, ma solubile nei sali a reazione basica o negli alcali, con i quali si ottiene il caseinato di ammonio, utilizzato come legante per pitture murali e per il consolidamento della pellicola pittorica. Il caseinato di calcio, invece, è una colla molto tenace con un forte potere adesivo che risulta irreversibile dopo breve tempo e resistente all’acqua.

Possiamo ben intuire quanto un grosso quantitativo di caseina giornaliero non faccia affatto bene, comportandosi come una colla nei nostri villi intestinali. Inoltre bisogna dire che siamo gli unici mammiferi a bere, in età adulta, il latte di un’altra specie. Certamente per il neonato è un alimento completo, necessario alla crescita, ma la natura ha deciso che dopo lo svezzamento la lattasi subisce una pesante riduzione fisiologica. È quindi  utile ridurre il consumo di latte, con la crescita, per evitare i disturbi gastrointestinali, tipici dell’intolleranza. 

E’ anche vero, però, che la lattasi è un enzima inducibile, cioè la cui produzione da parte del nostro organismo è stimolata da un’assunzione costante nel tempo; quindi anche grazie alla nostra tradizione culinaria, la maggior parte della popolazione riesce a scavalcare i segni dell’intolleranza anche da adulto, ma sicuramente va usato con parsimonia.

Riguardo all’intolleranza al lattosio, cioè alla condizione in cui l’adulto non riesce a produrre lattosio neanche sotto induzione, in tal caso i sintomi più comuni si manifestano a livello gastrointestinale: dolore addominale, crampi addominali diffusi, gonfiore e tensione intestinale, aumento della peristalsi con borborigmi facilmente auscultabili e con movimenti talora palpabili, meteorismo, flatulenza e diarrea con feci poltacee, acquose, acide, che insorgono da 1 a poche ore dopo l’ingestione di latte o latticini o comunque di alimenti contenenti lattosio.

PER FARE DIAGNOSI SONO NECESSARI ESAMI DIAGNOSTICI DI LABORATORIO

Fra i test diagnostici non invasivi, particolare importanza assume il Breath Test all’Idrogeno. Il meccanismo su cui si basa il “test del respiro” è semplice: il malassorbimento del lattosio porta alla fermentazione dello zucchero da parte della flora batterica intestinale con produzione di idrogeno che viene assorbito nel sangue ed eliminato attraverso i polmoni. Il malassorbimento del lattosio può quindi essere dimostrato dall’aumento della quantità di idrogeno esalato dopo un carico orale di 20 gr di lattosio. Tale test è altamente specifico, di facile esecuzione e di costo contenuto e rappresenta attualmente il test di prima scelta nella diagnosi di intolleranza al lattosio. 

Fra le procedure invasive ricordiamo la biopsia della mucosa del piccolo intestino, quasi mai necessaria per la diagnosi di intolleranza al lattosio, ma utile per individuare malassorbimenti da causa non chiara.

IL CARDINE DELLA TERAPIA È LA DIETA A RIDOTTO CONTENUTO DI LATTOSIO

La quantità di lattosio tollerata dai vari soggetti è variabile, pertanto è opportuno eliminare gradualmente gli alimenti iniziando da quelli a più alto contenuto in lattosio (latte, yogurt, formaggi freschi) in modo da valutare la soglia di tolleranza del paziente. Tali alimenti possono essere sostituiti con alimenti analoghi privi di lattosio che attualmente si trovano in commercio con facilità.

Ove non sia possibile l’eliminazione di alcuni alimenti contenenti lattosio, è disponibile una Lattasi in compresse, che ingerita insieme al cibo aiuta nella digestione del lattosio. Una compressa di Lattasi digerisce fino a 5 g di Lattosio e cioè il contenuto di 100 ml di latte vaccino.

Anche se i sintomi sono direttamente correlati alla quantità di lattosio ingerito, è bene sapere che il lattosio non è contenuto solo nel latte e nei suoi derivati freschi, ma anche, sebbene in piccole quantità, in alcuni tipi di pane, dolci da forno (ciambelloni e simili), cereali, margarine, caramelle, merendine, salami, ecc. E’ importante quindi imparare a leggere la composizione degli alimenti presente sulle etichette dei prodotti.

INTOLLERANZA AL LATTE: CIBI “SI” E CIBI “NO”

Yogurt: NI

Lo yogurt è generalmente ben tollerato da chi non digerisce il lattosio. Fanno eccezione i tipi ‘con l’aggiunta di panna’. Per chi non riesce a mangiarlo ci sono invece in commercio moltissimi tipi a base vegetale.

Prosciutto cotto: NO

È l’insaccato che contiene più lattosio. Ma bisogna fare attenzione anche al salame, al tacchino al forno, alle salsicce e alla carne di maiale in genere. Il lattosio, usato come conservante, non altera il gusto di questi cibi e anzi ne esalta la colorazione.

Prosciutto crudo: SI

Via libera al prosciutto crudo. L’unico insaccato, assieme alla bresaola (sia di manzo che di cavallo) che non viene trattato con lattosio.

Latte di riso, di mandorla, di cocco: SI

Il sapore non è esattamente quello del latte ‘vero’ però questi prodotti vegetali sono un’alternativa per chi non riesce proprio a rinunciare al caffellatte. Ottimi anche per preparare creme e dolci. Un po’ meno per le salse salate come la besciamella.

Formaggi freschi: NO

Più un formaggio è fresco e più lattosio contiene. Addio quindi a mozzarella, ricotta, stracchino e a tutti i latticini a pasta morbida. In molti supermercati si possono però trovare degli ottimi sostituti ‘lattosio free’. Il colore, il gusto e la consistenza sono gli stessi, quello che cambia è la digeribilità.

Formaggi stagionati: NI

La stagionatura ‘uccide’ il lattosio (MA NON SEMPRE CI RIESCE) e rende quindi i formaggi invecchiati digeribili da (quasi) tutti gli intolleranti. Unica regola: scegliere una stagionatura dai 30 mesi in su.

Brioches: NO

Gli intolleranti al lattosio devono rinunciare alla colazione al bar. Cornetti e brioches contengono infatti grandi quantità di burro.

Pane e pasta: SI

Il pane non contiene lattosio. E nemmeno la pasta. Meglio però scegliere quello comune, integrale o di grano duro. Bisogna fare attenzione invece a quello ‘ai gusti’. Dentro la pagnottina alle noci, alla zucca o alle olive potrebbe nascondersi infatti un po’ di latte.

Biscotti e dolci: NO

Burro, latte, panna sono alcuni degli ingredienti principali di tutti i prodotti da forno e di pasticceria. Per gli intolleranti al lattosio l’unica soluzione è preparare i dolci in casa sostituendo il burro classico con il burro chiarificato (GHEE), con l’olio d’oliva o di avocado. Nei supermercati si trovano inoltre biscotti e brioches senza questo allergene.

Cioccolato fondente: SI

Che sia con le nocciole, gli anacardi o il peperoncino, il cioccolato fondente non crea nessun problema agli intolleranti. Vietato invece quello al gusto gianduia e tutti gli snack a base di cioccolato. Questi prodotti utilizzano infatti il tipo al latte.

Gelato: NO

No alle creme, sì alla frutta. Il gelato può essere gustato anche dagli intolleranti a patto di scegliere i gusti ‘sorbetto’. Quelli prodotti, cioè, solo con acqua. Tra questi ci sono (quasi) tutti i gusti alla frutta (eccezioni sono ad esempio quello al cocco o alla banana) e spesso anche il cioccolato extra fondente.

Brodo: SI

Via libera al brodo ‘della nonna‘, quello fatto con carne e verdure. Attenzione invece a quello che si trova al supermercato. Il brodo in formato ‘dado’ non contiene (quasi) mai lattosio mentre quello granulare è da bandire. Attenzione anche quando si va al ristorante: il brodo granulare è usato in moltissime preparazioni per insaporire i cibi.

La cucina cinese: SI

L’unico formaggio che si trova nelle ricette cinesi è il tofu. Il latte e i formaggi non fanno parte della loro alimentazione. Via libera anche alla cucina etnica che proviene dall’africa e a molti piatti della cucina indiana.

Farmaci: NI

Il lattosio è uno dei principali eccipienti della maggior parte dei farmaci in commercio. Chi soffre di intolleranza deve quindi chiedere consiglio al medico o al farmacista prima di assumere una medicina, soprattutto se dovrà prenderla (come nel caso dell’antibiotico) per un periodo prolungato. Vietati anche i prodotti omeopatici in granuli. Questi farmaci contengono lattosio in percentuali che arrivano fino al 95%.

ALLERGIA ALLA PROTEINA DEL LATTE – CASEINA E SIERO DEL LATTE

Il latte è un allergene alimentare noto e comune. È considerato un “allergene prioritario” e deve essere dichiarato sulle etichette dei cibi. Cosa sono gli allergeni nel latte? Avete sentito parlare di “caglio” e “siero del latte”? Queste sono le due proteine principali presenti nel latte. Le parti solide sono il caglio (fatto di caseina) e il liquido è siero del latte dissolto.

A differenza dell’intolleranza al lattosio, la caseina e il siero del latte possono causare una vera e propria risposta immunitaria. Un’allergia. E questa risposta immunitaria può causare infiammazione. Infatti, non sappiamo quante persone mostrano queste allergie al latte, ma la maggior parte delle stime pone questo numero ben al di sotto dell’intolleranza al lattosio. Come il lattosio, queste proteine del latte allergeniche si trovano anche in altri prodotti. Non sono solo nei latticini ma spesso anche nelle proteine in polvere (mai sentito “proteine del siero del latte in polvere”?).

Alcuni dei sintomi dell’allergia alle proteine del latte differiscono da quelli dell’intolleranza al lattosio, cose come congestione nasale e muco sono più comuni in questo caso. E la caseina sembra anche essere collegata al grasso viscerale.

È interessante il fatto che diverse persone che mostrano intolleranza al glutine sono spesso anche allergiche alle proteine del latte come siero del latte e caseina. Questi due disturbi sembrano essere collegati. Proprio come l’intolleranza al lattosio, se avete un’allergia alla caseina e al siero del latte tenete d’occhio le etichette in modo da evitarli.

CONCLUSIONE

Se avete gas, gonfiore o diarrea dopo aver consumato latticini, potreste avere un’intolleranza al lattosio. Se invece avete naso chiuso e muco, allora potreste essere allergici alla caseina e/o al siero del latte.

Benché i latticini rappresentino un intero gruppo alimentare, non si tratta di nutrienti essenziali. Tutti i nutrienti che si trovano nei latticini sono disponibili anche in altri cibi. Se avete questi sintomi, potete cercare di rimuovere i latticini dalla vostra dieta. Potreste vedere migliorare la digestione e i problemi intestinali. Oppure potreste vedere migliorare la congestione nasale o anche diminuire il grasso viscerale.

ALCUNI VALIDI E PREZIOSI ALIMENTI SOSTITUTIVI DEL LATTE E DEI SUOI DERIVATI

  • GHEE – BURRO CHIARIFICATO: prezioso alimento facente parte della tradizione ayurvedica, viene scaldato a fuoco lento per eliminare l’acqua, le proteine, la caseina e il lattosio. La maggior parte delle persone che hanno problemi di intolleranza al lattosio o alla caseina non hanno nessun problema con il burro chiarificato.

  • LATTE DI COCCO: la metà dei suoi grassi è composta da acido laurico, che nonostante sia un grasso saturo ha dimostrato di diminuire i livelli di colesterolo LDL (cattivo) in favore del colesterolo HDL (buono), e di avere una forte azione antibatterica e antivirale.

  • LATTE DI MANDORLA: prodotto dall’estrazione del succo delle mandorle pressate, non contiene lattosio, ha un contenuto inferiore di proteine ma è ricco di fibre, vitamina E, magnesio, selenio, manganese, zinco, potassio, ferro, fosforo, calcio e tende a favorire la digestione. E’ molto utile per i muscoli e la pelle, è ricco di energia e grazie al suo basso contenuto di carboidrati non comporta l’aumento del livello degli zuccheri nel sangue.
  • BURRO DI COCCO: ricavato dalla polpa essiccata della noce di cocco, è un grande ingrediente per la cottura soprattutto per le fritture: il burro di cocco ha un punto di fumo più alto rispetto agli altri olii da cucina. Contiene alte quantità di “acido caprilico” una sostanza molto utile per combattere i funghi presenti all’interno dell’organismo: in particolare, è un ottimo rimedio contro la candida.
Burro di cocco

 

22Feb

VITAMINA D

La vitamina D è, senza ombra di dubbio, il nutriente miracoloso del secolo”. – Mike Adams

VITAMINA D – GOCCE DI SOLE

Negli ultimi 10 anni la conoscenza della vitamina D è aumentata enormemente, quella che per decenni si riteneva una semplice vitamina utile unicamente alla salute delle ossa, si è rilevata invece una sostanza essenziale che gioca un ruolo importantissimo per l’intero organismo. 

In realtà essa non è una vitamina nel senso stretto del termine, ma è un potentissimo ormone steroideo che viene prodotto quando la pelle viene colpita da una quantità adeguata di luce solare (ultravioletta) e viene poi attivata a livello del fegato e reni, ma il problema odierno è che siamo sempre meno esposti alla luce solare. Quasi l’intera vita oggi viene trascorsa in ambienti chiusi e ogni qualvolta ci esponiamo al sole stiamo attentissimi a proteggerci con filtri solari sempre più alti. La carenza di vitamina D è oggi universale e colpisce la quasi totalità della popolazione mondiale, specie nei paesi al di sopra del 35º parallelo, come l’Italia. 

L’azione della vitamina D è talmente ramificata che è quasi impossibile conoscerne la sua reale e più profonda funzione. Sappiamo che è una vitamina liposolubile come la A, la E e la K, cioè trasportata dai grassi. E’ prodotta dalla pelle che la sintetizza dal precursore 7-deidrocolesterolo grazie all’azione della luce solare. Per produrre la quantità di vitamina D necessaria al nostro organismo sono sufficienti 15 minuti al giorno di esposizione alla luce del sole. 

Le due più importanti forme sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo): la prima è di provenienza vegetale, la seconda (D3), derivante dal colesterolo, è sintetizzata in autonomia negli organismi animali. 

La vitamina D è presente nell’organismo in una forma biologicamente non attiva e deve subire, grazie proprio all’esposizione solare, due reazioni di idrossilazione per essere trasformata nella forma attiva: il calcitriolo. La trasformazione avviene nel fegato per poi passare in circolo nell’organismo, interagisce poi con le cellule intestinali per stimolare l’assorbimento del calcio e mantenere stabili i suoi livelli ematici e le ossa forti e robuste, infatti è proprio questa la funzione principale della vitamina D, favorire l’assorbimento del calcio, è dunque necessaria per una corretta mineralizzazione delle ossa e dei denti, ed indispensabile per la crescita e il rimodellamento osseo. 

Una grave carenza di vitamina D può causare quindi rachitismo nei bambini (lo scheletro non si sviluppa in modo corretto in quanto il tessuto osseo non è correttamente mineralizzato) e osteomalacia negli adulti (dolori alle ossa e ai muscoli, debolezza muscolare, fragilità delle ossa). Fino a poco tempo si pensava che questa fosse l’unica proprietà di questo nutriente, la sua azione è, invece, veramente trasversale, non c’è un meccanismo metabolico in cui non entri in gioco la vitamina D. 

Ora sappiamo che una persona normale deve possedere livelli ematici di vitamina D pari ad almeno 30 mg/ml per poter ottimizzare la capacità del corpo di assorbire il calcio, ma i valori devono essere più alti per far sì che la vitamina D esplichi tutte le altre funzioni. 

DOVE SI TROVA LA VITAMINA D

La vitamina D è presente nel pesce come trota, sogliola, sgombro, salmone, pesce spada, storione, tonno e sardine, nelle uova (in particolare nel tuorlo), nel latte, nel burro, nelle carni come pollo, anatra e tacchino. Tuttavia, gli alimenti di origine animale non sono gli unici ad essere caratterizzati da un’elevata quantità di vitamina D. E’ presente anche nei cereali integrali (purtroppo l’industria e la grande distribuzione preferiscono la farina 00 perché di difficile deperimento), nei legumi, nella verdura a foglia larga e nei funghi, ma per facilitarne l’assimilazione è consigliabile l’esposizione quotidiana al sole, anche per una quantità di tempo limitata e con le dovute attenzioni per la salute della pelle. Quindi le fonti grazie a cui il nostro organismo può ottenere vitamina D sono essenzialmente l’alimentazione e l’esposizione solare. 

Non sempre ci si rende conto di essere soggetti ad una possibile carenza di vitamina D fino a quando essa non viene diagnosticata (solitamente con un esame del sangue che dosa il quantitativo di vitamina D3). I soggetti maggiormente esposti ad una carenza di vitamina D sono rappresentati da coloro che non fanno sport all’aria aperta e da chi non ne assume tramite le fonti alimentari. 

Esporre al sole almeno il viso, le braccia e le mani per 60 minuti al giorno, ovviamente con le dovute cautele e in orari in cui il sole non si trova a picco, è una delle indicazioni di base degli esperti per permettere al nostro organismo di sintetizzare vitamina D grazie alla luce naturale. In qualsiasi stagione possiamo trarre vantaggio dalle giornate soleggiate. Tutti dovrebbero comunque cercare di trascorrere più tempo all’aria aperta per favorire il proprio benessere generale. 

Tra i sintomi più comuni della carenza di vitamina D troviamo dolori alle ossa e debolezza muscolare. Per la maggior parte delle persone tali sintomi potrebbero essere così lievi e sottili da non destare alcun campanello d’allarme. Da non sottovalutare tra i sintomi della carenza di vitamina D: umore altalenante, tristezza immotivata (che potrebbe essere dovuta a bassi livelli di serotonina) e sudorazione delle mani apparentemente ingiustificata (ma considerata uno dei sintomi più frequenti della carenza di vitamina D). Inoltre una sua carenza potrebbe peggiorare i problemi cardiaci, la depressione, le psicosi, l’asma nei bambini e i disturbi cognitivi negli anziani. 

Non esistono alimenti di uso comune che possono provocare un sovradosaggio di vitamina D. I casi di intossicazione si possono verificare a seguito di un’integrazione errata (anche con olio di fegato di merluzzo) o di ipersomministrazione di vitamina D a scopo terapeutico. I sintomi possono essere generici come per esempio nausea, diarrea e debolezza, oppure più specifici come ipercalcemia, nefrocalcinosi e calcificazione dei tessuti molli. 

Il fabbisogno giornaliero di vitamina D è fissato per gli adulti in una quantità tra 0 e 10 microgrammi per i maschi dagli 11 ai 59 anni e tra 0 e 15 per le femmine dagli 11 anni in su (10 mcg in gravidanza). Sopra i 60 anni aumenta il rischio di carenza, la quantità giornaliera deve essere quindi portata a 10 mcg. Particolarmente importante, infine, un’integrazione per le donne in menopausa.

22Feb

GLUTINE E GRANO CRESO

“Il glutine è il tabacco di questa generazione”. – David Perlmutter

IL GRANO CHE CAMBIA

Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma era ad alto fusto e facilmente si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.

Nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Era più resistente agli allettamenti (abbassamenti) dovuti a vento e pioggia, questo permise di ottenere una varietà dalla resa agricola più elevata e più resistente agli attacchi di funghi e malattie.

Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci.

Il grano creso ebbe un’ampia diffusione negli anni 80 e 90, in alcuni stati come Australia, Cina, Usa, Canada e Argentina è stato usato largamente nei programmi di miglioramento genetico.
Proprio per il fatto che questa varietà non è frutto di una selezione naturale messa in atto da qualche geniale agricoltore, ma tutta “made in laboratorio”, sono sorte non poche preoccupazioni e diffidenze, soprattutto per il largo impiego che ne è stato fatto gli scorsi decenni. Attualmente è aperta anche una diatriba sul fatto che il grano creso e i suoi derivati possano aver giocato un ruolo non indifferente nell’aumento di casi di celiachia ed intolleranze al frumento.

COSA SONO I RAGGI GAMMA

I raggi gamma (γ) sono una forma di radiazione elettromagnetica più penetrante sia della radiazione alfa sia della radiazione beta, ma meno ionizzante.

I raggi gamma si distinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni nucleari o subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizioni energetiche dovute ad elettroni in rapido movimento. I raggi gamma producono effetti simili a quelli dei raggi X come ustioni, forme di cancro e mutazioni genetiche.

I raggi gamma possiedono una capacità battericida che li rende utili nella sterilizzazione delle confezioni alimentari e delle apparecchiature mediche;

Sono usati, inoltre, per alcuni esami diagnostici di medicina nucleare, come ad esempio la tomografia ad emissione di positroni (PET).

I PERICOLI NASCOSTI DEL GRANO

Sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive. Le moderne selezioni hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico.

Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate.

IL GRANO CHE ARRIVA SULLE NOSTRE TAVOLE NON È SOLTANTO IL CRESO

Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche grani meno costosi, proveniente dai granai dell’Unione Sovietica, del Canada o degli Stati Uniti.

Dal 1992 l’Italia importa circa il 60% della farina dall’America settentrionale e dall’Ucraina. Solo apparentemente le caratteristiche organolettiche di queste farine sono uguali a quelle di produzione italiana perché il grano deve viaggiare per lunghi periodi, stivato nelle navi o su treni merci. Quindi, oltre ad aver subito durante la coltivazione trattamenti a base di antiparassitari, diserbanti e pesticidi, deve essere ripetutamente trattato durante il viaggio, per evitare la distruzione delle stesse granaglie ad opera di topi e infestazioni varie. Si può facilmente immaginare quali siano le caratteristiche biochimiche del prodotto che arriva sugli scaffali del supermercato e successivamente a contatto con la mucosa intestinale.

Inoltre, la varietà “Manitoba”, importata soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti, possiede 28 coppie di cromosomi in ogni cellula. Per millenni, nell’ambito del bacino del Mediterraneo e nei paesi limitrofi, si è coltivato frumento e varietà dello stesso, con un corredo cromosomico pari a 14 (grano antico, spontaneo, siro-persiano) o, come nel farro, 42 cromosomi per cellula. Questa variabilità genetica potrebbe contribuire a scatenare reazioni allergiche, disordini immunitari, intolleranze al frumento.

Se si combinano grano Creso e farina 00 il potenziale dannoso aumenta ancora. La farina 00 infatti si comporta anche peggio dello zucchero: fa aumentare troppo velocemente la glicemia e di conseguenza l’insulina. In questo modo aumentano i fattori di crescita che determinano gran parte dei tumori. I picchi di insulina inoltre favoriscono l’obesità.

Parte della sopravvivenza è mangiare cibi che ti nutrono e identificare quelli che ti avvelenano”. ― Steven Magee

20Feb

IL COLESTEROLO

“Le uova non aumentano il colesterolo; fanno esattamente il contrario”. – Rick Warren

COS’È IL COLESTEROLO

Il colesterolo non è un grasso, è un alcool, un composto organico appartenente alla famiglia dei lipidi steroidei. Nel nostro organismo svolge diverse funzioni biologiche, importanti ed  ESSENZIALI: è un componente FONDAMENTALE delle membrane cellulari, di cui regola fluidità e permeabilità; è il precursore della vitamina D, dei sali biliari e degli ormoni steroidei, sia maschili che femminili (testosterone, progesterone, estradiolo, cortisolo ecc.). Inoltre il colesterolo serve a nutrire il cristallino, infatti la terapia contro il colesterolo ha come effetto collaterale l’opacizzazione del cristallino. Insomma senza colesterolo non esisteremmo. 

Vi è un’esigenza di colesterolo! Per cui se non ne mangiamo abbastanza, ne produciamo di più, perché il colesterolo è vitale.

Nonostante questo ruolo biologico di primo piano, quando il colesterolo circola nel sangue in concentrazioni superiori alla norma può trasformarsi in un nemico della nostra salute.

Attenzione però, il colesterolo pericoloso è quello “ossidato”. 

In pratica per capire se siamo in una condizione di pericolo, non solo dovremo avere HDL basso, LDL alto, ma anche uno stato di infiammazione silente, evidenziato dall’esame proteina Creattiva HS (ad alta sensibilità) alterato.

Bisogna subito chiarire che il colesterolo presente nel sangue (quello che valutiamo dagli esami ematochimici) è prodotto per l’80% dal fegato, mentre solo il restante 20% lo si ricava dagli alimenti. 

Il Colesterolo non è solubile, ed ha quindi bisogno di speciali proteine che consentano di trasportarlo nel torrente ematico e “consegnarlo” ai tessuti che ne hanno bisogno. 

Queste proteine “da transito” si chiamano HDL, LDL, IDL, VLDL ed insieme al Colesterolo trasportano anche i trigliceridi (i grassi che dovrebbero servire per l’energia).

COLESTEROLO BUONO E CATTIVO

Perché si parla di “colesterolo LDL cattivo” e “colesterolo HDL buono”? 

I trigliceridi (il carburante) e il colesterolo (la struttura) viaggiano insieme. Il viaggio parte dal fegato che sintetizza il colesterolo e lo scarica via insieme ad altri grassi trasportati dalle “proteine vettura” VLDL. Mano a mano che le VLDL scaricano trigliceridi si alleggeriscono e diventano IDL.  Successivamente le IDL, finito di scaricare trigliceridi alle varie cellule incaricate di immagazzinarli o di utilizzarli per produrre energia, si trasformano in LDL ed iniziano a consegnare il colesterolo agli organi. Le HDL, invece, hanno un percorso a ritroso, trasportano il colesterolo dalla periferia al fegato. Esse si occupano di ripulire i vasi dal colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato per essere riciclato o per eliminarlo attraverso la bile. 

PROBLEMI E STILI DI VITA

La qualità e l’equilibrio tra HDL e LDL dipendono sicuramente dallo stile di vita. In relazione a questi termini vediamo dove iniziano i problemi e perché.

Abbiamo visto che le LDL trasportano il colesterolo dal fegato e lo consegnano al circolo. Ma, durante il tragitto, i radicali liberi, oppure la troppo alta concentrazione di zuccheri nel sangue, può alterarle, il “colesterolo” diventa appiccicoso, viene scaricato e aderisce sulle pareti delle vene e delle arterie, provocando placche ed arteriosclerosi. Se le placche si accumulano fino a ostruire il flusso del sangue al cuore si rischia l’infarto, mentre se l’occlusione riguarda il flusso al cervello si arriva all’ictus.

Quindi, mentre le HDL sono considerate “buone” perché hanno una struttura molecolare liscia e più grande tanto da portar via il colesterolo, rimuovendo anche parte delle placche dalle arterie, le LDL invece, per il ruolo che esercitano, si sono conquistate una bruttissima reputazione diventando quelle “cattive”, portando pessima fama anche al colesterolo.

IL COLESTEROLO E IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Bisogna innanzitutto premettere che il “colesterolo alto” è sempre una condizione ereditaria, non è mai legato a quello che si mangia ma quello che si mangia potrebbe modularne la discesa o la regolazione.

Inoltre è importante spiegare perché guardare al livello totale di colesterolo non è corretto, e soprattutto perché non dà una indicazione precisa sul livello di rischio cardiovascolare.

Utilizzare semplicemente il valore del colesterolo totale come parametro di rischio è quantomeno semplicistico. Infatti è possibile avere valori di colesterolo elevati ma con una predominanza di particelle LDL espanse, ed essere dunque a basso rischio, o avere valori di colesterolo nella norma, ma con una predominanza di particelle LDL dense (situazione molto comune) ed essere quindi ad elevato rischio cardiovascolare. Le analisi del sangue non misurano direttamente le LDL, né la concentrazione di particelle dense (pericolose) rispetto a quelle espanse (“buone”). 

Bisogna quindi indagare il colesterolo totale, quello parziale e lo stato di infiammazione silente valutato dalla PCR ad alta sensibilità.

LA REALZIONE TRA HDL E TRIGLICERIDI 

Per stabilire il grado di rischio cardiovascolare è meglio prendere in esame il livello di trigliceridi e di HDL. C’è, infatti, una relazione molto significativa tra questi due parametri.
Negli adulti, il rapporto trigliceridi/HDL-colesterolo “buono” dovrebbe essere inferiore a 2 (basta dividere il livello dei tuoi trigliceridi per il tuo colesterolo HDL).

E, poiché il colesterolo HDL (lipoproteina ad alta densità) è protettivo contro le malattie cardiache, più basso è il rapporto, migliore è la prognosi (cioè l’aspettativa di vita senza attacchi cardiaci). In altre parole, più bassi sono i tuoi trigliceridi, più alto è il tuo HDL e  più piccolo diventa questo rapporto.

I trigliceridi sono i grassi che viaggiano all’interno del nostro corpo. Sono il carburante migliore e anche quello preferito dal nostro organismo che li utilizza per far funzionare muscoli e cuore. Quando si ingerisce un’elevata quantità di carboidrati, il nostro corpo non riesce ad utilizzarli tutti insieme, si vede così costretto ad immagazzinarli. Gli zuccheri vengono quindi convertiti in grassi, trasportati sotto forma di trigliceridi ed immagazzinati nell’adipe, tra gli strati dei tessuti muscolari ed intorno e dentro agli organi. Se questa situazione è cronica, il valore dei trigliceridi nel sangue aumenta. 

In caso di insulino-resistenza le cose peggiorano ulteriormente. 

La cellulite, lo strato di grasso sull’addome e le maniglie dell’amore sono tutte una rappresentazione visiva di trigliceridi messi da parte e di insulina alta.

Per regolare quindi la sintesi del colesterolo e ridurre l’accumulo di trigliceridi bisogna mettere in atto l’evitamento delle 3P (PPP) + A: pane, pasta e pizza + alcool.

Il messaggio corretto dovrebbe essere: “Mangia meno pasta, pizza, pane, alcool e zuccheri, e il colesterolo scende!”

MENO ZUCCHERI E ALCOOL = MENO LDL DENSE 

Quando teniamo costanti e giusti i livelli di zucchero nel sangue, evitando gli amidi e i carboidrati ad alto indice glicemico, si riducono anche i trigliceridi e di conseguenza si riducono anche le LDL ad alta densità (che sono il vero rischio).

Se l’alimentazione è bilanciata, tutto va a meraviglia e il flusso di trigliceridi derivati dal cibo e da quelli estratti dalle riserve di grasso è pari a quello bruciato nei mitocondri. In questo caso le LDL presenti nel sangue sono generalmente basse.

ECCO COSA SUCCEDE CON TROPPI CARBOIDRATI

Quando invece l’alimentazione è ricca di carboidrati (ad esempio quando mangiate un piatto di pasta col formaggio o una pizza), l’insulina viene stimolata in maniera eccessiva, il che comporta l’immagazzinamento degli zuccheri in eccesso sotto forma di adipe, l’aumento di trigliceridi e di LDL ad alta densità.

PIÙ INSULINA = PIÙ COLESTEROLO 

L’insulina influenza i livelli di lipidi ematici (la quantità di trigliceridi nel sangue) anche in maniera diretta: alti livelli di insulina (indotti dai troppi carboidrati sfavorevoli) aumentano la produzione dell’enzima HMG-CoA riduttasi, uno degli enzimi deputati alla produzione di colesterolo nel fegato.

INDICAZIONI ALIMENTARI DA SEGUIRE PER RIDURRE IL COLESTEROLO

Innanzitutto bisogna mangiare, mangiare bene, ma mangiare! Perché il colesterolo si alza molto nel digiuno. Gli anoressici, infatti, hanno il colesterolo altissimo! In pratica il corpo sintetizza in eccesso quello che gli serve quando non gli viene dato dall’esterno. 

Per incrementare poi i livelli di HDL si devono mangiare grassi di buona qualità, come gli omega-3 del pesce, ridurre i grassi che contengono gli omega-6, EVITANDO ad esempio le carni rosse e grasse. 

Basta capire che mangiando i cibi giusti non è poi così impossibile tenere a bada il colesterolo e i trigliceridi, e poi è molto importante non commettere quel grave errore di seguire delle diete povere di nutrienti, perché nessuna dieta può essere definita salutare se essa comprende fame e privazione di cibo, e non c’è bisogno di escludere nessun gruppo di cibi: al nostro corpo servono i carboidrati, le proteine, gli zuccheri, le vitamine, tutto, purché non in quantità eccessive, ecco perché non possiamo eliminare niente di ciò che mangiamo, ma possiamo sostituirli con altri alimenti dello stesso gruppo alimentare, che però hanno un basso contenuto di zuccheri e grassi. 

Per abbassare i grassi bisogna cambiare lo stile alimentare non lo stile di vita, perché non siamo debilitati o malati, dobbiamo solo prevenire!

I farmaci che abbassano il colesterolo non possono apportare tutti i benefici tipici di un’alimentazione sana. Non riducono infatti il girovita né la pressione arteriosa. Non contengono fibre né vitamine. Quindi, sebbene in certi casi possano essere utili, non possono sostituire un sano riordino della dispensa e del frigorifero”. – Neal Barnard

17Feb

IODIO E TIROIDE

“Una dieta carente di iodio può portare a ritardo mentale, gozzo o disturbi della tiroide. Il sale iodato è la misura preventiva più efficace utilizzata per controllare la carenza di iodio”. – Medindia

COS’È LO IODIO

Lo iodio è un elemento chimico. Il nome deriva dal greco antico e ha come significato viola o violetto a causa del colore dei vapori irritanti dell’elemento. E’ stato scoperto nel 1811, è diffuso in natura ma, sempre di più, presente in percentuali molto ridotte. Si trova nelle acque marine come iodato di sodio. 

È apparso sulla Terra in epoche più recenti rispetto ad altri elementi chimici e perciò si è depositato sulla superficie delle rocce e del suolo, al di sopra dello stato lavico profondo. Nel tempo, è stato lavato via dalle piogge e portato verso il mare, per questo ne possiede concentrazioni più elevate. Una piccola risiede anche nei terreni, dove viene assorbito dalle piante. 

EFFETTI SULLA TIROIDE

Lo Iodio, utilizzato anche come disinfettante, nella tintura di iodio, svolge un’importante azione preventiva nei confronti di una serie di malattie, tra cui principalmente quelle tiroidee. L’organismo umano infatti concentra lo iodio nella tiroide, dove entra nella formulazione di due ormoni, triiodiotironina (T3Tirosina con 3 atomi di iodio) e tiroxina (T4Tirosina con 4 atomi di iodio), regolatori di alcune funzioni metaboliche, tra cui lo sviluppo del sistema nervoso centrale, le attività cardiovascolari e l’accrescimento corporeo. 

Un buon funzionamento della tiroide è, quindi, alla base di una buona qualità della vita. Purtroppo sempre più persone soffrono di disturbi tiroidei e, purtroppo, non sempre è conclamata la diagnosi. 

Quasi sempre un problema di ipotiroidismo è facilmente identificabile con esami specifici (dosaggi di TSH – FT3 – FT4) e con l’ecografia. Oggi è frequente diagnosticare una tiroidite cronica autoimmune, detta anche tiroidite di Hashimoto, dove si creano autoanticorpi che non riconoscono la ghiandola tiroidea come self e di conseguenza la attaccano.

In tantissimi altri casi le cose non sono invece così semplici. 

Il problema non è una quantità insufficiente di ormoni circolanti ma una difficoltà nel loro metabolismo (ridotta conversione T4→T3). Infatti l’ormone T4, nel fegato, perde un atomo di iodio e diventa T3, che è la parte attiva dell’ormone, cioè il T3 tiene in vita tutti i processi metabolici. Quindi una normale produzione di ormoni, ma una ridotta conversione in T3, produce comunque un ipotiroidismo. 

In tal caso ci troviamo difronte a pazienti che, hanno gli esami nel range di normalità, ma vagano da un medico all’altro senza che nessuno sembri capire cos’hanno che non va. Continuano a non stare bene e tutto si attribuisce allo stress, all’ansia, oppure agli anni che passano. 

SINTOMI DA CARENZA DI IODIO

Questi sono alcuni dei sintomi che spesso questi pazienti lamentano: cefalea, stanchezza fisica e mentale, umore malinconico o depresso, difficoltà di concentrazione, peso che aumenta o che non cala, colesterolo che resta alto nonostante la dieta, freddolosità esagerata, pelle secca, unghie fragili, perdita di capelli, gonfiore agli occhi, al viso e alle dita spesso soprattutto al mattino, stitichezza e cattiva digestione, frequenti malattie da raffreddamento, cefalea, allergie, mestruazioni irregolari o dolorose, dolori muscolari e articolari, ecc.

Un test per capire se si è in ipotiroidismo, che si può fare comodamente a casa, consiste nel misurare la temperatura sublinguale, al risveglio tra le 7 e le 8 , per 6 giorni consecutivi, in stato di riposo assoluto e prima di alzarsi. Se la temperatura è inferiore a 36,4 C° è possibile che si è in presenza di un certo grado di ipotiroidismo che andrà comunque CONFERMATO DAL MEDICO. 

PREVENZIONE

Per prevenire questi disturbi bisogna essere certi di assumere abbastanza iodio. L’ipotiroidismo silente, infatti, oltre che all’inquinamento atmosferico (il grado radioattivo dell’aria è molto aumentato) può dipendere semplicemente da una carenza di iodio. 

In una persona sana, il fabbisogno giornaliero di iodio è di 150 microgrammi, quantità che aumenta in gravidanza (il feto ha bisogno di iodio per sviluppare il sistema nervoso) e durante l’allattamento, fino a 250-300 microgrammi. 

DOVE SI TROVA

Sfatiamo subito un mito: nell’aria dei nostri mari non c’è più la stessa quantità di iodio di prima. In molti pensano che basti una passeggiata in riva al mare per fare il pieno di questo importante minerale, ma purtroppo non è così. Lo iodio si assume solo attraverso gli alimenti, in particolare il pescato marino, e la carenza è sostanzialmente dovuta all’impoverimento di iodio nei nostri mari e ad un’errata alimentazione. Non è sufficiente inspirare la brezza della battigia, perché la quantità di iodio che evapora dal mare e che l’organismo assorbe è purtroppo esigua.

La fonte principale di iodio per l’organismo umano è rappresentata dagli alimenti, dalle orate ai saraghi, o i crostacei, per esempio i gamberi e i molluschi, come le vongole e i calamari. Tutti i pesci contengono iodio perché l’assorbono. Allo stesso modo i pesci dei mari del Nord forniscono quantità importanti del micronutriente, tra questi la platessa, che è tra i surgelati più diffusi e che sotto zero non perde lo iodio. Anche le verdure del mare, le alghe (kelp, nori, kombu, wakame,…), apportano iodio. Molto! Se piacciono, possono entrare a far parte dei menù. Sono abbondanti nei pasti dei giapponesi che, infatti, non hanno problemi di gozzo. 

Anche il latte, le uova e le verdure contengono una piccola quantità di iodio, concentrazioni variabili in base alla ricchezza dello stesso nel terreno, in ogni caso non sufficiente a sopperire il fabbisogno giornaliero.

È quindi facilmente intuibile il fatto che, chi non mangia pesce o alghe, assumi molto poco iodio e quanto, di conseguenza, la tiroide possa soffrirne.

Per fortuna da anni è presente sulle nostre tavole il sale iodato. La Legge n. 55/2005 prevede interventi di iodoprofilassi, mentre dal 2009 c’è l’obbligo di verificare l’uso del sale iodato nelle mense scolastiche. In Italia c’è stato quindi un miglioramento dell’assunzione di iodio rispetto al passato, ma comunque non sufficiente in quanto ne persiste una carenza nutrizionale che determina ancora un’alta frequenza di gozzo e di altri disordini correlati. 

In definitiva bisogna essere certi di assumere nutrienti specifici (quali selenio, zinco, iodio, vitamina D, ecc.) il tutto per nutrire e stimolare la ghiandola tiroidea, affinché questa possa produrre in maniera ottimale i suoi ormoni e soprattutto perché questi vengano poi adeguatamente metabolizzati.

15Feb

MICROBIOTA

Tutte le malattie hanno origine nellintestino. – Ippocrate, 460-370 a.C.

COS’È IL MICROBIOTA E PERCHÈ È COSÌ IMPORTANTE PER LA SALUTE

È l’insieme dei microrganismi contenuti nell’intestino umano, capaci di sintetizzare per noi vitamine e altre sostanze che aiutano il nostro organismo a svolgere le proprie funzioni quotidiane, come ostacolare l’attacco di potenziali patogeni e allergeni o supportare la peristalsi intestinale. Il fatto sorprendente è che questa enorme quantità di batteri non lavora da sola ma è in continua comunicazione con le nostre cellule, in modo da agire proprio a seconda di quello che succede nel nostro organismo.

Il microbiota è costituito prevalentemente da batteri, oltre a lievitiparassiti e virus. Quando queste comunità vivono in equilibrio vi è una condizione definita di eubiosi. Questa è molto importante perché permette alle varie componenti del microbiota intestinale di essere funzionalmente efficaci e soprattutto di essere sincronizzate sia tra loro, sia con gli altri componenti dell’ecosistema intestinale.

In base al numero di cellule, siamo composti al 90% da microbi e solo per il 10% da cellule umane, con buona pace dei maniaci dell’igiene e degli ipocondriaci. Uno dei campi di ricerca più interessante di questo nuovo millennio, è proprio capire come si comporta questo 90% di microrganismi e come interagisce col restante 10% delle nostre cellule.

DA CHE COSA SONO COMPOSTE QUESTE COMUNITÀ BATTERICHE?

I batteri intestinali principali vengono chiamati: Firmicutes, Bacteroides, Proteobacteria e Actinobacteria.

I Firmicutes e i Bacteroides rappresentano circa il 90% e negli ultimi anni la ricerca ha dimostrato come il variare del rapporto tra queste componenti faciliti e promuova uno stato di disbiosi che può essere correlata a malattie non soltanto dell’apparato digerente, ma anche, solo per citarne alcune, a diabete e obesità, dermatite, patologie cardiovascolari, Alzheimer, Parkinson o addirittura a malattie sistemiche.

SUPERBATTERI

Il microbiota intestinale è costituito sia da batteri benefici sia da batteri nocivi, che è importante mantenere in costante equilibrio. I batteri benefici svolgono una serie di azioni positive:

  • Modulano il sistema immunitario
  • Inibiscono la crescita di batteri nocivi
  • Contribuiscono al processo digestivo
  • Aiutano il transito intestinale
  • Producono utilissime vitamine (come la K, la B12, ecc.) e alcuni aminoacidi.

INTESTINO

L’intestino non è, come si può pensare, un organo deputato unicamente al transito “materiale” degli alimenti, alla loro digestione, al loro assorbimento e all’eliminazione di quello che va scartato. È di più, molto di più. Oggi si parla molto, e giustamente, della stretta relazione esistente tra il nostro microbiota e il cervello. 

Sappiamo che l’insieme dei batteri intestinali (il microbiota, appunto) secerne molecole che attivano varie cellule intestinali (epiteliali, immunitarie, endocrine, neuroni), che a loro volta inviano segnali al cervello. Si tratta di una comunicazione che segue quattro vie – sanguigna, immunitaria, endocrina e nervosa – defnite “autostrade” da Emeran Mayer, gastroenterologo e neuroscienziato di origine bavarese che insegna medicina, fisiologia e psichiatria alla David Geffen School of Medicine dell’uCla, la principale università di Los Angeles. 

La via sanguigna è quella in cui le molecole sintetizzate dai batteri arrivano alla circolazione sanguigna e agiscono sull’insieme dell’organismo. 

Nella via immunitaria le cellule immunitarie attivate da queste stesse molecole producono, invece, molecole particolari chiamate citochine, che agiscono sul cervello creando una risposta immunitaria a un’infiammazione. 

Nella via endocrina le cellule endocrine, attivate dalle stesse molecole, producono ormoni che agiscono sul cervello.

Nella via nervosa i neuroni (cellule nervose) del sistema nervoso dell’intestino, stimolati dai metaboliti batterici, attivano il nervo “vago” fino al cervello.

In tutto questo viavaio il cervello analizza l’intera enorme mole di informazioni e risponde dando precise istruzioni. Proprio per questo è corretto dire che l’intestino, insieme con la sua flora intestinale, svolge un “lavoro” che va ben oltre quello “banale” di transito e di trasformazione, come si è pensato per troppo tempo; in realtà, il suo ruolo è quello di un “secondo cervello”. Come sostiene Mayer, “i due cervelli comunicano in permanenza tramite queste quattro autostrade”.  

Una volta chiara la portata di questo lavoro svolto dall’intestino, diventa facile comprendere il ruolo fondamentale che avrà per la nostra salute un’alimentazione sana ed equilibrata. Si tratta di nozioni che aprono nuove opzioni terapeutiche per numerose patologie: dal diabete all’autismo, dalle malattie infiammatorie alla sclerosi a placche, dai tumori all’artrosi, dalla psoriasi ai reumatismi.

COME SI INSTAURANO E COSA COMPORTANO L’EUBIOSI E LA DISBIOSI DEL MICROBIOTA INTESTINALE?

È innanzitutto necessario sottolineare che il microbiota intestinale è legato all’età: l’organismo cerca autonomamente di mantenere un equilibrio adeguato della composizione microbica, soprattutto nella fase centrale della vita. Nei primi due anni, quindi nella tarda e nella prima infanzia, questo equilibrio è molto più instabile e viene addirittura a mancare negli anziani, nei quali assistiamo a variazioni significative del microbiota. Ma anche negli adulti il microbiota ha piccole variazioni giornaliere, condizionate soprattutto dall’alimentazione.

Se analizziamo quali sono i fattori che intervengono negativamente nella determinazione della composizione del microbiota, ci accorgiamo che esistono due casi: la presenza di infezioni che sopraggiungono dall’esterno e che danno disbiosi acuta, e fattori che incidono in modo più subdolo e più lento determinando uno stato di disbiosi cronica. È il caso delle alimentazioni scorrette, per esempio le diete iperproteiche o con troppi carboidrati, e degli stili di vita sbagliati (non fare attività fisica, fumo, l’abuso di alcool, ecc.) protratti nel tempo.

Inoltre, fra gli elementi che contribuiscono a modificare l’equilibrio e la composizione del microbiota, bisogna annoverare anche le componenti farmacologiche. Infatti, larga parte della popolazione assume farmaci in modo cronico e questo contribuisce a variare profondamente il microbiota.

La letteratura scientifica indica che l’uso di inibitori di pompa protonica (PPI), cortisonici e contraccettivi orali, fa sì che si creino disbiosi subdole, che non vengono percepite immediatamente dal paziente come quelle acute, al contrario degli antibiotici che scatenano disbiosi acute con sintomi facilmente rilevabili come diarrea, dolore addominale e meteorismi. Quando si instaura uno stato di disbiosi cronica, invece, lentamente si instaurano anche importanti alterazioni funzionali che coinvolgono soprattutto la barriera intestinale. Questo accade perché la barriera intestinale è selettiva: esistono alcune strutture chiamate “giunzioni serrate” o “thight junction” che mettono in collegamento le varie cellule intestinali e che permettono il passaggio bidirezionale di sostanze dal lume intestinale al torrente circolatorio. Sono strutture proteiche che traggono grande beneficio e sono molto condizionate nella loro funzionalità da sostanze come gli acidi grassi a catena corta, prodotti proprio dal metabolismo del microbiota intestinale.

L’alterazione del microbiota intestinale, dal punto di vista metabolico, comporta, di riflesso, l’alterazione della funzionalità delle giunzioni serrate e quindi il passaggio di sostanze tossiche, di allergeni e di microbi nel torrente circolatorio e quindi dall’intestino a tutto l’organismo. Ecco perché è necessario mantenere l’eubiosi del microbiota intestinale, attraverso la dieta, soprattutto, ma anche con l’assunzione dei giusti probiotici.

CARTA D’IDENTITÀ

Siamo tutti diversi! Anche il microbiota intestinale è differente per ciascun individuo e per questo potrebbe essere paragonato alla nostra carta d’identità o ancora meglio alle nostre impronte digitali. Non esistono perciò nel mondo due persone con un identico corredo di batteri intestinali. Addirittura, il microbiota di ciascuno di noi cambia nelle diverse fasi della vita.

LA FLORA IN EQUILIBRO

Una flora intestinale bilanciata contribuisce ad ostacolare la crescita dei batteri dannosi e favorisce una corretta funzionalità intestinale. Sono diversi i fattori, però, che possono alterare questo equilibrio:

  • l’avanzare dell’età
  • lo stress
  • un’alimentazione scorretta
  • l’assunzione di farmaci (per esempio gli antibiotici).

Per questo è importante mantenere uno stile di vita sano, attivo, positivo, ed essere sempre attenti alla propria alimentazione.

Inoltre, tra le principali cause di regressione e quindi peggioramento del microbioma, troviamo una classe di medicinali di uso comune: gli antibiotici. Ogni qualvolta si somministra un antibiotico (questo vale ancor di più per i bambini) la flora batterica umana regredisce, e considerando che questa prima fase di sviluppo del microbioma (i primi due-tre anni) getterà le basi per la salute del futuro individuo adulto, capiamo bene quanto l’utilizzo di questi farmaci sia sconsigliato.

Un altro fattore in grado di modificare profondamente il tipo di microrganismi colonizzanti il nostro intestino: il cibo. Potremmo metterlo in cima alla lista, poiché escludendo protocolli di digiuno estremi, ogni giorno veniamo a contatto con il cibo – mangiando – e quindi, ogni giorno, abbiamo la possibilità di modificare il nostro microbioma, nel bene o nel male.

I FERMENTI PROBIOTICI

Per favorire l’equilibrio della flora batterica intestinale ci viene in aiuto l’utilizzo di fermenti probiotici, capaci di superare la barriera gastrica e giungere vivi nell’intestino. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratta di “organismi vivi che, se somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”.

Tradizionalmente, i cibi fermentati rappresentano un modo semplice per influenzare e ottimizzare la salute dell’intestino. Pullulano di microbi benefici che purtroppo spesso mancano nella dieta. Quasi ogni cultura ha una ricetta per il cibo fermentato, tramandata di generazione in generazione.

Alcuni di questi preziosi fermenti si possono assumere tramite alimenti definiti superfood (supercibo), termine di marketing usato per indicare cibi aventi spiccate proprietà benefiche per la salute, imputabili ad una parte delle caratteristiche nutrizionali o alla concentrazione chimica complessiva. Di seguito alcuni alimenti probiotici contenenti alte dosi di fermenti attivi estremamente utili per la salute del microbiota:

  • KEFIR: latte fermentato prodotto a partire da granuli di kefir, posti in incubazione con latte o acqua. Questi granuli costituiscono una specifica e complessa miscela di batteri lattici e lieviti che vivono in associazione simbiotica e che, a differenza dei fermenti lattici dello yogurt, sono in grado di raggiungere l’intestino vivi e attivi, favorendo l’equilibrio del microbiota intestinale.
  • KIMCHI: alimento con una lunga tradizione in Corea, il cavolo e il ravanello fermentati sono le due verdure più utilizzate in questa preparazione che oltre a risultare molto saporita al palato, possiede un’alta concentrazione di preziosissimi fermenti probiotici.
  • KOMBUCHA: il Kombucha tea è un tè zuccherato che viene fatto fermentare tramite una coltura di batteri e lieviti. I batteri si cibano degli zuccheri presenti, rendendola quindi una bevanda dietetica e donandole una piacevole e rinfrescante frizzantezza. È inoltre altamente disintossicante e depurante per l’intero organismo.
  • SIDRO DI MELE: ricco di minerali come il potassio e il magnesio, molte vitamine, probiotici ed enzimi benefici, l’acido acetico ha la capacità di uccidere i batteri dannosi mentre sostiene e nutre i batteri “buoni”.

Il modo migliore per attivare il genio all’interno del sistema immunitario è quello di assumere supercibi, probiotici e cibi coltivati, ridurre al minimo l’esposizione agli alimenti tossici mangiando cibi crudi biologici puri e apportare miglioramenti appropriati allo stile di vita. – David Wolfe

15Feb

ALIMENTAZIONE E MALATTIA – COME PREVENIRE

Lascia che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. – Ippocrate

DI QUALI CIBI SI NUTRONO LE NEOPLASIE?

Cominciamo subito col dire che è indispensabile sapere di quali cibi si nutrono le neoplasie. Sono fondamentalmente quegli alimenti che contengono zucchero e/o fattori di crescita. È sempre importante evitare cibi che danneggiano il sistema immunitario, che come vedremo sono quei cereali che contengono glutine in quantità spropositata, la caseina (proteina del latte) e cibi molto acidi.

I pazienti oncologici dovranno necessariamente eliminare tutti quei cibi che contengono queste sostanze, mentre le persone sane, che comunque vogliono fare prevenzione, dovranno almeno cercare di ridurne il consumo.

Vediamo nello specifico quali sono questi alimenti.

LO ZUCCHERO

Le cellule tumorali sono ghiottissime di zucchero, tant’è che ne consumano 20 volte di più rispetto alle cellule normali! Infatti quando si fa una PET (Positron Emission Tomography) per diagnosticare se il paziente ha o non ha un tumore, viene iniettato nell’organismo uno zucchero radio marcato, questo zucchero ha la funzione di “tracciante”, cioè ne viene controllato il percorso dall’apparecchiatura elettronica, così da capire come e dove si distribuisce nell’organismo. Se ci sono cellule tumorali, questo zucchero verrà rapidamente assimilato andandosi ad accumulare nelle cellule malate.

Per zucchero non si intende solo il comune zucchero bianco (saccarosio), sicuramente anche quello va eliminato, ma lo zucchero è presente anche in tantissimi altri cibi che mangiamo quotidianamente, come biscotti, pane, pasta, riso, brioches, fette biscottate, bevande, frutta ecc.

Non va meglio con lo zucchero di canna e lo stesso dicasi per gli altri dolcificanti, naturali o di sintesi, come il miele, il fruttosio liquido, lo sciroppo d’acero e tutti i vari edulcoranti utilizzati al posto dello zucchero per dolcificare caramelle, gomme da masticare, cibi, bevande per sportivi, ecc. Ancora peggio è lo sciroppo di glucosio, considerato al pari di un veleno, che lo troviamo davvero in ogni dove: merendine, yogurt, biscotti, fette biscottate, panettoni, torroni, frutta secca, ecc.

Bisogna controllare sempre le etichette!

LA FRUTTA ZUCCHERINA

Anche la frutta è ricca di zucchero (non è vero che contiene solo fruttosio, contiene anche tanto saccarosio), per cui non è immune al discorso appena fatto per gli altri dolcificanti. Inoltre l’eccessivo uso di fruttosio è ancora peggio del saccarosio, in quanto per essere metabolizzato richiede più energia, non sfruttando l’insulina come mediatore, e se non viene immediatamente consumato (per esempio tramite dell’attività sportiva), viene stoccato nel fegato sotto forma di glicogeno e poi trigliceridi. Per cui un eccessivo consumo di frutta può benissimo essere una delle cause della steatosi epatica ovvero il famoso “fegato grasso“. Quindi il consumo di frutta va ridotto, si consiglia di mangiare al massimo due-tre frutti al giorno e preferibilmente la mattina o entro le 17. Infatti mangiare la frutta la sera significa andare a dormire con picchi glicemici alti.

Assolutamente da evitare la frutta dopo i pasti. Infatti la frutta consumata dopo i pasti, specie dopo aver mangiato un piatto di carboidrati (come pasta, riso, miglio, mais, ecc.), viene digerita nel tenue. Il tempo che permane nello stomaco va in putrefazione, creando inoltre una forte acidosi. L’acidosi è un altro di quei fattori che va evitato in caso di neoplasia. Per lo stesso motivo vanno evitate le macedonie, ovvero l’abbinamento di due o più frutti di tipo diverso.

ALIMENTI AD ALTO INDICE GLICEMICO

Inoltre attenzione a tutti quei cibi ad alto indice glicemico, ovvero ricchi di amidi, che altro non sono che zuccheri complessi. Al di là dei cereali che contengono glutine, come il frumento, e che andrebbero totalmente eliminati, i cibi ad alto indice glicemico possono essere consumati durante la prima parte della giornata, cioè a colazione o all’ora di pranzo, quando il metabolismo è più veloce e l’organismo riesce a metabolizzarli meglio.

Tra gli alimenti ad alto indice glicemico e senza glutine, troviamo ad esempio il riso bianco e il mais. Il mais in scatola andrebbe totalmente evitato, dato che contiene muffe e funghi potenzialmente tossici. Per quanto riguarda il riso è meglio evitare il riso bianco e puntare dritti su qualità di riso integrale, il cui indice glicemico è nettamente inferiore. Poi ci sono anche altri cereali meno conosciuti, ma comunque molto validi, come la quinoa, l’amaranto, il grano saraceno, il miglio, il sorgo, ecc.

In ogni caso i cereali, integrali, o non integrali, non vanno MAI consumati a cena. Durante il pasto serale si consiglia invece di mangiare proteine (pesce, uova) e tante verdure (che contengono zuccheri a bassissimo indice glicemico). 

Consumare cibi a basso indice glicemico significa anche ridurre al minimo la produzione di insulina. L’insulina è quell’ormone prodotto dal pancreas che ha il compito di abbassare la glicemia portando il glucosio all’interno delle cellule. Essendo l’insulina anche un importante fattore di crescita, evitare picchi insulinici nei pazienti oncologici, è un altro degli imperativi della dieta anti-neoplasia.

Inoltre mangiare troppi zuccheri porta a disbiosi che a sua volta porta alla decarbossilazione delle proteine con produzione di istamina, cadaverina, putrescina e spermidina. 

Gli enzimi Dao, Mao, Pao, sono in genere in grado di distruggere queste ammine endogene tossiche. Ma in caso di troppa disbiosi questi enzimi vengono distrutti e si ha la sindrome da sgocciolamento intestinale (un disordine della mucosa intestinale che è più porosa nel normale) e intolleranza alimentare. 

CIBI CHE CONTENGONO FATTORI DI CRESCITA

fattori di crescita sono delle particolari proteine, ormoni o altre sostanze che, come dice la parola stessa, favoriscono la crescita e la proliferazione cellulare. E questo, purtroppo, vale sia per le cellule sane, che per le cellule tumorali. Per cui i pazienti oncologici devono assolutamente evitare i cibi che contengono fattori di crescita, mentre le persone sane dovrebbero comunque moderarne il consumo.

Vediamo quali sono questi alimenti.

LATTE E DERIVATI 

Il latte animale e in particolare il latte vaccino, contiene tutta una serie di sostanze che lo rendono totalmente inadatto all’organismo umano, specialmente dopo i 10 anni di età. Dopo questa età perdiamo gradualmente la capacità di digerire il lattosio, cioè lo zucchero del latte. Tant’è che in Europa solo il 25% delle persone adulte sono capaci di digerire bene il latte (e in Asia meno del 10%).

Ma il lattosio rappresenta solo la punta dell’iceberg dei problemi derivanti dal latte.

Il latte che beviamo oggi è ben diverso da quello che avevano a disposizione i nostri nonni 60-70 anni fa. Le povere mucche da latte sono state costrette a passare dalla loro naturale produzione di 20 litri giornalieri a una cinquantina ed oltre e per fare ciò vengono imbottite di ormoni della crescita, antibiotici e cereali, per cui il prodotto finale non è altro che una bomba esplosiva di fattori di crescita. Infatti il latte contiene gli ormoni della crescita (IGF1), che servono a far crescere i vitellini allattati, questi all’interno del nostro organismo, oltre a favorire la crescita e la proliferazione cellulare (anche di quelle malate!), vanno ad interferire con il normale equilibrio ormonale dell’essere umano. Per cui questi ormoni possono provocare patologie o tumori ormono-sensibili, come il tumore del seno, dell’ovaio, della prostata e della tiroide.

Infine, c’è il problema della caseina. La caseina è una proteina che si forma durante il processo di pastorizzazione del latte. Si deve sapere che la caseina ha un effetto tipo “colla” (infatti la si usa per attaccare le etichette alle bottiglie e per dipingere i mobili antichi) all’interno delle pareti intestinali e questa colla è uno dei principali fattori responsabili dell’infiammazione e della permeabilità intestinale, definita anche “sindrome dell’intestino gocciolante”, nome che rende bene l’idea di ciò che accade. Infatti, quando l’intestino è permeabile, le sue pareti non riescono a trattenere antigeni alimentari, tossine, metalli pesanti e patogeni, che hanno così libero accesso nel circolo sanguigno.

Dulcis in fundo è assolutamente falsa la diffusa credenza che mangiare formaggio e altri derivati del latte faccia bene alle ossa e aiuti a prevenire l’osteoporosi perché contiene calcio. Bisogna far presente che, cavoli, broccoli, cime di rapa, fagioli di soia, fichi, arance, sardine, fagioli e mandorle contengono più calcio di quello presente nel latte!

Per tutte queste ragioni il latte, nonché tutti i suoi derivati (burro, formaggi, panna, gelati, creme, ecc.) vanno tassativamente eliminati dalla dieta del paziente oncologico. 

Quanto detto finora vale anche per lo yogurt! Anzi, oltre alle problematiche finora elencate per il latte, lo yogurt ha dalla sua anche un’elevatissima acidità. SOLO IL PARMIGIANO CON STAGIONATURA A 24 MESI PUO’ ESSERE MANGIATO!

COSA CENTRA L’ACIDITÀ COL CANCRO?

È ormai noto alla comunità scientifica che le cellule tumorali si sviluppano e proliferano in un ambiente molto acido. Quando si parla di acidità non si parla di quella del sangue (il cui pH può variare solo entro limiti piuttosto ristretti, ovvero tra 7.35 e 7.45), ma dell’acidità dei tessuti connettivi. Acidità che è strettamente correlata a ciò che mangiamo e che è facilmente misurabile con il pH delle urine, tramite delle semplici cartine tornasole. Ricordo che un valore pari a 6.5 è neutro, maggiore di 6.5 è basico, se invece il valore è inferiore parliamo di una sostanza acida.

ARANCE, MANDARINI E MANDARANCI

Le arance, insieme a mandarini e mandaranci, sono ricchissime di poliammine, sostanze con attività stimolante della crescita e della proliferazione cellulare, comprese le cellule tumorali. Inoltre sono frutti molto acidi e come abbiamo appena visto l’acidità è uno dei fattori che favorisce lo sviluppo delle cellule malate.

SOLANACEE

Tra la lista dei cibi da ridurre troviamo anche gli ortaggi della famiglia delle solanacee, che sono il peperone, la melanzana e le patate. Anche questi alimenti contengono poliammine, ovvero dei fattori di crescita cellulari. Il consumo va quindi ridotto (scegliendo i prodotti solo quando sono di stagione!). Soprattutto vanno mangiati molto cotti perché l’alta temperatura elimina la solanina (sostanza tossica).

Va fatta eccezione dei pomodori che contengono licopene, molecola capace di bloccare i geni impazziti in grado di innescare la mutazione cancerogena: l’unico neo è che i pomodori possono generare reazioni allergiche, probabilmente ciò è dovuto ad un abuso di pesticidi con cui la pianta viene trattata, per cui è consigliabile non mangiare mai ortaggi o frutti fuori stagione.

LA CARNE

Se ne consiglia un consumo ridotto. Non perché faccia male in sé, ma è la carne di questi ultimi anni che fa male perché ricca di farmaci e fattori di crescita, inoculati all’animale per farli crescere in fretta. Se si riesce a comperare carne biologica, se ne consiglia il consumo anche 2-3 volte a settimana.

Molta attenzione va poi posta nella scelta del tipo e della qualità della carne. Decisamente da evitare il pollo, allevati in batterie e pieni zeppi di ormoni della crescita e di antibiotici. Come carne bianca è decisamente meglio il tacchino, meno soggetto a “manipolazione” e ovviamente pollame cresciuto libero.

Per la carne rossa si consiglia di evitare la cottura alla griglia, dato che la combustione dei grassi che avviene durante questo tipo di cottura, genera delle nitrosamine, tossine cancerogene. 

IL GLUTINE

Oltre al latte e ai derivati del latte, di cui abbiamo già abbondantemente parlato, una delle sostanze che più di tutte è responsabile della permeabilità intestinale e dell’abbassamento delle difese immunitarie, è il glutine.

Il glutine è una componente proteica presente nel frumento e in alcune varietà di cereali quali avena, farro, spelta, triticale, orzo e segale. Si tratta di una sostanza naturale che il nostro sistema digerente è in grado di tollerare in dosaggi minimi. Tuttavia, la redditività dei grani antichi era troppo bassa per quelle che sono le richieste moderne, per cui l’industria alimentare ha agito sui geni di questi grani, modificandoli. La modifica genetica ha prodotto delle spighe più produttive, più resistenti e con un contenuto di glutine più che triplicato, passando dal 6% al 22%!

Se da una parte il glutine agevola enormemente i processi produttivi, dal punto di vista della salute umana, abbiamo a poco a poco assistito a un vero e proprio disastro! Al di là della crescita esponenziale del numero dei celiaci, il glutine, in queste quantità, non è tollerabile da nessuno! Il glutine addormenta il sistema immunitario, disinnescando il nostro sistema di difesa e rendendoci facile preda delle peggiori aggressioni e aumentando tantissimo il rischio di contrarre un tumore o delle patologie di natura autoimmune.

Tra l’altro ci sono anche importanti studi che collegano il consumo di glutine a patologie degenerative come il morbo di Alzheimer, sclerosi a placche e il morbo di Parkinson. Quindi si consiglia a tutti, indipendentemente dal proprio stato di salute, di evitare totalmente i prodotti a base di farina bianca 00 nonché i finti prodotti integrali (in realtà prodotti con della farina bianca a cui viene aggiunta della crusca, così da modificarne la colorazione). 

COME SOSTITUIRE IL FRUMENTO?

Le persone non celiache e che non hanno problemi gravi possono consumare saltuariamente (quindi non tutti i giorni) cereali con piccole percentuali di glutine, come i grani antichi (Saragolla, Tumminia, Senatore Cappelli, ecc.), l’avena, il farro, ecc. O ancora meglio passare direttamente ai cereali senza glutine, come il riso, il miglio, il mais, il sorgo, la quinoa, l’amaranto e il grano saraceno.

Chi invece combatte con un tumore, o delle patologie autoimmuni, dovrebbe assolutamente limitare o eliminare tutti i cereali che contengono glutine, anche se in percentuali molto basse.

LA NUOVA PIRAMIDE ALIMENTARE

La vecchia piramide alimentare, alla cui base erano presenti i carboidrati (pasta, pane, pizza, ecc.) va completamente stravolta.

1 – VERDURA

La verdura rappresenta la base della piramide. Ciò vuol dire che ne dovremmo mangiare in quantità e varietà molto ma molto maggiori rispetto a come siamo abituati. Si parla di almeno quattro porzioni al giorno! Attenzione non 4 porzioni di frutta e verdura, ma 1/2 di frutta e 4 di verdura. La verdura infatti, al contrario della frutta, non contiene zuccheri, o ne contiene in quantità molto ridotta. La verdura va considerata un vero e proprio farmaco naturale, in grado di alcalinizzare i tessuti connettivi e di ridurre l’impatto glicemico degli altri cibi, il che significa prevenire un numero impressionante di malattie. Inoltre, contiene vitamine, sali minerali, enzimi, polifenoli e altre sostanze con azione antiossidante, antitumorale ed antinfiammatoria.

In particolare, si consiglia di mangiare molte verdure della famiglia delle crucifere, che contengono solforato, una sostanza con spiccate proprietà antitumorali, specialmente nei confronti dei tumori del seno.

Le verdure che appartengono alla famiglia delle crucifere sono: i broccoli, i cavoli, i cavolfiori, la verza, i cavolini di Bruxelles, la rucola, le rape, i ravanelli e la rucola, ottimi anche per chi soffre di problemi di memoria.

Oltre a mangiare molte verdure, tante volte al giorno, è anche importante variare e scegliere i prodotti in base alla stagionalità e alla qualità, preferendo ovviamente prodotti Italiani, biologici e magari a chilometro zero.

2 – LEGUMI

legumi vengono al secondo posto, eppure noi italiani ne mangiamo pochissimi! 

Rappresentano un’ottima fonte di proteine vegetali, carboidrati e fibre, hanno un bassissimo indice glicemico (specialmente i legumi freschi) e possono essere consumati sia a pranzo che a cena, magari accompagnati da pesce e verdure o uova e verdure.

I legumi vanno bene sia freschi che secchi che surgelati. I surgelati sono comodi, perché basta scongelarli, dargli una scaldata e sono praticamente già pronti all’uso, quindi se non abbiamo voglia di cucinarli, si può benissimo optare per dei legumi surgelati.

Ricordo che i legumi sono: i ceci, le lenticchie, i piselli, i fagioli, le fave, i lupini, la soia e le cicerchie.

La soia VA EVITATA in quanto riserva molte sgradevoli sorprese: il suo alto contenuto in genisteina (estrogeni vegetali) ha permesso, in fitoterapia, un largo uso di queste molecole in tutta la sfera endocrina femminile e nella menopausa. QUINDI MANOVRARE CON CURA.

3 – UOVA

Anche le uova vengono rivalutate tantissimo nella nuova piramide. Non fanno male, anzi! Contengono albumina, una proteina importantissima che contribuisce ad assorbire i liquidi, riducendo il gonfiore e gli edemi. Non sono le uova ad alzare il colesterolo, ma sono i carboidrati e gli zuccheri! 

SI POSSONO MANGIARE SINO A 6 UOVA A SETTIMANA!

4 – PESCE

Il pesce rappresenta un altro alimento importante della piramide. Non solo si può, ma si deve mangiare, perché contiene omega-3, un acido grasso che contribuisce a migliorare la funzionalità cardiaca e cerebrale, a ridurre le infiammazioni e a migliorare l’elasticità delle membrane cellulari.

E per quanto riguarda la questione dei metalli pesanti? Si consiglia di scegliere pesci italiani e di piccola taglia, come lo sgombro, le acciughe, il merluzzo, le aringhe, ecc. Infatti, i pesci che accumulano metalli pesanti sono i pesci grandi che vivono più a lungo degli altri. Vivendo più a lungo hanno più probabilità di assorbire i metalli pesanti presenti nel mare. Però, ogni tanto, si può tranquillamente mangiare anche del tonno, del pesce spada o del salmone, magari preferendo salmone selvaggio (cioè non di allevamento). Si consiglia di mangiare pesce anche quattro volte alla settimana.

5 – CEREALI

Il problema di fondo è che noi Italiani mangiamo tantissimi cereali e con troppa ripetitività, partendo dalla brioche o dai biscotti della prima colazione, passando poi per la pasta del pranzo, il panino pomeridiano e il pane a cena.

Fermo restando che il frumento (per lo meno quello moderno) va eliminato, anche il consumo degli altri cereali va diminuito.

Quando mangiarli? A colazione e/o a pranzo.

Quali scegliere? Cibi senza glutine e possibilmente integrali. Non scegliere prodotti “artefatti” come quelli che si trovano nei banconi delle farmacie. Acquista prodotti semplici in purezza, come i cibi in chicchi (riso, quinoa, miglio, ecc.) o le paste che contengono un solo ingrediente! Abbi cura di controllare sempre le etichette per capire cosa c’è dentro quel prodotto. Scegliere 2-3 volte a settimana e a pranzo: Riso brillato, Riso integrale, Riso Basmati, Riso Venere, Pasta di grano saraceno, Couscous, Orzo, Farro, Quinoa, Amaranto, Miglio, Teff, Avena e Grano saraceno.

4 – CARNE

Molto poca carne esclusivamente biologica (pollo, tacchino, faraona, coniglio), con particolare attenzione a quella rossa che è ricca di grasso e purine difficili da digerire; un suo abuso può alzare il livello in circolo dell’acido urico.

6 – FRUTTA SECCA

Nella piramide non è riportata, ma anche la frutta secca gioca un ruolo importante nella dieta. Questa ha il vantaggio di non contenere zuccheri (quindi impatto glicemico minimo) e di contenere invece molti grassi monoinsaturi e polinsaturi, come i famosi omega-3 (soprattutto semi di lino, semi di canapa e noci), oltre che tante vitamine e sali minerali.

7 – CURCUMA

Si tratta di una spezia di colore giallo, ricavata dal rizoma della pianta curcuma longa, molto utilizzata in Oriente (specialmente in India) e un po’ meno qui da noi.

Dal momento che la curcuma gode di spiccate proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e soprattutto antitumorali, si consiglia a tutti un cucchiaino al giorno. Si può mescolare con delle zuppe, con il brodo di cottura delle verdure, o dei legumi, oppure si può usare per condire il risotto, per esempio al posto del nostro zafferano. Purtroppo da sola viene assimilata molto poco dal nostro organismo avendo una bassa biodisponibilità, ma studi scientifici hanno dimostrato che i benefici della curcuma possono essere aumentati fino a 20 volte se assunta in abbinamento con il pepe nero. La piperina contenuta nel pepe nero favorisce infatti l’assorbimento della curcumina: ne basta un pizzico, circa il 3% rispetto alla quantità di curcuma.

8 – LIMONE 

Il limone è un altro nostro prezioso alleato. A differenza delle arance e dei mandarini, questo agrume, all’interno del nostro organismo, si comporta come un potente alcalinizzante. Ha inoltre proprietà diuretiche e depurative e se aggiunto alla carne, al pesce, o alle verdure (tipo gli spinaci), aumenta esponenzialmente l’assorbimento del ferro contenuto in questi alimenti.

IL SALE 

Il sale da cucina (cloruro di sodio) e il sale dei dadi (glutammato di sodio) sono ricchi in una molecola molto pericolosa che è il sodio, capace di procurare ritenzione idrica, affaticamento cardiaco e ipertensione. Purtroppo solo da pochi anni il sale è troppo presente sulle nostre tavole, una volta era una spezia rara tant’è che con essa venivano pagati i soldati (da cui il termine salario). L’abuso di sale è sempre negativo e purtroppo è molto facile abusarne perché di sale ce n’è molto anche quando non lo vediamo, il sale infatti è presente in tutti i cibi inscatolati o conservati, nei succhi di frutta, nelle caramelle, nei salumi, nei biscotti, nel pane e così via. Superare dunque la soglia di pericolo è facilissimo. 

Consigliabile dunque salare meno possibile. L’eccesso di sale favorirebbe alcuni tipi di tumore (stomaco e pancreas). Il cloruro di sodio (il sale da cucina) viene consumato sempre in dosi fin troppo elevate. Infatti non bisogna considerare solo quello della saliera, ma considerare che determinate categorie di alimenti ne sono piene già di loro. Il sodio è praticamente contenuto in tutti i cibi, tranne che nella frutta. Il fabbisogno giornaliero di sodio è di 500mg. Ogni grammo di sale da cucina contiene circa 400 mg di sodio. 

Da qui si può capire quanto abuso di sale facciamo! Lo avreste mai detto che il pane costituisce una delle maggiori fonti per l’introduzione di sale? Altre fonti di sale sono i salumi, i formaggi, tutti i cibi in scatola, i dadi per brodo, le salse e perfino i dolci, sono ricchi di sale!

Il sale rosa dell’Himalaya rappresenta un’alternativa in cucina al sale tradizionale, ma è noto anche per le sue molteplici proprietà benefiche. Nel sale rosa dell’Himalaya sono presenti tantissimi minerali e almeno un’ottantina di altre sostanze ad esempio l’Ossido di Ferro, che è il responsabile dell’affascinante colorazione. Questo sale contiene anche Litio, Magnesio, Potassio e Calcio, sostanze notoriamente benefiche per l’organismo. Rispetto al sale bianco tradizionale, dunque, il sale rosa è naturalmente più ricco di elementi salutari mentre la concentrazione di Sodio è percentualmente distribuita in maniera diversa. Infine, essendo naturalmente ricco di iodio, il sale himalayano non necessita di aggiunte artificiali, come talvolta avviene per il sale bianco tradizionale. La presenza di tutti gli oligo-elementi sopraelencati e l’assenza di trattamenti chimici sbiancanti rendono quindi questo tipo di sale molto apprezzato e responsabile di numerosi benefici per l’organismo.

METODI DI COTTURA 

Importante è anche il modo con il quale i cibi vengono cucinati; un solo esempio: friggere delle patate con del buon olio di oliva vuol dire portare ad un’altissima temperatura un vegetale che non ha con sé nessun grasso capace di trasformarsi in pericolose molecole; se invece friggiamo delle uova, del pesce o della carne, noi portiamo ad altissime temperature alimenti ricchi in grassi che idrogenandosi, possono divenire molecole pericolose. 

Usiamo dunque metodi di cottura leggeri. 

I MIGLIORI METODI DI COTTURA:
  • AL VAPORE
  • BOLLITURA
  • STUFATI
  • COTTURA AL FORNO
PEGGIORI METODI DI COTTURA:
  • FRITTURA: libera acroleina
  • COTTURA ALLA BRACE: libera benizopirene, molecola altamente cancerogena
  • PENTOLA A PRESSIONE: l’alta temperatura cui l’alimento è sottoposto distrugge la vitamina C

SETTE REGOLE DA NON DIMENTICARE 

1. Mantenere un peso corretto (un eccesso ponderale favorisce alcuni tipi di tumore) 

2. Mantenere una dieta molto varia secondo i consigli indicati sopra 

3. Mangiare molta verdura e poca frutta 

4. Mangiare molti legumi e cereali integrali, con poco glutine o meglio ancora senza

5. Limitare il consumo di alcol 

6. Limitare il consumo di sale 

7. Abolire il fumo

Noi siamo quello che mangiamo”. – Ludwig Feuerbach

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